Primitivo VS Zinfandel – Riflessioni sulle origini del vitigno

Recentemente sono tornato in una delle
mie regioni enoiche preferite, la Puglia, ed è proprio in Puglia che
mi sono innamorato nuovamente di un vitigno e dei Vini da esso
scaturiti: il Primitivo.
Primitivo di Gioia del Colle,
Primitivo di Manduria o Primitivo di Lizzano,
è sempre della stessa
uva che stiamo parlando, un uva che negli anni ha fatto parlare molto
di sé in termini di origine, fino a scomodare interi laboratori
genetici ed università americane per comprenderne realmente la
provenienza. Non ve la farò troppo lunga, in quanto questo è un discorso che potrebbe svilupparsi ed avvilupparsi in eterne scientifiche “mental saws” (traducetelo e capirete), che lungi da me propinarvi nel mio irrazionale blog.
vino primitivo puglia
Partiamo dal principio, ovvero dall’amletico dubbio Primitivo o Zinfandel, diversi o uguali?” che vide successivamente aggiungersi al vitigno
autoctono pugliese ed a quello considerato autoctono dai
californiani, un terzo incomodo il Plavac Mali, varietale Croato che si
pensava avesse dato origine ad entrambi i fratellini italiani ed americani.

In realtà l’arcano sembra essere stato
svelato quando gli studiosi americani di una nota università (vi evito i nomi,
tanto potete comodamente trovarli online) hanno riscontrato dapprima una congruenza genetica fra Primitivo e Zinfandel, per poi finire con
il rendersi conto, quasi per caso, che se il Plavac Mali non
risultasse in ogni esemplare identico ai primi due ed il motivo era semplice… il
progenitore di tutti e tre non era altro che il vitigno dal quale ha
avuto origine la variazione genetica che ha dato vita al Plavac,
ovvero il Crljenak kaštekanski, vitigno molto antico, ma più
soggetto alle malattie.
Probabilmente, quindi, il Primitivo
sarebbe stato importato da qualche emigrato croato nel periodo
antecedente alla quasi totale estinzione di questa specie nelle terre
colpite dalla filossera.
Se questo sia attendibile al 100% o se
il Primitivo sia davvero stato portato in Puglia migliaia di anni fa
dai Fenici, probabilmente non ci è dato saperlo, ma ciò che conta a
mio parere è la meraviglia di un uva che in zone così differenti
del mondo, produce Vini di grande pregio, capaci di regalare grandi
emozioni.
C’è chi sostiene che solo in
California si sia riusciti ad esaltare al massimo le potenzialità di
questo vitigno e che in Puglia, seguendo un pensiero legato ad un
passato ormai anacronistico ed irrispettoso degli sforzi portati
avanti dai vignaioli pugliesi, non si riesca a fare qualità, in
quanto si pensi solo alla quantità, ma questo oltre a non essere
vero ed a risultare denigratorio, è potenzialmente impossibile,
quando parliamo di eccellenza e soprattutto di allevamento ad
alberello.
Un sistema che ribalta ogni critica riferita alla scarsa qualità e esula dalle dinamiche legate alle leggende (che come tutte le cose hanno più di un
solido fondamento di verità) diffamatorie legate ai “fiumi” di
primitivo e negroamaro che scorrevano (ora, spero molto meno) dalla
Puglia fino a regioni del Nord che necessitavano di un “aiutino”. Un sistema che da rese davvero risicate e che ha costi di gestione ben più ingenti di altre forme di allevamento (capanno e spalliera fra tutti) non può che essere sinonimo di grande qualità oltre che di artigianalità. Inutile dire, infatti, che l’alberello,
spesso di età avanzata, ma che fortunatamente qualcuno sta
reimpiantando per protrarre questa tradizione il più a lungo
possibile, sia un sistema che imponga l’artigianalità sia in Vigna
che in Cantina e che sia capace di regalare un raro equilibrio fra
concentrazione e piacevolezza, fra calore e freschezza.
Un grande vitigno che da origine a vini davvero nelle mie corde, che nonostante la possenza ed il calore, riescono, in alcuni casi, a raggiungere notevoli picchi di eleganza e di profondità. L’esempio lampante è, senza ombra di dubbio, l’ES di Gianfranco Fino.
F.S.R.
#WineIsSharing

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