Vini in Terracotta – Dai Kvevri alla anfore, passando per i capasoni, i moderni barricoccio e i clayver

Anfore, Kvevri (ancestrali anfore georgiane), giare di terracotta o capasoni pugliesi, persino barrique di “coccio” e moderni contenitori in ceramica brevettati in Italia… la terracotta merita sicuramente una certa attenzione, dato il successo che sta avendo nella produzione di Vini italiani e non solo!

Come preannunciato da tempo a chi mi segue attraverso i miei profili social, la settimana scorso sono finalmente riuscito a togliermi una curiosità che mi accompagnava da mesi, ovvero una comparativa, al quanto estemporanea, ma molto esaustiva, fra quelli che genericamente ho denominato <<Vini Anfora>>, per quanto, come leggerete di seguito, non si tratti sempre di vere e proprie anfore.

Tra le varie diatribe enoiche, quella della vinificazione o dell’affinamento in anfora sta guadagnando giorno dopo giorno uno spazio importante e, per quanto ogni diatriba distruttiva mi sembri alquanto sterile e fuori luogo, lo spunto è di sicuro interesse.
Il punto focale della diatriba è, come spesso accade, “l’Anfora, o meglio la terracotta, ha davvero un’incidenza positiva sul Vino o è solo una trovata di marketing destinata a scemare?”… diciamo che l’idea che mi sono fatto riguardo gli effetti della terracotta sul Vino che ritroviamo nel calice è molto personale e quindi soggettiva, in quanto legata alle sensazioni organolettiche vere e proprie più che ad un discorso meramente storico-culturale, che se pur importante quando parliamo della riscoperta di una tradizione antica, non credo sia di vitale importanza quando si tratti di Vino, che nonostante tutto e tutti, alla fine dei conti deve prima di tutto essere piacevole e non avere palesi difetti.
Ho letto in molti articoli ed in molti post sui social della generalizzata convinzione che la terracotta sia da assimilarsi all’acciaio in quanto inerte a livello di incidenza su profumi e gusto ed al legno per quanto concerne la microtraspirazione e quindi lo scambio di ossigeno fra esterno ed interno/Vino, ma in ambo i casi, l’assaggio dei Vini presi in considerazione, e dei quali vi parlerò uno per uno tra poco, mi porta a pensare che questa convinzione sia, in alcuni casi, errata o quanto meno non possa essere generalizzata e ridotta ad un’affermazione valida per tutti i Vini “Anfora” a prescindere.
Dico questo perché, semplicemente, il lieve e ben amalgamato aroma terroso e la sensazione tattile piacevolmente ruvida sono segni distintivi di quanto il materiale possa incidere sulle caratteristiche del Vino preso in considerazione, e lo stesso vale per l’ossigenazione, che trovo in genere più rapida, ma ben dosata, con effetti più evidenti sulle vinificazioni più “naturali” in particolare dei bianchi e meno evidente in quelle più convenzionali dei rossi.
Prescindendo specifici discorso tecnici sull’analisi della composizione chimica e sulla fisica di questi contenitori posso asserire, senza tema di smentita, che il Vino in terracotta risulti più diretto e varietale, meno condizionato da terziarizzazioni imponenti come quelle cedute dal legno; di certo la preossidazione di cui alcuni tacciano i Vini in terracotta non è pervenuta attraverso i miei assaggi, ma, altresì, nei bianchi ed in particolare i macerati, l’anfora sembra aver dato una maggior “libertà di espressione” alle note minerali, sulfuree e iodate; impronta fondamentale al naso e nel sorso, aromi e sensazioni terrose che in alcuni casi si è palesato in maniera coerente ed opportuna, confermando la mia premessa, ovvero che la terracotta può cedere qualcosina al Vino in termini di componenti aromatiche e persino tattili.
Per farla breve, come già sostenuto da molti, l’anfora è effettivamente da paragonare ad una botte di media grandezza senza cessioni di tannino e terziarizzazioni prettamente ebanistiche (è interessante invece come evolvono quelle tostate e torrefatte), con una micro-ossigenazione ottimale (nei casi in cui le anfore, vengano interrate e non vengano rivestite in cera d’api o altri isolanti). Le differenze con l’acciaio sono l’assenza dell’influenza di ioni caricati elettricamente che possano influire negativamente sull’evoluzione del Vino e la possibilità di non ovviare al controllo della temperatura con l’interramento, ottenendo una temperatura costante “controllata” naturalmente e permettendo, così, al Vino di evolvere in un ambiente più salubre.


Oltre ai Vini che ho assaggiato durante la mia degustazione informale e casalinga, segnalo anche alcune prove di “botte” fatte da Clayver ed in particolare quella del Sangiovese Grosso di Luciano Ciolfi che mi ha particolarmente colpito per la speziatura naturale e l’eleganza che sta ottenendo quello che, come per molti, è ancora una sperimentazione. Anche altri produttori come Stefano Amerighi ed Alessandra Leone hanno optato per questo contenitore che più che in terracotta, possiamo definire ceramico (gres), di fattura italiana e dalle caratteristiche meno tradizionali, ma di certo più efficienti in termini di prestazioni, se si vanno a valutare materiale/ossigenazione, forma/superficie di contatto e incidenza aromatico/gustativa sul Vino (assente).

I Vini Bianchi in Terracotta/Anfora e simili


*Terra 2014 Villa Papiano (Kvevri): tra tutti il primo ad avermi dato forti, ma ben amalgamate, sensazioni terrose. Quest’Albana è un connubio speciale di aria, terra, fuoco ed acqua, nel naso e nel sorso. Sensazioni di pesca, anice, mallo di noce il tutto integrato in uno sfondo di terra battuta. Il sorso è bello, fresco, minerale, dalla leggera sensazione tattile di ruvido, che sembra portar con se la porosità dell’argilla cotta. Bel Vino, che si differenza da molti macerati, per la sua eleganza negli aromi. Mai nome più azzeccato per un Vino… era proprio ciò che speravo di trovare! Da notare l’uso del tappo a vetro che dona eleganza e femminilità ad un concetto, quello dei tappi alternativi, al quale prima o poi anche noi italiani tradizionalisti dovremmo abituarci e che in questo caso permette anche una microtraspirazione atta ad un elevazione lenta ed omogenea, perfetta per Vini che hanno bisogno di poco contatto con l’ossigeno, in quanto già ne hanno avuto in vinificazione ed affinamento.


*Persefone 2013 Vigne dei Boschi (Kvevri): altra Albana ed altra espressione del terroir, sicuramente più minerale, con note sulfuree lievi, ma molto fresche ed espressive di un terroir molto vocato, oltre agli aromi varietali leggeri e finemente eleganti. Un sorso pulito, asciutto, senza alcuna stortura, dal tannino perfettamente integrato, capace di un finale sapido e lungo che appaga a pieno palato, mente e cuore. Un Vino di grande naturalezza, che sa essere, altresì, fine ed armonico. Il Persefone è frutto di una svolta, quella data dall’incontro di Paolo con la cultura enoica georgiana, ma soprattutto con i loro Vini, così semplicemente liberi da i costrutti dell’enologia moderna, anfora e terra, terra ed anfora, un cerchio che si apre e si chiude in maniera perfetta, come la leggenda della stessa Persefone che viveva nell’equilibrio fra luce e buio, fra una vita sottoterrena ed una sovraterrena. Un Vino dalla così sincera naturalezza che non ha bisogno di una veste torbida o aranciata e quindi di eccessive macerazioni (almeno in questo caso) per far parte di una nicchia. Questo, nonostante una personalità low profile, mai sopra le righe,  lo rende davvero riconoscibile ed apprezzabile.
Una conferma della qualità della rispettosa attenzione di Paolo e Katia Babini nel agevolare le loro vigne e la loro uva, accompagnandole in bottiglia senza stravolgerne l’essenza.


*Menis 2013 Vigne di San Lorenzo (Kvevri): a differenza dei primi due, in questo caso la macerazione sulle bucce è evidente e prorompente nel colore, da orange wine, ma a colpirmi è lo spettro aromatico che oltre al varietale, spazia su note candite e tropicali, sempre molto suadenti, fino alla pietra focaia ed al mare.
In bocca è secco, asciutto, dall’acidità marcata ed un tannino che dona importanza ad ogni sorso. Lungo e marcato nel suo essere vero e senza fronzoli. Un Vino che ho riassaggiato più volte, facendo finta di non averlo capito subito! AN-somiga-SCEMO! :-p

Quartara 2011-2012 Lunarossa (Quartare/Otri di terracotta + legno): due Fiano in purezza che più purezza non si può, vinificati con tecnica identica, ovvero lunga macerazione sulle bucce con fermentazione in otri di terracotta interrati, eppure due annate completamente diverse, se non per il fondo varietale comune. In questi due Vini ho avuto la prima conferma delle potenzialità che la terracotta ha nel rispettare la materia prima e, quindi, nel far emergere a pieno l’annata. Parliamo di un 2012 tutto miele e agrume, con fresche note di fiori spontanei e mistrà, in bocca asciutto, ma caldo e romantico, per poi chiudere in fine sapidità; la 2011, invece, parte con un sentore di fumo, quasi di sigaretta spenta, che detto così può sembrare negativo, invece vira subito su un idrocarburo che lo accosta, al naso, ad un Riesling, per poi tirar fuori terziari leggeri di spezia nera. La componente floreale emerge con qualche minuto nel bicchiere, insieme a note tropicali davvero estive. Due versioni differenti che possono dar vita ad intriganti giochi di abbinamento e di contestualizzazione, con una costante comune, ovvero la qualità e la grande profondità di entrambe le annate.




Ribolla Anfora 2006-2007 Gravner (Anfora Georgiana/Kvevri + botti di rovere): Josko Gravner sta all’Anfora ed alla Biodinamica in Italia, come Williamo Turner sta all’Impressionismo, ovvero parliamo di un pioniere, di un precursore, di un uomo che con umiltà, facendo tesoro dei propri errori, non ha avuto il timore di proporre qualcosa di diverso in un contesto che stava tendendo sempre di più all’omologazione. Sarebbe riduttivo parlare della sua storia in poche righe, quindi ci sarà sicuramente modo di dedicare un intero articolo a Gravner, ma ora preferisco parlarvi di queste due Ribolla.  Anche in questo caso, mi ritrovo nei calici due annate consecutive, se pur più “aged” delle precedenti, in quanto, ormai tutti sanno, quanto sia importante per Josko far uscire i propri Vini a loro tempo. Non ho alcun timore nel confidarvi che la 2006 è, probabilmente, il Vino biodinamico più interessante che abbia mai provato, con i suoi netti e distintivi aromi di rosmarino, salvia, sambuco e castagno, con un sorso di rara intensità scosso da una dinamica disarmante per un Vino che si stenta a credere sia in questa forma dopo quasi 10 anni, data la sua naturalità. Le leggere note ossidative, in realtà sembrano una firma d’autore, una leggera provocazione che mira a far comprendere a pieno l’essenza di un Vino unico nel suo genere, che non teme né il tempo né gli elementi, tra i quali l’Aria, con la quale ha stipulato un patto, che preveda un ragionevole scambio di attenzioni, che giovano alla beva ed aprono le porte ad un’esperienza sensoriale davvero diversa da qualsiasi altro Vino.
La 2007, annata anch’essa molto valida, vanta una minor complessità olfattiva, che lo rende più fruibile e meno complicato da abbinare e da godere anche per un neofita, che potrebbe essere preso alla sprovvista dalla personalità così spiccata e delineata del 2006. A mio parere, la maggior componente floreale nel bouquet abbinata ad una beva più fresca e decisamente meno tannica, più creare i presupposti per far rendere questo Vino il Gravner più democratico e non per questo meno buono… anzi! Con la sua pulizia e la sua finezza il 2007 concretizza la qualità di un lavoro naturale, ma mai casuale… dall’attenzione e la cura paterne, che mirano ad un’educazione libera, ma incanalata verso una vita lunga e di grande evoluzione. Sarei curioso di riassaggiarlo fra qualche anno, in quanto sono certo avrà sempre qualcosa di stupendo da raccontare.
Un calice di Ribolla Gravner sotto la luce della Luna è qualcosa di mistico! Provate per credere!


*Terra, Persefone e Menis scaturiscono dal progetto AN-somiga-FORA nato in occasione di un vero e proprio scambio culturale fra produttori Romagnoli e Georgiani, con l’obiettivo di vinificare vitigni autoctoni della Romagna con l’ausilio delle anfora georgiane e delle loro antiche tecniche.

I Rossi in Terracotta/Anfora & Co.

Lucno 2013 I Cacciagalli (Anfora): un Piedirosso biodinamico, che da buon campano non si mostra timido, anzi, tutt’altro! Mostra orgoglioso nel colore e nel naso il suo frutto rosso, tra fragoline di bosco e lampone, con una nota balsamica ed un “piccante” davvero interessante.

Fresco il sorso e di grande beva, senza eccessi, ma con grande equilibrio. Un Vino da apprezzare per la sua genuinità e la schiettezza, che nasconde un animo antico, pur non risultando anacronistico con il suo gusto dinamico e moderno.


Phos 2013 I Cacciagalli (Anfora): Aglianico in purezza e per purezza intendo il termine in senso stretto e senso lato, data la vinificazione rispettosa e spontanea di questo Vino.

Un susseguirsi di toni scuri e croccanti di frutta nera, della mineralità delle rocce vulcaniche e del pepe nero. Toni scuri che in realtà si illuminano di una luce abbagliante al sorso, pieno, forte, sincero e carico di gioia e sole. Un Aglianico davvero fuori dal coro!
In Terra 2013 Tenuta la Viola (Kvevri): dopo l’Albana ecco l’altro vitigno principe della Romagna (nonché d’Italia ovviamente), che è espresso dalla Tenuta La Viola in maniera impeccabile, estraendo dall’uva tutti i principali sentori varietali e mantenendo la beva di grande piacevolezza. Un naso di mammola, prugna, sottobosco ed humus quasi a voler rievocare la terra che lo accoglie e lo accudisce in fase di “gestazione”. In bocca è subito fresco, asciutto, ampio e minerale. L’essenza del Sangiovese senza alcun condizionamento, se non quello, leggero ed armonizzante di quella Terra al quale deve il nome.


Bogginanfora 2013 Petrolo (Anfora): senza ombra di dubbio il Vino che mi ha dato le emozioni più forti sin dal primo naso. Alle tipiche note varietali del Sangiovese, si amalgano quelle di caffé e cacao, che mi hanno inebriato, rievocando una sensazione familiare, come quella del calore e della semplicità di una colazione in famiglia con la moka sul fuoco. Il Sangiovese, senza alcun solfito, che trae colore, struttura e protezione dalle proprie bucce, in un anfora che sembra fatta, oltre che di argilla toscana, di terra e polveri di cacao e di caffé.  Una continua sperimentazione, che nell’annata 2013 conta solo 1200 bott. e che stupisce per il livello di complessità e di bevibilità dimostrato.


Petrolo è una Cantina che non ha mai accettato compromessi quando si tratta di qualità, ma che in questo caso non ha temuto di osare, nella sperimentazione, cercando il massimo della naturalità, togliendo invece di aggiungere, come in una meravigliosa scultura, che punta alla perfezione. In assoluto uno dei Rossi che mi hanno stupito ed emozionato di più quest’anno e non solo.



Barricoccio 2012 Tenuta di Rubia al Colle: l’Arcipelago Muratori ha sempre stuzzicato il mio interesse per la capacità di dimostrarsi duttili con le loro Cantine con i loro Vini, ma soprattutto per la perfetta congiunzione fra tradizione e modernità, che li vedono sempre in prima linea quando si tratta di proporre qualcosa di nuovo, senza ledere il alcun modo la qualità del Vino prodotto e mostrandosi sempre attenti alla comunicazione ed alla “veste” delle proprie creature. In questo caso la veste diventa più che altro il vestito primordiale, ovvero la placenta del Vino, che mixa il concetto di barrique a quello di anfora (barricoccio), come a rivendicare l’importanza della forma, concentrandosi al contempo sul materiale. Questo Sangiovese, tagliato come da tradizione toscana, con una piccolissima percentuale di ciliegiolo, è la massima espressione della croccantezza di frutto e della freschezza aromatica di un Vino che prima di affinare 18 mesi in barricoccio, fermenta in acciaio al fine di coniugare ancora una volta passato e presente, come a voler dimostrare che il passato non sia solo quello lontano centinaia di anni, ma anche quello recente che ha motivo di esser tenuto in considerazione per il semplice fatto che, in molti casi, ha rappresentato un’evoluzione.  Il sorso vanta una vena acida di grande freschezza ed un tannino rotondo e mai invadente. Buono il finale ed ancor meglio il proseguo… ovvero il calice che vi verserete dopo il primo, tanto facile e slanciata sia la sua beva.


Ajanoa 2009 Pinchierri Vincola Savese (Capasone): arriviamo al Capasone, la forma più territoriale, tradizionale e coerente della vinificazione in terracotta, in quanto non derivante da alcun ritorno al passato, ma semplicemente qualcosa che non si è mai smesso di fare in Puglia.
I Capasoni non sono altro che giare di terracotta, smaltate, che permettono un evoluzione ottimale per un mosto come quello del Primitivo che giova di uno scambio gassoso lentissimo e costante. Un Vino che esprime tutta la sua terra e l’allevamento ad alberello aiuta molto a concentrare aromi di frutta rossa surmatura, mai cotta, e di macchia mediterranea. Vino dalla grande potenza sia al naso che in bocca, ma senza mai risultare scomposto o spropositato. La terracotta, a differenza del legno, non cede terziari e fa emergere l’intensità di un uva piena e dolce, ma anche la mineralità della brezza marina e la freschezza di un’acidità senza la quale sarebbe davvero difficile poter pensare a questo Vino se non come Vino da meditazione. Cosa che invece è possibile, e che vi assicuro vi stupirà proprio nelle possibilità di abbinamento, meno condizionate di quelle offerte da un primitivo affinato in legno.

Il Sava 2007 Pinchierri Vinicola Savese (Capasone): non potevo che concludere in dolcezza, con un primitivo che esprime tutta la sua dolcezza, nella maniera più incondizionata e diretta, senza toni speziati, se non quelli naturali, senza sfumature boisé, ma con tanta macchia mediterranea, mirto, ginepro che ben si integrano con questa confettura di frutta rossa e nera tutta da gustare.
Meditare con questo Vino non è facile… in quanto, almeno a me, risulta impossibile distogliere l’attenzione da esso, mentre mi lascio sedurre da un’infinita coccola. Io credo che in questo caso il contatto con la superficie in terracotta interna al capasone, provochi un lieve scambio minerale, come se piccolissime molecole della terra con la quale i capasoni sono fatti, carica di tutti i suoi minerali, potesse disciogliersi nel Vino stesso.


In conclusione direi che, a prescindere dal filosofico, non so quanto filologico, ritorno alle origini, come sempre, ciò che conti sia la valutazione degli effetti della terracotta sul singolo Vino, fatto con quel singolo vitigno (o blend) in quel determinato contesto territoriale/climatico/tecnologico/aziendale, evitando un’inutile metonimia nella quale si tenda a confondere ancora il contenuto per il contenente.

E’ palese che senza precursori come Gravner in pochi (o forse nessuno) in Italia si sarebbero avvicinati a questa tecnica di vinificazione, che se pur riprenda antiche origini e tradizioni nulla ha a che vedere con la vinificazione adottata da Romani ed Etruschi, già solo per la semplice, ma enorme, differenza di know how in vigna ed in Cantina, in particolare per quanto concerne la modalità di allevamento e le strumentazioni di controllo delle fase produttive.

E’ per questo che reputo la vinificazione in terracotta una buona alternativa al legno ed agli altri materiali, a prescindere dal suo legame col passato, in quanto credo sia denigratorio e sconveniente pensare che si tratti solo di un discorso storico-culturale-tradizionalista, che per quanto importante, sarebbe per ovvi motivi destinato a scemare ed a non essere valutato in maniera oggettiva per la sua effettiva efficacia in termini di qualità.

La terracotta, le anfore, le giare, i clayver sono tutti mezzi ed in quanto tali sono da trattare, almeno a mio parere, come tutti gli altri mezzi purché abbiano il medesimo fine, ovvero cercare di dare un’identità al Vino e soprattutto di conferire ad esso qualità. Se c’è una cosa, però, che vira a totale favore di questo materiale è la maggior libertà di espressione della materia prima, che si pone in contraddizione con i vari tentativi di omologazione del Vino, che purtroppo, in sin troppi casi impedisce di apprezzare un terroir ed un’annata per ciò che sono veramente, in “favore” di un concetto di Vino studiato a tavolino, che non può appartenermi.
Ho deciso di dare 7 cuori alla degustazione nella sua totalità, in quanto le emozioni che ho provato sono state molte ed intense, dipese anche dalla splendida armonia che ho ritrovato non sono nel singoli Vino, ma nella loro integrazione.

F.S.R.
#WineIsSharing

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