Tra botti e barili con Matteo Malpassi esperto di legni della Tonnellerie de l’Adour

Inizio questo articolo citando alcuni nomi ed alcune “misure”, per introdurre l’argomento di oggi: il Vino ed il Legno, tra botti e barili.

Caratello 50-100lt
Barrique Bordolese 225lt
Barrique per Porto 250-260lt
Pièce Borgognona 228lt
Pièce de Champagne 182lt
Pièce d Lorrain 180lt
Botte >400lt
Mezza-Botte 221lt
Mezza-Barrique 110/115lt
Tonneau Bordolese 900lt
Carato/Tonneau 500lt
Foudre da 30 a 300hl
(ne mancano molte e molte hanno assunto nomi differenti in base al Paese nel quale vengono usate o prodotte, es.: Spagna e Germania).

Come al solito, però, non vorrei farvi la solita tiritera fredda e tecnica, bensì parlarvi dei <<legni del Vino>> attraverso una storia.
Tempo fa, durante una bellissima Cena di Gala tra produttori, enologi, winelovers e non solo, in occasione dell’Orcia Wine Festival, mi ritrovai seduto accanto ad un vero e proprio personaggio, tale Matteo Malpassi. Un creativo, lo vedevo nei suoi occhi (e nel suo baffo a manubrio :-p ), ma anche un grande appassionato di tutto ciò che c’è dentro ed intorno al Vino ed è per questo che ogni mia portata arrivò alla mia bocca ormai fredda… tanta è stata l’empatia fra amanti del Vino e tante sono state le più disparate eno-chiacchiere scambiate quella sera.
Ah… ma non vi ho ancora detto di cosa si occupi Matteo… rimedio subito!
Matteo Malpassi, laureato in Enologia e Viticoltura presso l’Università di Pisa,  ha deciso di intraprendere una strada differente, un percorso di più ampio respiro, da quello dell’enologo “convenzionale” portato avanti fino al 2009, probabilmente perché troppo limitante per la sua brama di conoscenza, tanto che da 6 anni svolge il ruolo di Responsabile Tecnico Commerciale su tutto
il territorio italiano per una azienda francese a carattere
artigianale che produce e commercializza barili per l’affinamento dei Vini e dei distillati.
L’azienda è sita nel sud-ovest
francese, all’interno dell’a.o.c. Madiran (il cui vitigno tipico è
il Tannat). Il suo nome è Tonnellerie de l’Adour… state tranquilli non è uno sponsor-post, non ho preso un euro per citare l’azienda, ma credo possa essere utile ai fini di una maggior conoscenza di questa realtà e dell’attività di Matteo! 😉
La sua mission è quella di intercettare le
reali necessità dei produttori e consigliare
loro il miglior strumento per raggiungere l’obiettivo
enologico che si prefiggono rispetto alla loro identità aziendale ed
ai mercati di riferimento verso i quali rivolgono il loro prodotto
finale.
Oltre al consiglio, per coloro che ci
accordano la loro preferenza, c’è anche un “suivie” annuale che
permette un costante confronto tecnico e l’eventuale applicazione di
“réglages” in corso d’opera (scusate i francesismi, ma non riesco a trovare parole migliori che quelle usate da Matteo per descrivere il suo operato), al fine di tenere sempre il timone
verso la meta individuata e questo mi ha molto colpito, in quanto, per ovvi motivi, non si tratta della solita “assistenza tecnica” perfetta per la nostra caldaia, ma meno per uno strumento vivo e unico come un fusto in legno, piuttosto si tratta di un supporto improntato sull’ascolto e sull’individuazione di soluzioni diverse, di produttore in produttore, da valutare con esperienza ed elasticità.
Sotto il profilo tecnico, l’approcciare
così tante realtà (diverse per misura e collocazione geografica) è
una ricchezza incommensurabile in termini professionali ed umani, mi confida Matteo, ma di certo lo “stare al pubblico” e per di più un pubblico così variegato ed esigente, può, a volte, risultare difficile, in quanto significa dover partire ogni mattina mettendo da parte il proprio umore mettendosi a disposizione dei produttori con
discrezione e rispetto, soprattutto in momenti congiunturali come
questo, in cui le difficoltà economiche sono palesi e colpiscono
tutti, ognuno nella propria misura. 
Dalla Cantina più blasonata al piccolo produttore in fase di start up, il suo operato diventa fondamentale là dove si richieda al legno un risultato volto a creare qualità ed originalità, non ad omologare, come, purtroppo, in alcuni casi accade.

Ciò che mi premeva sapere, da Matteo, riguarda la consapevolezza dei produttori italiani riguardo questo, che, lui stesso, ci tiene a precisare essere uno strumento.
La sua risposta è alquanto eloquente:
“Tutti ne parlano (molti sulla base di
informazioni generiche e preconcette), ma pochi veramente si sono
fatti domande tecniche e sono andati a cercarne le risposte (anche in
senso pratico, attraverso prove attivate con criterio scientifico).
Il mio consiglio è quello di pensare
al legno (indipendentemente dal suo formato) semplicemente come ad
uno strumento di cantina (come tante altre cose ivi presenti: pompe,
vasi Inox, mastelle, flottatori etc etc ) che, se conosciuto e saputo
usare all’intero della filiera produttiva, non può non dare il
risultato voluto.
Semplicemente questo: prendere
coscienza tecnico/critica del materiale , senza travisarlo (= cercare
cose che non può fare) o averne paura.”

Di certo la Francia è partita con largo anticipo ed un, probabilmente incolmabile, vantaggio anche in questo aspetto dell’enologia, ed è per questo che vanta una diversa
coscienza/conoscenza dello strumento in quanto tale e del suo
corretto utilizzo.
Inoltre, i francesi hanno, da sempre, usato i volumi più piccoli, per lo più barrique (225
lt)
, a differenza di noi italiani che abbiamo preferito botti più grandi, con un pregresso
imperniato sulle botti (da 10-15 hl in su, fino ad arrivare addirittura a 300hl).
Questo diverso uso storico trova
spiegazione in primo luogo in ragioni commerciali e non tecniche e, lo stesso Matteo, crede che, all’interno
delle cantine, i due formati possano e debbano coesistere (in
un’ottica di enologia moderna). Entrambe sono utili (anche se
lavorano su basi fisiche diverse e quindi assolvono compiti diversi)
anzi, a suo parere, sono in grado di essere l’una il complemento dell’altra. Quindi perché scartare questa
possibilità?
Se pur, io sia uno di quelli che non ami particolarmente Vini eccessivamente legnosi, sto imparando a comprendere sempre di più quanto questo non derivi necessariamente dalla sola dimensione del fusto, bensì dalla tipologia e la qualità dello stesso. Quindi, concordo con Matteo, quando mi confida di trovare abbastanza ridicolo tutto il
circo mediatico di critiche e la demonizzazione che viene rivolta ai
barili, ma ancor più sconveniente e controproducente la risposta che
alcuni produttori di Vino danno ai loro interlocutori (e danno a se
stessi in maniera giustificatoria) e cioè che la botte è la
“tradizione” per noi italiani.
In realtà i piccoli volumi in legno
esistono da sempre anche da noi in Italia. Pensate al Carato da 5hl
(che oggi chiamiamo Tonneau) o addirittura al Caratello (da 50 a 100
lt)
usato da sempre in Toscana per il Vin Santo.
Le barriques, che per “cognome”
fanno Bordeaux Transport oppure Bourgogne Export, non sono altro che
qualcosa che è nato per trasportare e commercializzare il Vino a
lunga distanza, grazie alla capacità di mantenimento del prodotto ed alla comodità della forma stessa, che ne permetteva spostamenti senza grande dispendio di energia, muovendole per rotolamento.
Noi in Italia non abbiamo mai avuto un mercato di Vino come quello che la Francia ha avuto per secoli e, quindi, è palese che il nostro utilizzo di botti grandi sia dovuto semplicemente a differenti esigenze dei produttori, che poi hanno condizionato a loro volta la tradizione enologica, ma ciò non significa che la cosa sia negativa… anzi… a mio parere ci pone in una posizione di libertà maggiore, con la possibilità ed il dovere di scegliere solo ciò che è più incline a ciò che vogliamo andare a produrre, nel rispetto delle “nostre” uve, dei nostri terroir e delle peculiarità che ci pongono in vantaggio su qualsiasi altro paese al mondo. Questo significa scegliere il “legno”, svincolandosi dalla tradizione e senza obblighi, con attenzione e curiosità, andando a conoscere lo strumento al fine di utilizzare ciò che possa effettivamente dare il risultato migliore per la produzione di quel determinato Vino. In Francia la barrique è, proprio per motivi storico-economici, legata a dei vincoli… noi possiamo usarla e dobbiamo usarla per ciò che è e per ciò che il singolo produttore sente e desidera. E’ per questo che professionisti e consulenti come Matteo Malpassi diventano di vitale importanza, per un confronto costruttivo e mirato alla qualità ed alla scelta di soluzioni “tailor made”, mai standardizzate o dettate dalla mera “vendita” e poi… diciamolo… con un professionista del genere siete in una botte di ferro… ops… scusate… volevo dire di legno!!!
Inutile ricordare che importante criterio di valutazione sarà quello improntato sulle differenze fra le varie essenze, ovvero le tipologie di quercia dalle quali proverranno le doghe utilizzare per l’assemblaggio dei fusti, tra le quali le più pregiate sono Limousin, Tronçais, Allier, Never, Vosges ed l’ormai comune rovere di Slavonia (in Italia viene utilizzato anche il castagno, molto – forse troppo – ricche di tannini). Ovviamente anche il grado ed i metodi di tostatura saranno importanti, nonché la capacità del singolo produttore (parliamo di quelli artigianali) di dare una particolare impronta alle proprie creazioni, che possa rappresentare un fattore determinante nella scelta del produttore.

Fatta tutta questa premessa sull’importanza non tanto del legno in generale, ma di una maggior attenzione e consapevolezza da parte dei produttori riguardo la scelta degli “strumenti” da utilizzare per l’affinamento del proprio Vino, non posso che chiudere l’articolo con una condivisione enoica, in puro stile #WineIsSharing, ma stavolta cortesemente “offerta” dal caro Matteo, che alla mia domanda “Qual è stata l’emozione enoica più intensa che tua abbia mai provato?” mi ha risposto così:

“L’emozione più intensa che ho provato è legata ad un Madiran 1985 (bevuto di recente, a 30 anni
dalla vendemmia) di Domaine Pichard… un Vino vibrante, teso, con ancora mille argomenti per
racconatre la sua storia, un “rivelatore” di territorio.
Incredibile. Il bicchiere ha “parlato” per almeno un ora, con e
senza il Vino dentro.”

Che vi devo dire?!? Ora mi toccherà cercarmelo questo Vino, ma prima di farlo mi sa proprio che mi farò un bel tour di legni seguendo il caro Matteo, scroccando consigli, ampliando la mia esperienza e dissetando la mia curiosità… ah sì… perché la mia non si sazia… ovviamente… si disseta! 😉

F.S.R.

#WineIsSharing

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