Oggi ero a Civitanova alta, presso l’Azienda Boccadigabbia, per una degustazione verticale di quella che è considerata una delle etichetta simbolo della storia enologica di questa regione a me così cara, forse la prima a mostrare e dimostrare che anche nelle Marche si potessero fare grandi rossi: l’Akronte.
L’Akronte, per quei pochi che non lo conoscessero, è un Cabernet Sauvignon in purezza e se vi sta balenando in mente un pensiero del tipo “ma cosa ci fa il cabernet sauvignon a Civitanova alta, a ridosso dell’Adriatico?” vi rispondo subito:
– Boccadigabbia vanta nobili fasti, in quanto fece parte dei 100 poderi della Tenuta di Napoleone Bonaparte, tanto da portarne ricordo ancora nel logo. A prescindere dalla storia, questo passaggio è importante per far comprendere ai più, la scelta dell’attuale proprietà di ripiantare quei vitigni che già in passato i francesi avevano utilizzato per produrre vini largamente apprezzati all’epoca. In particolare Merlot e Cabernet Sauvignon. Vuoi vedere che questi francesi c’avevano preso anche in questo caso?
La verticale di oggi sembra confermarlo, senza ammettere repliche, in quanto se c’è una cosa che si è palesata di calice in calice questa è stata proprio la grande vocazione del territorio, che unita ad una capacità rinnovata negli anni di interpretare il vitigno e l’annata, fa dell’Akronte un grande Vino.
Partendo dal presupposto che le annate in degustazione fossero 13, dalla 1992 alla 2010, quello che vorrei condividere con voi è un modo diverso di valutare questa verticale, senza dare voti, senza stilare elenchi o fare classifiche di gradimento, bensì traendo conclusioni personali che reputo utili ad inquadrare in senso più generale questo Vino, con solo dei piccoli accenni alle annate in un’ottica più ampia. Se c’è una cosa di cui sono felice è che a seguirmi siano colleghi, sommelier, produttori, ma anche neofiti o semplici appassionati e non nego che quando scriva, lo faccia con un costante occhio di riguardo per questi ultimi, in quanto gli altri di Vino ne sanno già più di me! Quindi scrivere che un Vino prodotto in ca. 2000 bottiglie l’anno, sia stato più o meno buono 24 o 23 anni fa, cosa cambierebbe? Oltre ad essere quasi irreperibili, molte di quelle bottiglie sono frutto di una viticoltura diversa, di una concezione differente del Vino e soprattutto di un condizionamento, voluto o non voluto, ma presente, di mercati e media anacronistici se presi in considerazione oggi.
Ciò che ho percepito e che mi è stato confermato da un’alternanza di aneddoti simpaticissimi e di racconti di rara profondità e trasporto di Elvidio Alessandrini, deus ex machina di Boccadigabbia, è quanto l’Akronte sia stato soggetto a fasi relative non solo ad annate più o meno buone ne tanto meno a mere dinamiche di cantina, per quanto esse siano state incidenti, bensì alla vita dello stesso Elvidio ed ai suoi stimoli. Perché il Vino è davvero espressione di chi lo produce ed in questo caso gli assaggi lo hanno dimostrato in maniera più che sincera e concreta.
Nella prima fase dal ’92 al ’98 nonostante la poca esperienza delle vigne, i Vini sono comunque risultati straordinariamente longevi, a parte qualche cottura dovuta all’annata eccessivamente calda alla quale il Vino ha reagito con personalità, producendosi in spiccate note carnose ed umami al naso, ma mantenendo ancora sostanza in bocca. Nelle annate più interessanti ed equilibrate l’Akronte ha saputo esprimere un varietale dallo spettro elegante e centrato, con note evolutive tipiche di molti grandi rossi, con escursioni nell’eccellenza come le nitide note di goudron (come nella ’96 ad esempio), oltre a stupire per la capacità di mantenere un buon sostegno acido nelle annate più fresche.
Sarebbe inutile fare l’elenco dei bocciati, dei rimandati e dei promossi a pieni voti, in quanto parliamo di bottiglie che già per il solo fatto che siano state aperte e non lavandinate rappresentino un unicum, almeno per le Marche, per essere volutamente contenuti.
La seconda fase, quella dal 2000 al 2005 parte con difficoltà dovute all’annata, ma si riprende in grande stile trovando la quadratura nel cerchio nelle annate più fresche ed equilibrate, tanto da ritrovarmi nel calice almeno due Vini con almeno un paio di lustri davanti, per raggiungere l’apice.
Nel 2006 un drammatico accadimento colpisce l’azienda e questo segna, a mio parere, non solo un cambiamento nelle dinamiche di produzione in genere, ma soprattutto nella capacità di Elvio di trovare quegli stimoli per continuare a fare Vino, tanto da essere arrivato a sentirsi addirittura un vignaiolo pentito. Come sempre, però, nella vita come nella “vite”, ci sono due strade per affrontare i momenti bui, la prima è dichiararsi sconfitti ed arrendersi al declino, mentre la seconda è rialzarsi e cercare di trovare dentro di sé la forza di volontà e la passione per andare avanti con positività e propositività. Inutile dirvi che l’istrionico Elvio, grazie anche all’arrivo in azienda di suo figlio Lorenzo, abbia optato per la seconda scelta e che l’abbia fatto con grande umiltà e consapevolezza.
La risposta a questa positività è arrivata nella terza fase, quella che contempla le annate 2007 e 2008, nelle quali, almeno io, ho potuto apprezzare il Cabernet Sauvignon di Boccadigabbia, nel pieno del suo terroir, cosa che anche nelle più eleganti e maestose vecchie annate, era giustamente amalgamato ad un evoluzione “comune” ai grandi cabernet, ma questo vale per tutti i vini, capaci di esprimere meglio la meravigliosa miscela di varietale + terreno + uomo nei “primi” anni di vita (parliamo pur sempre di vini di quasi 10 anni), piuttosto che ad evoluzione inoltrata, quando la terziarizzazione ed il tempo prendono il sopravvento.
Probabilmente i due Vini che vorrei stappare di anno in anno fino alla loro piena maturità, in quanto fermamente convinto siano destinati a grandi cose.
Come vi dicevo inizialmente, però, la verticale non si è fermata alla 2008, ma c’è ancora una quarta fase da scoprire ed è quella appurata grazie alla mescita da parte del consulente dell’azienda, Riccardo Gabriele, dell’Akronte 2010, che definirei nell’accezione più positiva del termine “un altro Vino”, tanto netto sia stato lo stacco con tutti gli altri assaggi.
L’arcano è subito svelato e si tratta dell’ingresso in cantina di un nuovo e brillante enologo, Emiliano Falsini, che dopo un confronto con Elvidio ha compreso quanto potesse essere interessante lavorare su una materia prima così valida, andando a cercare di trasformare qualcosa di demodé (Elvio definisce così il cabernet sauvignon ironicamente, con cognizione di causa) in un Vino contemporaneo, di estrema pulizia, aperto a palati più giovani che ne apprezzeranno la spiccata freschezza e la vivida espressività; davvero armonico nella corrispondenza naso-palato.
Da notare un uso del legno davvero ponderato, che a mio parere ha fatto e farà la differenza da questa annata in poi, anche in termini evolutivi.
Questo mi fa ben sperare e da nuova linfa all’Akronte, Vino che sembra avere 7 vite e dato che per ora ne abbiamo viste solo 4 non mi stupirei se vedessimo altre ere ed altre evoluzioni, sempre in positivo, di quello che è un Vino degno di essere parte della storia enoica marchigiana ed italiana.
Ah, stavo quasi per dimenticare, che al termine della degustazione Elvidio ci ha concesso una digressione dal Cabernet Sauvignon, stappando un Saltapicchio 2006 il suo sangiovese, beh… tanta roba e questo Napoleone non lo sapeva!
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