La Cantina Pieve de’ Pitti ed il suo Moro di Pava

C’è una parte dell’enografia italiana e toscana che viene citata poco spesso, nonostante vanti territori e terreni più che vocati e grande tradizione. Parlo delle Terre di Pisa, bacino vitivinicolo al quale il Chianti attingeva ed al quale deve parte del suo fasto. E’ proprio in queste terre che che si trova la Cantina in cui vi porto oggi: Pieve de’ Pitti. Un’azienda a conduzione familiare, che deve il suo nome ad una storica famiglia fiorentina, proprietaria della fattoria fino alla metà del XVII secolo e alla pieve di San Giovanni di Pava, sorta sulle rovine di una antica chiesa etrusca e ancora oggi consacrata.
Cantina pieve de pitti
Ho conosciuto quest’azienda dapprima tramite un Vino da loro prodotto, il Moro di Pava, e poi grazie all’incontro con Caterina, attuale responsabile di vigna e cantina, nonché membro della famiglia Gargari, attuale proprietaria di quella che oggi è a tutti gli effetti un’azienda agricola. Per quanto concerne la viticoltura, Pieve de’ Pitti è passata dall’essere una residenza di campagna ed una riserva di caccia per il nonno di Caterina, fino all’avvento dei vigneti grazie all’intervento dell’indimenticato Giacomo Tachis, padre del Sassicaia, che amico dell’allora fattore, si prodigò in consigli atti ad effettuare un ampliamento che contemplasse l’impianto delle prime vigne per la produzione di Chianti. 
Se i ricordi di Caterina riportano a momenti di relax familiare e di contatto con la natura, per arrivare alla produzione di vino imbottigliato a marchio Pieve de’ Pitti dobbiamo saltare fino al 2001, quando non l’intera famiglia non ha solo deciso di cambiare attività, bensì di mutare totalmente le dinamiche della propria vita andando andando a vivere in pianta stabile nella tenuta, in modo da potersi impegnare al meglio nella trasformazione della fattoria in una azienda agricola a tutti gli effetti.
Durante i primi anni di gestione, gli investimenti sono stati primariamente orientati al recupero e al rinnovo del patrimonio vitivinicolo, estirpando buona parte degli ettari di chianti, e impiantando nuovi vigneti nel rispetto della tradizione viticola delle Colline di Pisa.
Dal 2008 la gestione dell’azienda è integralmente in mano alla famiglia, che cura direttamente l’intera filiera di produzione: dalla gestione agronomica dei vigneti, all’imbottigliamento e alla commercializzazione: Caterina – vigna e cantina; Sergio (Padre di Caterina) – resp. vendite; Ida (la mamma) – responsabile matrimoni ed eventi, accoglienza agriturismo; Lorenzo (il fratello) – spedizioni, logistica e magazzino.
 
Ciò che mi affascina di quest’azienda è proprio l’unanimità familiare e la coesione nel portare avanti una tradizione vitivinicola territoriale che stava ormai cedendo il passo a dinamiche più legate alle tendenze enoiche che alla reale vocazione ed alla naturale predisposizione del territorio. Parliamo quindi di vitigni autoctoni e sistemi di allevamento a bassa densità di tipo tradizionale (cordone e archetto) e di una ricerca votata tutta alle produzioni tipiche delle zone di Pisa, in primis il Chianti Colline Pisane (la prima etichetta imbottigliata è stata il Chianti Cerretello) che negli anni 2000 molti produttori avevano abbandonato, in favore della più popolare denominazione IGT dei Supertuscan, oltre alla volontà di riscoprire vitigni storici delle nostre colline come il Trebbiano, oggi vinificato in purezza e che costituisce
la base di una delle DOC tipiche delle Terre di Pisa, la DOC San Torpe.
Per quanto riguarda il lavoro di cantina, Caterina manifesta fermezza nella in quella che non ha l’aria di essere una mera filosofia, bensì una concreta presa di coscienza, che l’ha portata ad avere un approccio naturale alle vinificazioni, concedendo un minimo intervento della tecnologia e della chimica, con grande uso delle vasche di cemento che fin dall’inizio sono state il valido supporto alla vinificazione del sangiovese.
I vigneti della Pieve de’ Pitti si stendono a raggiera sulla collina dove si trovano la Villa e la cantina e che costituisce il crocevia geologico tra le Terre di Pisa, l’Alta Valdera e il Volterrano. La cosa più interessante in ambito agronomico è che ciascun vitigno è piantato su almeno 2 tipologie di suolo diverso e con 2 esposizioni differenti, per comprendere la diversa risposta espressiva a micro-climi specifici e quindi avere margini di complementarietà sui quali lavorare in cantina, creando una perfetta sinergia tra vigneti differenti, ma dello stesso varietale. 
 
Anche negli obiettivi Caterina è molto schietta e decisa e ciò che vorrebbe (in realtà lo sta già facendo) è garantire ogni anno una piccola produzione che vanti peculiarità caratteriali e di personalità nette e ben definite,  in grado di incuriosire in maniera trasversale chi assaggerà i suoi Vini, con esperienze de-gustative originali. Vini che non annoino… “vini che raccontino qualcosa di me e delle brezze di mare che portano sale e scompigliano i capelli e le viti”.
Tra gli aneddoti legati a questa cantina ce n’è uno che, per fortuna, ha avuto esiti positivi, ovvero la volontà dell’ex enologo di estirpare una vigna di trebbiano che ha attualmente 45 anni per lasciar spazio a viti di Merlot… è da quella vigna che oggi viene prodotto il Tribiana di Pieve de’ Pitti.
moro di pava vino
Il Vino di cui vi vorrei parlare oggi, però, è il Moro di Pava, sicuramente il più rappresentativo, che nell’annata 2008 rappresenta, come già accennato sopra, la prima annata a conduzione totalmente familiare, nonché la prima annata di produzione di questo Vino così come lo conosciamo ora, quindi un vero e proprio spartiacque per l’azienda:
 
Moro di Pava 2008 IGT Rosso Toscana: uno di quei Vini in cui il Sangiovese mostra il suo lato più timido, intimista e meno espansivo e diretto… quel “vedo e non vedo” che può deludere chi ha troppa fretta, ma intriga chi sa attendere e, per di più, ha imparato a godersi l’attesa enfatizzando ogni minima sensazione percepita. Una volta presa un po’ di confidenza con l’ambiente e con me tutto diventa man mano più chiaro a partire dal piccolo frutto rosso pieno ed ancora vibrante, mentre l’affinamento non invasivo ha permesso al varietale di lasciar intuire la sua naturale speziatura, che in molti hanno dimenticato. Il Moro di Pava dimostra una naturale predisposizione all’evoluzione in bottiglia, ma ancor più nel calice dove col passare dei minuti acquisisce notevoli sfumature che spaziano da ricordi di piante di pepe e ginepro a serate rum e cioccolato seduti sulla poltrona di pelle, ormai consumata, del nonno che fumava sigari toscani. Il naso è duro a concedersi, ma quando si lascia andare trasforma ciò che inizialmente intrigava la curiosità in una reale e concreta seduzione. E’ in bocca, però, che stupisce, con una freschezza più che intatta, che apre con garbo e senza veemenza palato ed anima in attesa del secondo sorso, che è la conferma di un’intuizione, la certezza di aver assaggiato un Vino sincero, quanto chi lo produce.
 
Una realtà che ha ancora tanto da esprimere, grazie alla voglia di fare e la continua ed impellente necessità di sperimentare di Caterina e quindi una di quelle Cantine che non mi annoierò di certo a seguire di annata in annata.
F.S.R.
#WineIsSharing

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