Fattoria La Striscia ad Arezzo di Ilaria Occhini – Tra palco e realtà

Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni di girovagar enoico è di non essere mai prevenuto riguardo le proprietà di un’azienda o il modus operandi della cantina stessa.
E’ per questo che, se prima alcuni principi potessero tenermi a distanza da alcune realtà, oggi, invece, in tutta sincerità, mi incuriosiscono e mi spingono ad approfondire e ad appurare quanto quelle dinamiche influiscano su ciò, che alla fine dei conti, ha sempre ragione, ovvero il Vino!
Oggi vi porto nella bellissima Arezzo, che ho bazzicato molto negli ultimi 10 anni, vivendo a pochi km da essa, ma che, come capita spesso, ho frequentato poco in termini enoici. Ultimamente, però, sono riuscito a trovare diverse realtà, unite da un approccio bio-consapevole in vigna ed in cantina che mi hanno spinto ad assaggiare diversi Vini prodotti in questa zona, che a livello paesaggistico non è seconda a nessun’altra in Toscana. La cantina di cui vi parlerò è quella della Fattoria La Striscia.
la striscia arezzo cantina
Parlavo di “pregiudizi” perché qualcuno di voi al solo leggere che la padrona di casa della cantina La Striscia sia una famosa attrice italiana di cinema e teatro come Ilaria Occhini (dal curriculum impressionante) potrebbe pensare ad una semplice imprenditrice che da altri settori abbia deciso di convogliare le sue finanze in un progetto vitivinicolo come molti altri fanno, eppure non è così!
La Fattoria La Striscia è di proprietà della famiglia Occhini dal XVIII secolo, sorge sulle colline aretine a soli 900 metri dalle vecchie mura fortificate della città e si estende su una superficie di 14 ettari di vigneti esposti a sud – sud est ed iscritti alla DOCG Chianti. L’azienda vinicola le cui antiche origini sono documentate dall’iscrizione nel Registro delle Imprese già dal 1850, ha da sempre operato nel pieno rispetto del territorio conseguendo nel 2013 la certificazione biologica.
Eppure è solo grazie ad una sincera passione ed alla voglia di Ilaria Occhini, di sua figlia Alexandra e dei nipoti Caterina e Bernardino, che a partire dal 2001 l’azienda ha intrapreso una fase di rinnovamento che, mediante l’integrale reimpianto di tutti i vigneti 5500 piante per ettaro e l’adeguamento dell’antica cantina, ha dato vita ad un nuovo inizio fatto di lavoro, attenzione e rispetto.
La scelta di un approccio che alcuni definirebbero “naturale” deriva dalle radici della famiglia, che hanno sempre rispettato profondamente questo territorio e la terra in quanto tale, ma soprattutto proviene da una volontà ferma e convinta di conferire e, quindi ritrovare, identità e personalità di terroir nei propri vini.
Quindi niente chimica in vigna e fermentazioni sia alcolica che malolattica che avvengono in maniera naturale utilizzando i soli lieviti indigeni. Inoltre non viene adottata alcuna pratica enologica come stabilizzazioni e chiarifiche, cosa che per i rossi, specie base sangiovese io non reputo una scelta così azzardata, anzi..! Per i bianchi apriremmo diatribe eterne, legate alla possibilità di adottare un approccio del genere in ogni cantina, in ogni territorio e con ogni varietale, cosa che io credo andrebbe approfondita tramite studi seri e concreti.
Comunque passiamo ai Vini che ho avuto modo di assaggiare:
Bernardino 2015 Chianti D.O.C.G : 90% Sangiovese 10% Malvasia nera, Colorino ed un piccolo saldo di Merlot, tutto in cemento come piace a me! In primis devo dire di averlo trovato pulito al naso, senza storture di sorta ed il rischio poteva essere dietro l’angolo, ma in realtà il garbo c’è e si sente. Un Chianti a metà strada fra la tradizione (nella quale rientrano Colorino, Canaiolo e sicuramente anche la Malvasia) e la contemporaneità che vede sempre più la purezza aprioristica (non sempre giustificata) come dogma, che ha un senso ed una sua integrità nel bicchiere, grazie ad un buon equilibrio per un Vino che definire da pronta beva sarebbe denigratorio. Fresco, dinamico, addirittura intrigante nell’esaltare la naturale e leggera speziatura del Sangiovese. Si fa bere, senza tanti fronzoli e parla di sé, di com’è stato fatto e di dov’è stato fatto e per il Vino d’entrata di una cantina, che deve fungere da biglietto da visita, questo è tutto ciò che si possa chiedergli. Se dovessi abbinarlo ad una delle opere teatrali recitate dall’attrice Ilaria Occhini sceglierei di certo la commedia “Ciascuno a suo modo” di Pirandello, pionieristica visione di quella che è l’influenza dell’apparenza sulla realtà e viceversa, come il più classico dei cani che si mordono la coda, si instaura un rapporto bidirezionale fra chi guarda e chi recita, chi beve Vino e chi lo fa, che pone le basi per una concezione enoica che non può essere dedotta dal solo contenuto di una bottiglia, ma di tutte le giuste e desiderate (chi consciamente chi inconsciamente) suggestioni che nascono dalla conoscenza di una realtà, dalle parole di un produttore, dal momento in cui si assaggi quel determinato Vino con quella determinata etichetta, proveniente da quel determinato territorio. Mi piace la schiettezza con la quale questo Chianti si mostri per quel che è, quasi in contrapposizione con l’arte di cui Ilaria Occhini è maestra ed al contempo apprezzo il condizionamento che ho proprio nel ritrovare naturale bellezza e definita personalità sin da questo primo assaggio.
Occhini IGT Toscana Sangiovese: 100% Sangiovese (da un cru aziendale) vinificazione ed affinamento per un anno in tino troncoconico, tanto per darvi un dettaglio tecnico. Se nel Chianti il Sangiovese, meno selezionato, ma comunque ben lasciato libero di esprimere la sua indole, mi aveva colpito, in questo caso, pur attendendomi di più dal cru, resto stupito non solo dai sottili equilibri e dalla personalità di questa bottiglia, bensì dall’eleganza, suadente, sensuale eppur spontanea e naturale. Anche in questo caso non posso non apprezzarne la freschezza e la grande piacevolezza nel sentir scorrere dalla bocca al cuore un Vino che evolverà, forse in fretta, non so… ma che, nonostante l’annata non delle migliori per i rossi, si fa strada nei meandri delle mie emozioni e strimpella le corde giuste, quasi come mi conoscesse da tempo immemore. Come scrivo spesso io amo gli equilibri, in senso lato, ma amo anche l’adrenalina che l’equilibrista ha nel guardare giù, mentre cammina sul filo, illudendo il pubblico che stia per cadere, ma consapevole di aver tutto sotto controllo. La vigna ha spesso molta più esperienza dell’uomo e sa regalare sorprese anche là dove l’uomo potrebbe pensare di dover rimediare alle brutture e le sfortune di un’annata apparentemente negativa e quando la si lascia esprimere… la vigna… è in grado di trovare da sola i suoi equilibri, basta solo rispettarli nell’approcciarla e nel vinificare ciò che andrà a produrre. Questo non è e non deve essere un concetto ad esclusivo pannaggio dei vignaioli “naturali”, bensì di tutti coloro che ricerchino identità di terroir nei propri Vini. Con questo, ribadisco che ci sia una bella differenza fra concetti del tipo “faccio vino come lo faceva mio nonno”, “faccio il vino del contadino” o ancor peggio “io al mio vino non gli faccio nulla”… perché l’uomo è fondamentale in vigna ed in cantina, con le sue scelte e la sua interpretazione della propria terra e delle proprie uve.
Il discorso è sempre il solito e molto semplice: se si può evitare chimica e si può avere un approccio più rispettoso nel gestire la vinificazione, magari senza fare la lista della spesa presso i venditori di prodotti enologici e senza alterare in maniera chimica o pseudo-tale le naturali peculiarità organolettiche dei varietali, credo sia più che apprezzabile, l’importante è che tutto questo non diventi motivo di sterili diatribe e insensate prese di posizione, nei riguardi di approcci egualmente rispettosi, ma che per motivi di annata, territorio e varietali non potrebbero portare a termine vinificazioni sicure e di qualità adottando principi che non prevedano l’interpretazione di queste varianti da parte di chi fa Vino, sempre senza snaturarne l’essenza e l’integrità.
Ecco perché a questo Vino abbinerei un’altra opera recitata dall’attrice Ilaria Occhini, ovvero “Misura per misura” di William Shakespeare, che sembra prender spunto da un verso del vangelo secondo Matteo che racchiude per me molto della mia visione del Vino:
“perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati”.
Scusate la digressione, ma è fondamentale per me prendere spunto da realtà concrete, come quella de La Striscia, per porre le basi di un dialogo più aperto e costruttivo fra le varie branche enoiche che spesso, senza motivo, si scontrino. Io continuo e continuerò ad assaggiare Vini fatti con rispetto, secondo la mia individuale concezione di un termine che già da solo dovrebbe bastare a creare un disciplinare! In questo caso, devo dire che la genuinità dei Vini di questa cantina mi ha particolarmente colpito, soprattutto perché non ho trovato alcun difetto che potesse inficiare le mie sensazioni e le mie emozioni in degustazione.
F.S.R.
#WineIsSharing

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