Le “curiosità” enoiche da assaggiare al Vinitaly

Il Vinitaly, che dir se ne voglia, rappresenta un vero e proprio Luna Park per winelovers di tutti i comparti enoici e, nonostante possa rappresentare un contesto difficile da approcciare per nicchie e piccole realtà, ci sono alcuni vini che molti appassionati potrebbero non aver mai avuto modo di assaggiare prima d’ora.
Parlo di vini prodotti da aziende molto coraggiose (a volte troppo? Bah… decidetelo voi!) e con quella giusta dose di follia creativa che non guasta mai che porta i vignaioli a cimentarsi con sfide a dir poco proibitive, per poi riuscire a portare nel calice qualcosa di straordinariamente unico. Colgo, quindi, la richiesta fattami da alcuni amici sui social relativamente ad assaggi “particolari” da provare al Vinitaly condividendo con voi alcuni dei vini prodotti da vitigni meno conosciuti e meno coltivati, oggi, in Italia. Vini da eno-nerd? No, semplicemente vini meno conosciuti, che credo valga la pena assaggiare e comunicare. Da notare che molte dei vini sono prodotti da cantine che avevo già contemplato tra quelle da conoscere elencate qui: www.wineblogroll.com/cantine-vinitaly.
Ecco i Vini che vi consiglio di assaggiare al prossimo Vinitaly se siete curiosi almeno la metà di quanto lo sia io:
Abrostine: Il Podere Santa Felicita è uno dei
fazzoletti di terra baciati dal dono raro – rarissimo in Italia –
di poter ospitare e far esprimere al meglio la bestia nera, anzi
“noir”, dei vitigni internazionali: il Pinot Nero. E’ qui che il
Maestro Federico Staderini fa da trimite fra la natura e la
bottiglia, in maniera rispettosa e consapevole. Ma non è del Cuna
che vi sto parlando, per quanto un grande Pinot Nero in Italia sia
già di per sé ben più di una “curiosità”. Ciò che vi
consiglio di provare (sperando ne abbia qualche bottiglia con se al
Vinitaly!) è il Sempremai, vino ottenuto da uve Abrostine.
L’Abrostine è un vitigno di origine etrusca nata
dall’addomesticazione della vite silvestre e per questo molto
resistente. Le piante sono protette con decotti naturali e la
fermentazione avviene con lieviti indigeni.

Famoso: altro
vitigno molto diffuso tra Romagna e nord delle Marche, che sarebbe
scomparso del tutto senza la passione ed il coraggio di alcuni,
pochi, produttori tornati a credere in quest’uva molto profumata, che
mantiene quella bellissima dualità armonica di cui dispongono quei
varietali in cui coesistono un’anima contadina/artigiana ed una
naturale vocazione alla sincera eleganza. Il Conventino di
Monteciccardo a cavallo fra Marche e Romagna, rappresenta per me la
realtà capace di esprimere al meglio sia l’essenza fresca e
divertente di questo vino, che quella più inaspettatamente profonda
e longeva. Ho assaggiato 6 annate del Famoso del Conventino e vi
assicuro che le sorprese (in positivo) non sono mancate.



Burson: chi
mi segue da un po’ conosce la mia grande passione nei confronti di
quest’uva, della sua storia e del vino da essa scaturito, ma lasciate
che vi rinfreschi la memoria…

L’Uva
Longanesi, anche detta Bursona in dialetto romagnolo, è un vitigno
autoctono della zona di Ravenna e ad oggi gli ettari vitati sono
all’incirca 200. Pochissime le cantine che coltivano questo vitigno
dalla storia a dir poco singolare. Infatti, fu solo nel 1920 che Aldo
Longanesi trovò un vite a lui sconosciuta, abbarbicata ad una
vecchia quercia, nel suo podere a Bagnacavallo, per poi decidere di
utilizzarla per vinificarla in purezza. Ad oggi la tecnica di
vinificazione è molto simile a quella dell’Amarone, con appassimenti
lunghi e grande attenzione nell’affinamento in legno. La Tenuta
Uccellina
 è stata una delle prime a credere in questo
autoctono e sta portando alta la bandiera del Burson in Italia e nel
mondo, quindi non posso che consigliarvi questa realtà come
riferimento per questo vino.
Visto
che ci siete, magari, assaggiate anche le due bollicine… Sì,
perché alla Tenuta Uccellina… come dire… le cose facili non è
che piacciano poi molto! I due Metodo Classico, infatti, sono
prodotti uno con uve Lanzesa e l’altro con uva Pelagos. Cosa sono?
Assaggiatele, non vorrei condizionarvi!


Centesimino: ancora
Romagna ed ancora una storia a dir poco originale. Il Centesimino è
un vitigno autoctono della zona di Ravenna, Forlì, Cesena e del
Faentino. Sembra che questo vitigno sia presente nella zona sin dagli
anni ‘60: si racconta che i numerosi impianti messi a dimora in
quel periodo nella zona di Oriolo dei Fichi derivassero da impianti
precedenti, a loro volta realizzate con il materiale reperito da un
vigneto presente nel “Podere Terbato” di proprietà del signor
Pietro Pianori, detto Centesimino, per via della sua proverbiale
avarizia. Il Vino di riferimento, secondo me, oggi, per questo
vitigno è il Monteterbato della Cantina San Biagio Vecchio.
Un assaggio dal grane impatto olfattivo, che spicca per equilibrio
fra struttura ed eleganza.

Incrocio Bruni 54: vitigno di cui
vi ho parlato qualche giorno fa, quindi vi rimando a questo link per
la sua storia: http://www.wineblogroll.com/incrocio-bruni-54. Anch’esso
diffuso principalmente nelle Marche e prodotto da aziende che ho già
citato e presso le quali potrete trovare, quindi, anche altri vini
rari: Finocchi Viticoltori, Cantine Fontezoppa, Il Conventino di Monteciccardo e Terracruda.
Tra
gli Incroci interessanti da cercare tra gli stand del Vinitaly
segnalo anche l’Incrocio Manzoni 6.0.13 (Riesling Renano e Pinot
Bianco) e l’Albarossa (Nebbiolo e Barbera).

Ribona: vitigno
autoctono a bacca bianca molto raro, coltivato solo nell’entroterra
marchigiano e più precisamente nella provincia di macerata. Dal
nobile tannino e di grande sapidità minerale (a dimostrare che sia
insita nel corredo del varietale stesso, c’è la quasi totale assenza
di salinità nei vini prodotti con uve coltivate negli stessi
vitigni, con stessi terreni e stesso microclima) riesce a dar vita a
bianchi di grande longevità. I riferimenti, con due interpretazioni differenti, ma complementari del varietale sono sicuramente le Cantine Fontezoppa (sia ferma che metodo
classico) e Boccadigabbia.
Interessante, presso lo stesso stand di Fontezoppa, potrà
essere, anche, l’assaggio di tre diverse interpretazioni del
vitigno 
Vernaccia Nera di Serrapetrona (70ha
coltivati in totale, probabilmente nel mondo), per di più nelle
versioni ferme, quindi non spumantizzata come da “pseudo-tradizione”. 

Garofanata: Un
tempo coltivato tra la vallata del Misa e del Suasa, a cavallo tra le
province di Ancona e Pesaro, era ormai quasi del tutto scomparso,
quando l’azienda Terracruda di Fratte Rosa, ha
pensato bene di avviare un progetto di riscoperta, reinterpretandolo
in chiave moderna e proteggendolo, così, dall’estinzione. Vino dal
grande fascino floreale al naso, un vero e proprio soffio di
primavera, elegante e luminoso.

Tazzelenghe: il
Tazzelenghe è un vitigno storico friulano a bacca rossa, originario
della zona collinare di Buttrio, Cividale (UD). Nello scorso secolo
era molto apprezzato, soprattutto come varietà da affinamento botte,
e largamente diffuso in Friuli Venezia Giulia, ma successivamente se
ne persero quasi totalmente le tracce a causa del boom dei bianchi
friulani.
Il Tazzelenghe ha un tannino
importante, che necessità di un adeguato affinamento in legno per
addolcirsi, dando così origine a Vini di rara complessità e
profondità, ma non sempre di facile approccio. Io ho trovato molto
nelle mie corde il Tazzelenghe dell’azienda Le Due Torri.

Rossese
Bianco:
 un’uva che si pensava ormai perduta, riportata in
auge da pochissimi produttori. Io ho avuto modo di assaggiarne solo
due versioni e quella che mi ha colpito di più è stata, senza tema
di smentita, quella della Cantina Josetta Saffirio, in
quanto in linea con le esigenze del mio palato oggi. Un vino
freschissimo, nonostante la solida struttura sorretta e slanciata da
una spina dorsale minerale salina davvero dinamica. Vino che fa
pensare ad un grande potenziale evolutivo, in quanto dopo 3 anni
dalla vendemmia sembrasse ancora un infante.

Ruché: un
grande autoctono piemontese che si sta facendo conoscere sempre di
più e con grandi riscontri fra i winelovers. Riscoperto grazie a due
personaggi di Castagnole Monferrato: il parroco don Giacomo Cauda che
alla fine degli anni settanta si è dedicato con grande entusiasmo
alla produzione del Ruchè, e il sindaco Lidia Bianco – già
segretaria della
scuola d’agraria di Asti – che si è impegnato
per fargli assegnare la denominazione d’origine controllata ,
peraltro ottenuta nel 1987.
Il mio riferimento per il Ruché, sia
per qualità che per sfumature interpretative proposte, è sono
le Cantine Sant’Agata.

Maruggio/Maresco:
ho scelto questo vitigno in quanto molto affascinato da un vino
assaggiato qualche anno fa e riassaggiato qualche settimana fa con
grande soddisfazione: Maccone Spumante Metodo Ancestrale da uve
Maruggio di Donago Angiuli. In questo caso abbiamo due particolarità,
ovvero l’utilizzo di un vitigno poco conosciuto come il Maruggio o
Maresco in passato molto più diffuso, oggi raro persino nella sua
Puglia e la scelta della tecnica ancestrale per quanto concerne la
spumantizzazione, quindi una vera e propria curiosità.

Lagarino
Bianco
: un vitigno presente da tempo immemore nei vigneti della
provincia di Trento, oggi, purtroppo, quasi perduto del tutto. Un’uva
nota per la sua spiccata e tagliente acidità, che arriva a noi,
oggi, grazie a vigneti che si aggirano attorno ai 50/60 anni. Grazie
ad un progetto di ripristino e tutela dei vitigni storici trentini
Alfio Nicolodi ha utilizzato le sue uve (di un vecchio vigneto e di
un impianto più recente) per la produzione di un Metodo Classico, il
Cimbrus Brut e siamo a Faver, in Val di Cembra.

Ormai
diventati dei veri e propri casi enoici non mi sento di metterli fra
le curiosità, ma il Vinitaly sarà un ottimo contesto per assaggiare
alcuni dei migliori Timorasso e Trebbiano Spoletino, vini
di grande contemporaneità e longevità.
In
Sardegna troverete vini prodotti con uve Cagnulari e Bovale da
cantine come Siddura e Li Duni, davvero degni di nota, mentre in
Sicilia potrete trovare Perricone e Nocera in Sicilia, in Puglia il Susumaniello, in Toscana Sanforte, Vermentino Nero, Pulcinculo, Pugnitello… insomma c’è davvero solo da divertirsi! Altro assaggio che consiglio, in quando davvero luminoso, potrà essere quello di alcuni dei vini prodotti con
uve Biancolella, vitigno coltivato nella stupenda Isola di Ischia.


Segnalo anche un’unicum in Italia, ovvero il Tempranillo a piede franco dal quale nascono i vini dell’azienda toscana Pietro Beconcini di Leonardo Beconcini, che ha avuto l’ardire di custodire, valorizzare ed interpretare al meglio questo vitigno internazionale molto coltivato in Spagna e Sud America, portato probabilmente dai pellegrini a San Miniato attraverso la Via Franchigena.

Infine
c’è una nicchia, sempre più importante, alla luce di ciò che sta
accadendo in molte parti d’Italia per via dei cambiamenti climatici,
ovvero i vini da uve PIWI (acronimo di 
pilzwiderstandfähig), ovvero uve da viti resistenti a funghi e
patologie che per alcuni produttori, specie in Trentino,
rappresentano la vera e più integra forma di viticoltura biologica.
Esistono realtà che riescono a portare uve sane in cantina senza
entrare mai in vigna con trattamenti di sorta. Ad oggi ho assaggiato
solo alcuni vini da varietà Solaris, ma prima di consigliarvi
qualcosa vorrei approfondire ed io stesso sfrutterò questo Vinitaly
per fare un bel giro di assaggi. Tappa obbligata? La Tenuta
Lieselehof di Werner Morandell
!

Potrei
citare un’infinità di altri vitigni semi-sconosciuti italiani, ma
credo che, a prescindere dalla curiosità che i varietali che ho
citato possano indurre, la scelta sia ricaduta su quelli che abbiano
dato origine a Vini più concreti ed assennati che ho avuto modo di assaggiare ed apprezzare come vini in quanto tali e non come “stranezze enoiche”.

Come
sempre, spero di incontrarvi in fiera e di avere, magari, vostre
dritte su altre chicche da assaggiare al Vinitaly.



F.S.R.



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