Vini, cantine ed emozioni a Terre di Toscana 2017

Si è conclusa da qualche giorno la decima edizione di uno degli eventi enoici più apprezzati dagli
amanti del vino toscano e non solo, ovvero Terre di Toscana.
Non vi nego che, girando molto e
dovendo fare un’ovvia cernita degli eventi ai quali partecipare ogni
anno per motivi logistici, economici e di tempo, non avevo mai avuto
modo di recarmi in quel di Camaiore in occasione di questa
manifestazione. Questo, semplicemente, perché molte dei produttori e
dei vini presenti si incontrano già durante le anteprime toscane,
dal Chianti Classico, al Brunello, passando per il Nobile e la
Vernaccia. Eppure, quest’anno il mio istinto mi diceva di andare, per
ritrovare e riassaggiare quegli stessi vini (non fa mai male!), per
godermi un evento a detta di tutti organizzato in maniera impeccabile
e, come da mia consueta mission, per tentare di conoscere qualche
nuova realtà da condividere, magari difficile da incontrare in altri
contesti.
Beh… il mio istinto mi suggeriva bene
e devo ammettere di essere rimasto piacevolmente colpito dalla
selezione dei 130 produttori toscani presenti, in quanto capace di
offrire ai winelovers una panoramica ampia e sfaccettata, ma con un
livello qualitativo medio davvero alto.
Bando alle cance e ciancio alle bande,
ecco i miei assaggi a Terre di Toscana, tra conferme e piccole grandi
scoperte:
vini cantine terre di toscana
Brunello di Montalcino: già ampiamente
apprezzate durante la recente anteprima Benvenuto Brunello non posso
che apprezzare che tra i produttori selezionati per questo evento ci
siano alcuni tra quelli che mi hanno colpito di più con l’annata
2012 e che da anni continuano a stupirmi: Le Potazzine, Il Marroneto,
Pietroso, Salvioni, Sanlorenzo, Fattoi, Le Ragnaie, Sesti, Col d’Orcia e Podere San
Giacomo.
Bello ritrovarli tutti qui in un contesto in cui è
interessante comparare il Sangiovese di vari areali. Vi rimando a questo articolo per le mie impressioni a riguardo: www.wineblogroll.com/benvenuto-brunello-anteprima-annata-2012.

Castell’in Villa: se dapprima si
trattasse di una profonda e duratura infatuazione, oggi è amore! In
questi ultimi mesi ho avuto modo di assaggiare Chianti Classico
Riserva 2010, Chianti Classico 2011, Chianti Classico Riserva 2011 e
l’anteprima dell’annata 2012, oltre agli altri vini prodotti
dall’azienda della Principessa Coralia Pignatelli con dei picchi
emozionali notevoli, ma Chianti Classico 2011, nonostante si
trattasse dell’annata più difficile fra quelle assaggiate, mi ha
fatto venire i “lucciconi”.
Credo non servano descrittori o
considerazioni extra in questo caso, ma una citazione mi è doveroso
farla: “La moda passa… lo stile resta!” C.C.

Montevertine: continua ad essere un
riferimento, una Stella Polare, per chi voglia confrontarsi con la
tradizione toscana senza tempo e senza condizionamenti di sorta. Il
Pian del Ciampolo è un piccolo grande capolavoro di armonia e vanta
una beva disarmante. Grande prospettiva per il Pergole Torte 2014
che, ancora una volta, ribalta le premature considerazioni
sull’annata.

Le Macchiole: Vini super in tutti i
sensi, che oggi tutti conoscono, ma che racchiudono in ogni bottiglia
una grande storia di vita e di viti. Bolgheri mi delude spesso negli
ultimi anni, molti dei vini prodotti in questo areale sono
sicuramente enologicamente impeccabili, ma poveri d’anima e poco
nelle mie corde. In quest’azienda ho trovato un connubio pressoché
perfetto fra pulizia ed identità. Il grande rispetto in vigna
permette all’uva di mantenere integra la sua personalità, il suo
carattere territoriale ed è questo che fa la differenza. Il Paleo è
davvero una di quelle bottiglie che ti riconciliano col mondo col
mondo.

Colle Santa Mustiola: esordisco con un’esclamazione fatta in loco e che ci tengo a condividere, per dovere di cronaca: “Mi…a che buono il Kernos 2015″! Bip/puntini a parte, per me che critico il 90% dei Sangiovese vestiti, anzi, svestiti di rosa, è tutto un dire! C’è succo, ma non troppo, c’è freschezza quanta ne basti per spingere il sorso fino in fondo e c’è il sale, che in rosati come questo fa semplicemente la differenza fra “un vino che berrei ed uno dal quale desisterei dopo un paio di sorsi”. Passando ai Rossi, se il Vigna Flavia 2011 è il Sangiovese “più giovane” con i suoi oltre 2 anni in botte grande più il giusto riposo in bottiglia, tanto da competere alla cieca con la maggior parte del Brunello di quell’annata, è ancora una volta il Poggio ai Chiari 2008/2007 a stupire con effetti naturali, più che speciali, grazie alla sua compostezza e alla capacità di trovare armonia con la lentezza del grande vino per poi tramutarla in costanza ed eleganza ad oltranza… perdonate l’assonanza!

Fabrizio Dionisio: pochi giorni fa ho dedicato un intero articolo agli esiti di questo mio post su facebook: “se l’intento di Fabrizio
Dionisio fosse mai stato quello di stupirmi questa volta con i suoi
vini e la sua consueta umiltà, sarebbe riuscito nell’intento più
che in altre. Eppure, “purtroppo” per me, l’intento di un
produttore non è di certo quello di stupire uno ed uno solo, bensì
di piacere a molti. Questo a volte può sfociare nell’omologazione e
nella creazione di vini ruffiani, piacioni, carenti di personalità,
ma altre volte può andare di pari passo con una ricerca accorta ed
individuale di personalità e stile. I Vini di Fabrizio hanno sempre
avuto uno stile ben chiaro, ma ieri ho trovato un abbrivio ancor più
inerziale alla beva, un filo rosso ancor più luminoso ad unire ogni
assaggio. Ho trovato ancor più personalità, a partire da un rosato
che strizza l’occhio alla Provenza, senza perdere territorialità,
passando per un Castagnino che rappresenta la bottiglia quotidiana di
chi si vuole bene, ed arrivando poi al Castagno, compendio di vigna,
cantina ed anima di Fabrizio. Beh, poi c’è il Cuculaia… ma a
riguardo non vi dico nulla, perché so che quando lo assaggerete le
mie parole saranno già prevaricate dalla sua continua evoluzione.” Ecco l’articolo al quale mi riferisco:

Terenzuola: del mio viaggio nella
“terra di mezzo”, tra Toscana e Liguria, dove Ivan Giuliani
coltiva le sue vigne ed interpreta il loro frutto vi devo ancora
raccontare, ma un’anticipazione ve la posso dare e si chiama
“Permano”. Un progetto da seguire con attenzione quello della
Cantina Terenzuola, votato tutto alla più profonda espressione del
terroir, con grande rispetto e sensibilità. Se il Permano Bianco è
già una concreta realtà, fresco, sapido, di grande dinamica e
profondità di sorso, il Permano Rosso è una scommessa sulla quale
giocare di intuito ed esperienza, in quanto è ancora agli albori del
suo potenziale evolutivo ed espressivo, ma le premesse sono più che
positive.

Stefano Amerighi: ogni annata, ogni
referenza un’anima diversa, eppure tutte così riconoscibili e
riconducibili al vignaiolo ed al territorio. Bisognerà aspettare
ancora un anno e mezzo per la 2014 dell’Apice, ma credo proprio ne
varrà la pena. Altra dimostrazione di quanto quest’annata continui a
ribaltare le considerazioni fatte, forse, prematuramente ed in
maniera troppo generalista. Vino integro, verticale, con la consueta
commistione “amerighiana” fra beva ed eleganza.



Pieve de’Pitti: realtà di cui ho
scritto qualche mese fa dopo un’interessantissima visita in cantina (che troverete
qui) e
che a
Terre di Toscana si è confermata all’altezza delle mie
precedenti impressioni. Da prendere a cartoni e stappare di anno in
anno l’
Aprilante, un Vermentino dritto e minerale come s’ha da fare. Il Sangiovese Moro di Pava 2011 sempre
sugli scudi.



Il Rio: interpretazioni territoriali di
Pinot Nero. Conoscevo quest’azienda, ma non avevo ancora avuto modo
di assaggiare i vini presentati in questa occasione. Io l’ho trovata
una “scommessa” interessante, nonostante i terreni
abbastanza pesanti ed un altitudine un po’ al di sotto di dove vedrei
bene
il Pinot Nero in Italia, le notevoli escursioni termiche
prevendemmia e la conduzione in vigna attenta e coscienziosa hanno
portato nel mio bicchiere un Pinot Nero, sicuramente molto
territoriale, degno di nota. Si guarda alla Borgogna, ma non si cerca
di scimmiottarla. Più che di eleganza, in questo caso, parlerei di
stile nella più positiva accezione del termine.



Pietro Beconcini: “quelli del
Tempranillo”
, qualcuno li chiamò ad una degustazione alla cieca in
cui inserì un loro vino, come nobile “intruso”. Eppure, oltre
agli ottimi risultati ottenuti da quel meraviglioso patrimonio
genetico dato dalle vecchie vigne a piede franco di
Tempranillo che Leonardo Beconcini alleva con cura e premura, ho voluto riassaggiare
i vini che definirei storici dell’azienda, quindi base Sangiovese.
Tra tutti spicca
il Reciso 2012, vino che mi ricorda le mani di mio
nonno, grandi, forti, solcate dall’esperienza eppure con tale garbo e
destrezza da poter tenere in mano la pipa con l’eleganza di un Lord
Inglese. Poi c’è l’
Occhio di Pernice Aria 2007, che sembra proprio
essere uno di quei vini capaci di ribaltare le sorti anche della
giornata più intricata, se sorseggiato, con la dovuta parsimonia, a
fine serata.

Fattoria Kappa: altra storia da
raccontarvi presto, in quanto ci sono le basi per arricchire
l’assaggio di quel corredo emotivo che fa solo bene al vino ed a noi
che lo amiamo, ma per questo ci sarà tempo! Ciò che mi preme dirvi
è che a volte assaggi un vino nel contesto sbagliato, nella giornata
sbagliata ed approcciandolo in maniera sbagliata e non lo apprezzi a
pieno… poi, ti capita di ritrovare quei vini a distanza di almeno
un paio d’anni e di ricrederti completamente. E’ proprio ciò che mi
è successo con questa cantina. Vini divertenti, mai eccessivi, che
hanno trovato un equilibrio tale da far pensare ad una buona
potenziale evoluzione, ma che si lasciano bere con grande agilità.
Il Kappa è un Vino dalla forte identità territoriale, nonostante il
blend internazionale.
Ricredersi, sorprendersi, cambiare la
propria opinione sulla base di nuove considerazioni e nuovi stimoli
sono alcuni degli aspetti più belli di ciò che faccio. Curiosità:
hanno qualche filare di Verdicchio (immaginate la mia faccia quando
ho sentito dire “Verdicchio”) che utilizzano per un piccolo saldo
del 5% nel loro bianco e non mi duole dire che anche nel lavoro di
“gregario” e fuori dalla sua terra d’elezione dimostri la sua
grande duttilità.

Il Carnasciale: un vino raro ed anche
per questo non molto facile da trovare né tantomeno accessibile, tra
quelli che, proprio per questo, solitamente salto tra i banchi
d’assaggio, ma per non far la fine della “Volpe e l’uva” (mai
fiaba fu più calzante), mi sono lasciato trasportare dalla curiosità
e direi che ne sia valsa la pena per l’unicità del varietale e per
la sua predisposizione a stupire con un raro equilibrio fra possenza
ed eleganza. Per chi non lo sapesse, il Podere Il Carnasciale ha come
protagonisti i tedeschi Wolf Rogosky, la moglie Bettina e l’enologo
Peter Schilling: nei primi anni ’80 Wolf assaggia un vino creato
dall’enologo Vittorio Fiore, ottenuto da un vitigno unico, chiamato
L32, e decide di impiantarlo nel suo Podere Il Carnasciale.
Il vitigno L32 è un incrocio naturale
e inspiegabile, rinvenuto in una vigna abbandonata nei Colli Euganei,
nato dall’unione di Cabernet Franc e Merlot. Wolf lo battezza
subito ‘Caberlot’. Oggi, di questo varietale esistono solo i 5ha
dell’azienda Il Carnasciale e da essi vengono prodotte solo 3500
magnum di Caberlot, oltre a qualche migliaio de il Carnasciale.

San Giusto a Rentennano: grande pietra
miliare del vino toscano e non solo. Assaggi dei quali puoi solo
intuire il potenziale, saltando a piè pari l’hic et nunc,
proiettandoti verso il “là e non so quando, ma spero di
esserci!”. Il Percarlo rappresenta una delle massime espressioni
di Sangiovese e l’annata 2013 lo conferma.

Sangervasio: altra cantina che ho avuto
modo di visitare personalmente, come molte altre di quelle
sopracitate, ma che data la vicinanza temporale ricordo ancor più
nitidamente e ritrovare negli assaggi una rispondenza sempre sincera
al territorio ed alla filosofia produttiva di Luca e Lisa fa sempre bene!
Uno dei migliori Cabernet Franc provati di recente lo fa proprio Luca
e dietro c’è una storia che, per una volta, non sarò io a svelarvi,
nella speranza siate voi, spinti dalla curiosità, a farvela
raccontare da lui.
Una chicca l’Occhio di Pernice 2006,
neanche lontanamente pronto, ma già corroborante per l’anima, come
dovrebbe essere.

Podere Marcampo: una realtà giovane ed in continua evoluzione che ha molte frecce al proprio arco e ne sta scoccando una dietro l’altra, ma con la dovuta pazienza e la giusta misura. Il Severus resta uno degli assaggi più di prospettiva degli ultimi mesi in quanto a Sangiovese. Apprezzabile già sin dal campione da botte il Terrablu, un Vermentino da abbinare ad una calda giornata estiva sulle mura di Volterra, scegliete voi la compagnia!

Piaggia: altro giro altra cantina di cui vi parlai tempo fa, che fa sempre piacere ritrovare, anche perché, ad oggi, per me rappresenti il punto di riferimento della denominazione del Carmignano. Visto, però, che del Piaggia e del Sasso ho già avuto modo di parlarvi e data la mia inappagabile curiosità nei confronti del Sangiovese e delle sue poliedriche espressioni territoriali, ho assaggiato l’ultima annata del Pietranera, Sangiovese tradizionale con un piccolo saldo di Canaiolo, di quelli che non t’aspetti. Non te l’aspetti perché l’azienda ha altri vini di punta, anche in termini di costo, eppure il feedback al naso è nitido, varietale e non offuscato dall’affinamento ed in bocca il sorso vanta un incedere snello e per nulla sgraziato… armonico! Una di quelle bottiglie che vorrei trovare sempre in un ristorante toscano.


Antonio Camillo: concludo in bellezza con il Re del Ciliegiolo, vignaiolo di grande umiltà e con un’esperienza unica nel trattare le vigne ed in particolare questo vitigno. Vigne vecchie che Antonio ha cercato “con il lumicino” come si direbbe in Toscana e che conduce con grande rispetto e saggezza, al fine di ridurre al minimo gli interventi. In cantina solo cemento e legno grande, che per me equivale a dire Padre e Figlio… manca lo Spirito Santo, che senza peccar di eresia, potrei assimilare al vernacolare “bono vino” e quindi anche al Ciliegiolo di Antonio Camillo.
Un Ciliegiolo che merita non solo in quanto a tradizione, ma anche e soprattutto per le sue performance nel bicchiere. Se i bianchi non sono troppo nelle mie corde, con il Ciliegiolo 2016, sincero e di gran beva, ed il singolo vigneto Vallerana Alta 2015, più fresco, profondo ed elegante, con una mineralità tra il ferro ed il sale che riconduce l’assaggio ad un inconfondibile territorialità.


Che dire…  a Terre di Toscana mi sono divertito e con me il mio palato, seguito a ruota dal mio sistema limbico!


F.S.R.
#WineIsSharing

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