L’Azienda Vitivinicola Rizzi ed i suoi Vini a Treiso – Barbaresco
Il mondo del vino è
tanto immenso, quanto piccolissimo e sovente capita di fare incontri
inattesi dove e quando meno te l’aspetti! E’ proprio
ciò che mi è capitato con una delle persone di cui vi parlerò
oggi, incontrata a Montalcino, in una cantina di un produttore che
stimo molto. Fin qui, cosa c’è di strano? – Penserete – Non molto,
in effetti, ma tutto mi aspettavo quel giorno tranne di ritrovarmi ad
assaggiar Barbaresco in una cantina nota per il suo grande Brunello! Anche questo è
il vino… il bello del vino!
giorno, oltre ai grandi vini da Sangiovese assaggiati in
quella cantina, a colpirmi furono la verve e la competenza di quel
ragazzone alto quasi 2m e l’eleganza del suo Nebbiolo. Fu in quel
momento che decisi di cogliere l’occasione della mia ultima visita in
Langa, in concomitanza con le manifestazioni Nebbiolo Prima e Grandi
Langhe, per andare a trovare Enrico e le vigne in cui nascono i suoi
vini.
presso l’Azienda Rizzi e ad accogliermi sono proprio Enrico
Dellapiana (enologo dell’azienda) e sua sorella Jole (anima
commerciale di Rizzi), figli di Ernesto, fondatore di questa, ormai
storica cantina, nata nel 1974. E’ stato l’amore di Ernesto per la
vigna a portarlo a lasciare la città per tornare in quelle terre da
tempo immemore appartenute alla famiglia.
che ha sempre vissuto la vigna e la cantina, sin da prima della sua
laurea in viticoltura ed enologia.
assaggiare gran parte delle annate non ancora in bottiglia, da vasca
e da botte, nonostante il meteo poco clemente, Enrico mi accompagna
nell’ampia terrazza della cantina, indicandomi la dislocazione delle parcelle di vigneto aziendali. E’ proprio seguendo il dito di Enrico che mi rendo
conto di uno dei punti di forza dell’azienda Rizzi, ovvero la “fortuna” di vantare ben 4 cru con al loro interno alcuni dei
vigneti più vocati dell’intera denominazione: il cru Rizzi (nel
quale affondano le proprie radici le viti del vigneto Boito), il cru
Pajoré, il cru Nervo (con al suo interno il vigneto Fondetta, fiore
all’occhiello dell’azienda), il cru Manzola (dove attualmente, però,
non viene prodotta uva Nebbiolo atta a Barbaresco).
rigorosamente grandi, grazie agli assaggi delle varie parcelle, vinificate separatamente, inizio a farmi un’idea concreta di quale
sia il comun denominatore dei vigneti aziendali e quale sia la
coerente cifra stilistica dei vini Rizzi e, quindi, di Enrico. Un
enologo/vignaiolo molto rispettoso, conscio del potenziale delle sue terre e
delle sue piante, capace di non agire in maniera incidente
imbrigliando la spontaneità dei vigneti, bensì di lasciare che il
frutto dell’attento lavoro in vigna sia libero di esprimersi in
maniera pulita e sincera.
interpretata, è capace di grande finezza e di una nobiltà tannica
superiore persino a molti cru di Barolo ma, comparazioni a parte, è
la nota minerale salina ricorrente in chiusura di ogni assaggio a rendere così
forte il legame fra il vino di oggi ed il passato, preistorico, di
questi terreni, dove un tempo il rumore più comune non era quello
del vento tra i pampini, bensì quello delle onde del mare.
degli assaggi fatti in cantina, ci sono gli assaggi condivisi con
Enrico in più momenti, per lo più alla cieca, in un gioco di
suggestioni, nell’assenza di condizionamenti, in quanto inseriti in
batterie con altri importanti vini, che chi mi segue sui social avrà
notato.
di notevole intensità, capace di abbracciare i sensi con garbo e di
intrigarli con femminile sinuosità. Se le sensazioni organolettiche
profuse da questo nebbiolo potessero tradursi in un dipinto darebbero
origine ad una rappresentazione grafica di grande semplicità e
naturalezza, dietro la quale si celerebbe grande eleganza: una
giovane ragazza, vestita di rose, che corre in un prato di viole, con
incedere sicuro e senza mai voltarsi indietro se non per rinnovare
l’invito a seguirla in una corsa profonda, intrisa di fresca
giovinezza e di romantica suadenza. Una corsa sospinta da un vento
che sa di mare e che del mare lascia il sale in bocca, quasi a
ricordare che un sorso, che una corsa, non bastino per godere a pieno
della bellezza di queste sensazioni… di queste spontanee emozioni.
calibro più alto dell’azienda, un vino di struttura e forza tali da
poter risultare nelle mie corde solo se attraversate da una sottile e
profonda linea vitale vibrante. Inizialmente introspettivo, sulle
sue, poco avvezzo al mio solito ciarlare. Il Boito ama andare dritto
al sodo, senza perdersi in chiacchiere o in meri voli pindarici. E’
un vino di spessore, che fa della sua classe e del suo palese
potenziale evolutivo i suoi punti di forza. Il varietale è più che
rispettato, mantenendo il suo corredo aromatico intatto sia nelle sue
note più fresche che nell’avvio di un’evoluzione che stuzzica la
mente tramite naso e palato con la sua speziatura nobile. Una di
quelle bottiglie che ci mette poco a farti capire quanto sciocco tu
sia stato a stapparla così prematuramente, ma che poi ti fa passare
ogni senso di colpa quando, ritrovando la bottiglia lasciata aperta
per sbaglio la notte prima, ti versi un calice e… la severa
austerità diviene una piacevole chiacchierata fra amici sulla grande
bellezza della vita, nonostante tutto e tutti, e su quanto il tempo,
spesso nemico dell’uomo, sappia dimostrarsi amico se quell’uomo ami
il vino.
Un’azienda fatta di persone di grande affabilità, che sanno fare ciò che fanno nel pieno rispetto del contesto naturale in cui si trovano e con l’evidente volontà di crescere di annata in annata in termini qualitativi, nonostante gli ottimi risultati già raggiunti.
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