L’Only Wine Festival 2017 dal punto di vista di un Wine Blogger
La
quarta edizione dell’Only Wine Festival si è appena conclusa e già
si tirano le somme di un evento che non ha eguali a livello nazionale
e che, di anno in anno, ha saputo crescere e sviluppare quello
slancio che è e deve essere insito nel concept della manifestazione
che più di ogni altra offre un focus mirato e centrato su giovani vignaioli e piccole cantine italiane e, da quest’anno, anche
straniere.
Cinque sono i punti di forza dell’Only Wine di quest’anno, a mio parere:
– è stata raggiunta una diffusa e grande qualità dei vini presenti in degustazione;
– tante piccole grandi storie degne di essere raccontate da vignaioli e vignaiole di grande umanità e dedizione;
– evento dinamico e mai noioso, grazie ai banchi d’assaggio, alle degustazioni guidate ed a tutta una serie di eventi nell’evento (come l’intervento di Lorenzo Corino sull’agronomia ed il “vino naturale”) davvero interessanti sia per i winelovers, che per gli operatori ed i produttori stessi;
– location suggestiva e capace di accogliere un pubblico democratico, ma anche di qualità;
– organizzazione impeccabile sia in termini di comunicazione che di gestione dell’evento in loco;
Ora, però, non vi
parlerò dei numeri e del grande successo dell’evento in termini di
affluenza, lascio ad altri queste valutazioni, e non vi parlerò
della bellezza delle location e di una Città di Castello mai vista
così piena (io ho vissuto per anni e sono appena tornato a vivere a
10 minuti dalla città umbra), ma vi racconterò di una
storia intrisa di positività e di vino, di soddisfazione e di
impegno.
storia è quella dei giovani produttori, delle piccole realtà
presenti ed un po’ anche la mia, un Wine Blogger, se così vogliamo
definirmi, che ha provato a dare il proprio piccolo contributo alla
selezione di cantine che rappresentano a pieno ciò di cui di più
abbia scritto, ciò in cui di più abbia creduto e creda da anni. Per
la prima volta, da quanto scrivo di vino, ho accettato un ruolo in un
contesto di questo genere, per la prima volta ho voluto mettere a
disposizione questo mio diario enoico in favore di una manifestazione
che ha tutte le carte in regola per diventare l’evento di riferimento
per chi, come me, voglia scoprire realtà vitivinicole nuove,
assaggiare vini rari eppure non improponibili a livello di costi,
potendo tornare a casa con una, due o più bottiglie da assaggiar e
riassaggiare consapevoli di aver avuto un’occasione unica, perché
difficilmente potrà trovare quegli stessi vini facilmente in enoteca
o al ristorante.
ai protagonisti dell’evento, di certo erano giorni difficili per
molti dei vignaioli presenti, tra i quali non pochi avevano dovuto
lasciare le propria vigne già martoriate dalle gelate notturne o
comunque con l’ansia ed il patema nel cuore per ciò che sarebbe
potuto accadere nel weekend, eppure erano lì, con il sorriso, a
presentare, proporre e servire i propri vini, per lo più
direttamente, mettendoci la faccia. Io stesso ho avuto modo di
selezionare ragazzi e ragazze abbondantemente sotto ai 30 anni che
vedono nel vino l’eredità di famiglia da portare avanti o il sogno
da realizzare giorno dopo giorno e che ce la mettono tutta per
comunicare la propria passione, il proprio territorio, ma soprattutto
la propria competenza nel fare vino e nel volerlo fare nel miglior
modo possibile. Che non me ne vogliano le grandi realtà, senza le quali probabilmente gran parte di queste piccole aziende e delle denominazioni presenti non avrebbero avuto il seguito e l’interesse che oggi hanno, ma l’esperienza mi dice che è nelle storie di questi piccoli produttori che si può percepire l’essenza del fare vino e dell’essere in simbiosi con le proprie vigne, col proprio terroir. Difficilmente sentirete parlare di aspetti commerciali, di marketing, di mercati internazionali quando vi troverete di fronte ad uno/a di questi/e giovani, bensì potrete ascoltare storie legate alla famiglia, alla territorio, alla passione enoica ed a tutto ciò che permetta ad essi di andare avanti, nonostante le ovvie difficoltà e le intrinseche incertezze che affrontino ogni giorno.
è stata palese l’attenzione delle cantine, ancor più se di
dimensioni contenute, all’ecosostenibilità, alla salubrità ed anche ad una sostenibilità economica aziendale e
questo fa riflettere sul futuro della viticoltura di qualità
italiana e fa ben sperare, facendo dell’Only Wine Festival una
finestra unica nel suo genere sull’oggi e sul domani di questo
comparto così prezioso per il nostro paese, ma sin troppo spesso ad
esclusivo pannaggio dell’industria e dei grandi brand in in quanto a “vetrine che contano”.
tra i banchi d’assaggio ed avendo modo di conoscere nuove realtà e
nuovi vini, io stesso, c’ho messo davvero poco a comprendere quanto
fosse cresciuto, in un solo anno, il livello di qualità di
quest’evento, non solo in termini di organizzazione e di appeal per
operatori e winelovers, oltre che per un target più democratico e
generico (che è fondamentale per un evento in un contesto come
questo), ma anche per le realtà presenti e per il frutto del loro
lavoro.
Tra
gli assaggi che di più abbiano saputo strimpellare le corde del mio
animo enoico posso annoverare le seguenti cantine ed i seguenti vini:
piccola cantine della Franciacorta, zona tra le più colpite in
questi giorni dalle gelate, che ha voluto essere presente per far
conoscere i propri ottimi spumanti solo base Chardonnay al pubblio
dell’Only Wine. Io ho apprezzato particolamente il Brut Millesimato
2009, di certo il più fresco e dinamico, dalla beva fine e
socializzante. In un contesto di numerosi assaggi, in cui si rimbalza
dai bianchi ai rossi, carichi e meno carichi, una bollicina così si
apprezza ancor di più per la sua capacità di defaticare il palato
con classe.
quando competenza e consapevolezza tecnica da un lato e rispetto ed
umiltà dall’altro si fondono al fine di riversare il pensiero,
l’approccio e l’animo del produttore in ogni singola bottiglia di
vino il risultato non può che essere unico. I vini di Mattia
Filippi, però, oltre ad essere unici, nascono in un luogo unico come
Faedo e questo non può che rappresentare un valore aggiunto. Sugli
scudi per me e, da ciò che ho potuto vedere durante l’evento, per
molti, il suo Xurfus, un Müller Thurgau
di grande equilibrio, dall’aromaticità garbata, fresco e minerale,
mai eccessivo e molto identitario. Davvero elegante il Metodo
Classico Brut Nature Augusto Primo, uno chardonnay 100% che conferma
la grande capacità di questo “viticoltore errante” di
interpretare terra, pianta, uva ed annata con profondo rispetto e
grande sensibilità.
fino a qualche anno fa, quando
l’azienda di Gianluca Cabrini aveva appena aperto i battenti, pensavo
che questo giovane vignaiolo si fosse messo a lottare contro i mulini
a vento, come un moderno Don Quijote dell’Oltrepò Pavese, per le
difficoltà attraversate dal territorio, per il contesto agronomico
locale, per la sua volontà di fare tutto non solo bene, ma bene e
per bene! Oggi la sua caparbietà ed il suo continuo volersi
applicare, confrontare ed aggiornare per quanto concerne,
soprattutto, il lavoro in vigna gli stanno dando ragione ed i suoi
vini hanno personalità da vendere. Se nel suo Pinot Nero vinificato
in bianco, metodo Martinotti, troverete un amico con il quale
iniziare ogni serata col piede più giusto e meno scontato e con il
suo Riesling Renano vi renderete conto di quanto grande sia il
potenziale delle sue vigne anche con un vitigno così difficile da
far esprimere al meglio in Italia, è con la Croatina che vi farete
un’idea ben precisa di dove sia arrivata, oggi, questa Cantina e,
ancor di più, di dove potrà arrivare.
Butussi: quest’azienda di famiglia,
ormai gestita da 3 giovani fratelli, giganti nel fisico ed ancor più
nell’animo, è oggi una sorta di cartina di tornasole per quanto
riguardi l’areale del Corno di Rosazzo e più genericamente dei Colli
Orientali del Friuli. Tante etichette prodotte, ma ognuna destinata
ad esprimere una piccola tessera di quel grande puzzle varietale e
gustativo che solo quella zona sa dare in Italia, con i vitigni
autoctoni e con i vitigni che da alloctoni, ormai, si sono adattati
così bene e così radicalmente a questo territorio da poter essere
considerati quanto meno tipici.
suo Sauvignon Blanc Genesis 2015, capace di rappresentare al meglio
il matrimonio perfetto tra questo vitigno e questa zona, in cui
raggiunge la sua massima espressione varietale al naso e
acido-minerale in bocca. Vino che lascia presagire un potenziale
evolutivo davvero impressionante. Tra i rossi spicca sicuramente il
Pignolo, vitigno difficile, ma capace di regalare sensazioni così
distintive da renderlo imprescindibilmente interessante ed intrigante
per un eno-curioso come me ed immagino molti di voi. Cantina dove
attingere ad annate “vecchie” può riservare grandissime
sorprese.
torno a scrivere dell’”enfant
prodige” delle Langhe, di quella che chiamai Barolo Girl in maniera
provocatoria, data la posizione antitetica con l’approccio modernista
che fu ai tempi dei Barolo Boys. Vedere il Serradenari impressionare
gli avventori più esperti per il suo palese potenziale ed il Pinot
Nero dimostrare quanto il terroir possa geolocalizzare in termini
organolettici un varietale così distintivo come il principe dei
vitigni d’Oltralpe, mi conferma quanto il connubio fra questa giovane
vignaiola ed il suo territorio siano forti e destinati a regalare
grandi emozioni in bottiglia.
non vorrei pregiarmi di titoli o
cariche che non mi spettino, ma chi mi segue da un po’ di anno sa
quanto io abbia creduto nel Burson in tempi non sospetti e quanto
questa cantina sia diventata un riferimento per questa vera e propria
rarità romagnola, ma se di questo grande rosso da appassimento e
della storia del suo particolare vitigno di ho già parlato in più
occasioni, il plauso oggi lo faccio alle interpretazioni che
l’azienda ha proposto di Rambela sia ferma che Metodo Charmat.
Lucciole: della storia di Chiara
Condello e del suo progetto di vita, di vigna e di vino ho già avuto
modo di parlarvene, ma è solo in questa occasione che ho avuto modo
di assaggiare il Vino che segna l’ingresso nella nuova vita
dell’azienda Condé, ovvero il Raggo Brusa 2013, fiero nel suo essere
varietale e specchio del territorio. Un Sangiovese che si pone come
perfetto trait d’union fra l’impronta toscana e quella romagnola,
capace di attraversare la buona struttura con dinamica freschezza e
di spiccata mineralità. Fa ben sperare anche il campione 2015 del
progetto Le Lucciole, in cui questa giovane produttrice romagnola
crede moltissimo ed io non posso che accordarmi alla sua fiducia in
merito.
Francesco Mulinari è il proprietario di quella che, a quanto mi
risulti, dovrebbe essere la più piccola cantina di Montalcino e che,
al di là dei numeri vede nell’artigianalità dei vini prodotti e
nella volontà di non lasciarsi condizionare né dalle mode né
troppo ossessivamente dalla tradizione la sua forza. Uno delle
interpretazioni di Brunello nell’annata 2012 più solide e concrete,
che non lascia molti dubbi riguardo il suo potenziale evolutivo a
breve ed a lungo termine. Le vigne ad alberello a ridosso delle mura
di Montalcino conferiscono potenza espressiva, ma al contempo
dimostrano la capacità di questa forma di allevamento di conferire
un naturale equilibrio al frutto. Una delle realtà più centrate nel
contesto dellOnly Wine Festival.
Noemi: a pochi giorni dal Vinitaly ho
già una nuova occasione di assaggiare i vini di quella che penso
fosse la più giovane produttrice presente all’Only Wine Festival con
i suoi 23 anni appena. Vini che, senza lasciarsi troppo condizionare
da Noemi e dalla sua giovinezza, la rappresentano al meglio nel loro
equilibrio fra l’impatto netto e diretto a primo naso e l’essenza
complessa e profonda del sorso. Vini che, a differenza di molti altri
Valpolicella, si lasciano bere con inerziale piacevolezza, grazie
alla buona freschezza e ad un’impronta minerale ben percepibile in
ogni assaggio della linea. Seppur così giovane è già una certezza.
Socci: tre sfumature di Verdicchio, tre
vini con tre anime diverse, ma convergenti e tutte molto espressive
di quella che è l’idea produttiva e, soprattutto, di quel fazzoletto
di vigneti adagiati sul “cru” di Monte Deserto. Conosco a mena
dito i vini di questa realtà, ma ogni annata mi stupisce sempre
l’alternanza delle mie preferenze fra l’una e l’altra
interpretazione. In quest’occasione a colpirmi particolarmente è
stato il Deserto 2016, intenso nel suo varietale, con un sorso
concreto, fresco e sapido. Una splendida famiglia che fa vino con
passione e dedizione continuando a regalare emozioni sincere a tutti
gli amanti del Verdicchio.
passione: se il Quartara non smette mai
di stupire me ed i fortunati avventori che hanno avuto modo di
assaggiarlo all’Only Wine o altrove, è stato il Borgomastro 2011 a
rappresentare uno degli assaggi più emozionanti dell’intera
manifestazione. Un Aglianico in purezza che lascia poco spazio ad
interpretazioni ed ancor meno a dubbi… varietale inconfondibile,
legno ben integrato e dinamica di sorso che sa di quel fazzoletto di
terra a ridosso dei Monti Picentini.
forse la storia più bella e della quale vado più fiero, quella di
Mario Bagella, giovanissimo vignaiolo sardo, che più di molti altri
ha compreso e sfruttato al meglio l’occasine offerta da questa
manifestazione. Per un’azienda piccolissima, per di più isolana,
come quella gestita da Mario con l’aiuto di suo padre, non è di
certo semplice partecipare a grandi eventi enoici o fiere di settore,
per motivi logistici e di budget, ma l’opportunità di essere
selezionati e quindi di non avere costi da sostenere se non quelli
relativi a viaggio, vitto ed alloggio, ammortizzabili con la vendita
dei propri vini durante i due giorni di banco d’assaggio, ha reso
tutto più semplice. Un Cannonau 2016 che ammalia con il suo naso
sincero e la sua educazione al sorso. Il Vermentino invece può
tranquillamente risparmarvi un biglietto aereo o un viaggio in
traghetto, vista la sua capacità di farti fare un vero e proprio
trip sulle spiagge del nord della Sardegna a due passi dai vigneti
dai quali i vini di questa azienda vengono. Si prospetta un futuro
radioso per questa cantina sarda.
373 Bellese Vini: non chiamatelo prosecco! Esordisco così, in quanto dietro a questa bottiglia c’è una storia di legami viscerali con la famiglia e con la terra, c’è la voglia di realizzare, da parte di questa piccola realtà veneta, un vino che esuli dai dogmi della denominazione e che sappia esprimere quel sempre più raro connubio di passione, fatica e semplicità, senza risultare scontato e con un’identità, spesso difficile da percepire negli charmat. A fine degustazione, un calice che definirei defaticante.
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