Il mio Only Wine Festival 2017 – Ottimi vini e persone speciali

L’Only Wine Festival 2017 dal punto di vista di un Wine Blogger

La
quarta edizione dell’Only Wine Festival si è appena conclusa e già
si tirano le somme di un evento che non ha eguali a livello nazionale
e che, di anno in anno, ha saputo crescere e sviluppare quello
slancio che è e deve essere insito nel concept della manifestazione
che più di ogni altra offre un focus mirato e centrato su giovani vignaioli e piccole cantine italiane e, da quest’anno, anche
straniere.

Cinque sono i punti di forza dell’Only Wine di quest’anno, a mio parere:
– è stata raggiunta una diffusa e grande qualità dei vini presenti in degustazione;
– tante piccole grandi storie degne di essere raccontate da vignaioli e vignaiole di grande umanità e dedizione;
– evento dinamico e mai noioso, grazie ai banchi d’assaggio, alle degustazioni guidate ed a tutta una serie di eventi nell’evento (come l’intervento di Lorenzo Corino sull’agronomia ed il “vino naturale”) davvero interessanti sia per i winelovers, che per gli operatori ed i produttori stessi;
– location suggestiva e capace di accogliere un pubblico democratico, ma anche di qualità;
– organizzazione impeccabile sia in termini di comunicazione che di gestione dell’evento in loco;


Ora, però, non vi
parlerò dei numeri e del grande successo dell’evento in termini di
affluenza, lascio ad altri queste valutazioni, e non vi parlerò
della bellezza delle location e di una Città di Castello mai vista
così piena (io ho vissuto per anni e sono appena tornato a vivere a
10 minuti dalla città umbra), ma vi racconterò di una
storia intrisa di positività e di vino, di soddisfazione e di
impegno.

only wine festival città di castello
La
storia è quella dei giovani produttori, delle piccole realtà
presenti ed un po’ anche la mia, un Wine Blogger, se così vogliamo
definirmi, che ha provato a dare il proprio piccolo contributo alla
selezione di cantine che rappresentano a pieno ciò di cui di più
abbia scritto, ciò in cui di più abbia creduto e creda da anni. Per
la prima volta, da quanto scrivo di vino, ho accettato un ruolo in un
contesto di questo genere, per la prima volta ho voluto mettere a
disposizione questo mio diario enoico in favore di una manifestazione
che ha tutte le carte in regola per diventare l’evento di riferimento
per chi, come me, voglia scoprire realtà vitivinicole nuove,
assaggiare vini rari eppure non improponibili a livello di costi,
potendo tornare a casa con una, due o più bottiglie da assaggiar e
riassaggiare consapevoli di aver avuto un’occasione unica, perché
difficilmente potrà trovare quegli stessi vini facilmente in enoteca
o al ristorante.

Tornando
ai protagonisti dell’evento, di certo erano giorni difficili per
molti dei vignaioli
presenti, tra i quali non pochi avevano dovuto
lasciare le propria vigne già martoriate dalle gelate notturne o
comunque con l’ansia ed il patema nel cuore per ciò che sarebbe
potuto accadere nel weekend, eppure erano lì, con il sorriso, a
presentare, proporre e servire i propri vini, per lo più
direttamente, mettendoci la faccia. Io stesso ho avuto modo di
selezionare ragazzi e ragazze abbondantemente sotto ai 30 anni che
vedono nel vino l’eredità di famiglia da portare avanti o il sogno
da realizzare giorno dopo giorno e che ce la mettono tutta per
comunicare la propria passione, il proprio territorio, ma soprattutto
la propria competenza nel fare vino e nel volerlo fare nel miglior
modo possibile. Che non me ne vogliano le grandi realtà, senza le quali probabilmente gran parte di queste piccole aziende e delle denominazioni presenti non avrebbero avuto il seguito e l’interesse che oggi hanno, ma l’esperienza mi dice che è nelle storie di questi piccoli produttori che si può percepire l’essenza del fare vino e dell’essere in simbiosi con le proprie vigne, col proprio terroir. Difficilmente sentirete parlare di aspetti commerciali, di marketing, di mercati internazionali quando vi troverete di fronte ad uno/a di questi/e giovani, bensì potrete ascoltare storie legate alla famiglia, alla territorio, alla passione enoica ed a tutto ciò che permetta ad essi di andare avanti, nonostante le ovvie difficoltà e le intrinseche incertezze che affrontino ogni giorno.

Inoltre, quest’anno
è stata palese l’attenzione delle cantine, ancor più se di
dimensioni contenute, all’ecosostenibilità, alla salubrità ed anche ad una sostenibilità economica aziendale e
questo fa riflettere sul futuro della viticoltura di qualità
italiana e fa ben sperare, facendo dell’Only Wine Festival una
finestra unica nel suo genere sull’oggi e sul domani di questo
comparto così prezioso per il nostro paese, ma sin troppo spesso ad
esclusivo pannaggio dell’industria e dei grandi brand in in quanto a “vetrine che contano”.
Camminando
tra i banchi d’assaggio ed avendo modo di conoscere nuove realtà e
nuovi vini, io stesso, c’ho messo davvero poco a comprendere quanto
fosse cresciuto, in un solo anno, il livello di qualità di
quest’evento, non solo in termini di organizzazione e di appeal per
operatori e winelovers, oltre che per un target più democratico e
generico (che è fondamentale per un evento in un contesto come
questo), ma anche per le realtà presenti e per il frutto del loro
lavoro.
evento vino umbria

Tra
gli assaggi che di più abbiano saputo strimpellare le corde del mio
animo enoico posso annoverare le seguenti cantine ed i seguenti vini:

Rizzini:
piccola cantine della Franciacorta, zona tra le più colpite in
questi giorni dalle gelate, che ha voluto essere presente per far
conoscere i propri ottimi spumanti solo base Chardonnay al pubblio
dell’Only Wine. Io ho apprezzato particolamente il Brut Millesimato
2009, di certo il più fresco e dinamico, dalla beva fine e
socializzante. In un contesto di numerosi assaggi, in cui si rimbalza
dai bianchi ai rossi, carichi e meno carichi, una bollicina così si
apprezza ancor di più per la sua capacità di defaticare il palato
con classe.

Mattia Filippi:
quando competenza e consapevolezza tecnica da un lato e rispetto ed
umiltà dall’altro si fondono al fine di riversare il pensiero,
l’approccio e l’animo del produttore in ogni singola bottiglia di
vino il risultato non può che essere unico. I vini di Mattia
Filippi, però, oltre ad essere unici, nascono in un luogo unico come
Faedo e questo non può che rappresentare un valore aggiunto. Sugli
scudi per me e, da ciò che ho potuto vedere durante l’evento, per
molti, il suo Xurfus, un
Müller Thurgau
di grande equilibrio, dall’aromaticità garbata, fresco e minerale,
mai eccessivo e molto identitario. Davvero elegante il Metodo
Classico Brut Nature Augusto Primo, uno chardonnay 100% che conferma
la grande capacità di questo “viticoltore errante” di
interpretare terra, pianta, uva ed annata con profondo rispetto e
grande sensibilità.

Tenuta Belvedere:
fino a qualche anno fa, quando
l’azienda di Gianluca Cabrini aveva appena aperto i battenti, pensavo
che questo giovane vignaiolo si fosse messo a lottare contro i mulini
a vento, come un moderno Don Quijote dell’Oltrepò Pavese, per le
difficoltà attraversate dal territorio, per il contesto agronomico
locale, per la sua volontà di fare tutto non solo bene, ma bene e
per bene! Oggi la sua caparbietà ed il suo continuo volersi
applicare, confrontare ed aggiornare per quanto concerne,
soprattutto, il lavoro in vigna gli stanno dando ragione ed i suoi
vini hanno personalità da vendere. Se nel suo Pinot Nero vinificato
in bianco, metodo Martinotti, troverete un amico con il quale
iniziare ogni serata col piede più giusto e meno scontato e con il
suo Riesling Renano vi renderete conto di quanto grande sia il
potenziale delle sue vigne anche con un vitigno così difficile da
far esprimere al meglio in Italia, è con la Croatina che vi farete
un’idea ben precisa di dove sia arrivata, oggi, questa Cantina e,
ancor di più, di dove potrà arrivare.

Valentino
Butussi:
quest’azienda di famiglia,
ormai gestita da 3 giovani fratelli, giganti nel fisico ed ancor più
nell’animo, è oggi una sorta di cartina di tornasole per quanto
riguardi l’areale del Corno di Rosazzo e più genericamente dei Colli
Orientali del Friuli. Tante etichette prodotte, ma ognuna destinata
ad esprimere una piccola tessera di quel grande puzzle varietale e
gustativo che solo quella zona sa dare in Italia, con i vitigni
autoctoni e con i vitigni che da alloctoni, ormai, si sono adattati
così bene e così radicalmente a questo territorio da poter essere
considerati quanto meno tipici.
Da assuefazione il
suo Sauvignon Blanc Genesis 2015, capace di rappresentare al meglio
il matrimonio perfetto tra questo vitigno e questa zona, in cui
raggiunge la sua massima espressione varietale al naso e
acido-minerale in bocca. Vino che lascia presagire un potenziale
evolutivo davvero impressionante. Tra i rossi spicca sicuramente il
Pignolo, vitigno difficile, ma capace di regalare sensazioni così
distintive da renderlo imprescindibilmente interessante ed intrigante
per un eno-curioso come me ed immagino molti di voi. Cantina dove
attingere ad annate “vecchie” può riservare grandissime
sorprese.

Giulia Negri:
torno a scrivere dell’”enfant
prodige” delle Langhe, di quella che chiamai Barolo Girl in maniera
provocatoria, data la posizione antitetica con l’approccio modernista
che fu ai tempi dei Barolo Boys. Vedere il Serradenari impressionare
gli avventori più esperti per il suo palese potenziale ed il Pinot
Nero dimostrare quanto il terroir possa geolocalizzare in termini
organolettici un varietale così distintivo come il principe dei
vitigni d’Oltralpe, mi conferma quanto il connubio fra questa giovane
vignaiola ed il suo territorio siano forti e destinati a regalare
grandi emozioni in bottiglia.

Tenuta Uccellina:
non vorrei pregiarmi di titoli o
cariche che non mi spettino, ma chi mi segue da un po’ di anno sa
quanto io abbia creduto nel Burson in tempi non sospetti e quanto
questa cantina sia diventata un riferimento per questa vera e propria
rarità romagnola, ma se di questo grande rosso da appassimento e
della storia del suo particolare vitigno di ho già parlato in più
occasioni, il plauso oggi lo faccio alle interpretazioni che
l’azienda ha proposto di Rambela sia ferma che Metodo Charmat.

Condé/Le
Lucciole:
della storia di Chiara
Condello e del suo progetto di vita, di vigna e di vino ho già avuto
modo di parlarvene, ma è solo in questa occasione che ho avuto modo
di assaggiare il Vino che segna l’ingresso nella nuova vita
dell’azienda Condé, ovvero il Raggo Brusa 2013, fiero nel suo essere
varietale e specchio del territorio. Un Sangiovese che si pone come
perfetto trait d’union fra l’impronta toscana e quella romagnola,
capace di attraversare la buona struttura con dinamica freschezza e
di spiccata mineralità. Fa ben sperare anche il campione 2015 del
progetto Le Lucciole, in cui questa giovane produttrice romagnola
crede moltissimo ed io non posso che accordarmi alla sua fiducia in
merito.

L’Aietta:
Francesco Mulinari è il proprietario di quella che, a quanto mi
risulti, dovrebbe essere la più piccola cantina di Montalcino e che,
al di là dei numeri vede nell’artigianalità dei vini prodotti e
nella volontà di non lasciarsi condizionare né dalle mode né
troppo ossessivamente dalla tradizione la sua forza. Uno delle
interpretazioni di Brunello nell’annata 2012 più solide e concrete,
che non lascia molti dubbi riguardo il suo potenziale evolutivo a
breve ed a lungo termine. Le vigne ad alberello a ridosso delle mura
di Montalcino conferiscono potenza espressiva, ma al contempo
dimostrano la capacità di questa forma di allevamento di conferire
un naturale equilibrio al frutto. Una delle realtà più centrate nel
contesto dellOnly Wine Festival.

Le Guaite di
Noemi:
a pochi giorni dal Vinitaly ho
già una nuova occasione di assaggiare i vini di quella che penso
fosse la più giovane produttrice presente all’Only Wine Festival con
i suoi 23 anni appena. Vini che, senza lasciarsi troppo condizionare
da Noemi e dalla sua giovinezza, la rappresentano al meglio nel loro
equilibrio fra l’impatto netto e diretto a primo naso e l’essenza
complessa e profonda del sorso. Vini che, a differenza di molti altri
Valpolicella, si lasciano bere con inerziale piacevolezza, grazie
alla buona freschezza e ad un’impronta minerale ben percepibile in
ogni assaggio della linea. Seppur così giovane è già una certezza.

Az. Vitivnicola
Socci:
tre sfumature di Verdicchio, tre
vini con tre anime diverse, ma convergenti e tutte molto espressive
di quella che è l’idea produttiva e, soprattutto, di quel fazzoletto
di vigneti adagiati sul “cru” di Monte Deserto. Conosco a mena
dito i vini di questa realtà, ma ogni annata mi stupisce sempre
l’alternanza delle mie preferenze fra l’una e l’altra
interpretazione. In quest’occasione a colpirmi particolarmente è
stato il Deserto 2016, intenso nel suo varietale, con un sorso
concreto, fresco e sapido. Una splendida famiglia che fa vino con
passione e dedizione continuando a regalare emozioni sincere a tutti
gli amanti del Verdicchio.

Lunarossa Vini e
passione:
se il Quartara non smette mai
di stupire me ed i fortunati avventori che hanno avuto modo di
assaggiarlo all’Only Wine o altrove, è stato il Borgomastro 2011 a
rappresentare uno degli assaggi più emozionanti dell’intera
manifestazione. Un Aglianico in purezza che lascia poco spazio ad
interpretazioni ed ancor meno a dubbi… varietale inconfondibile,
legno ben integrato e dinamica di sorso che sa di quel fazzoletto di
terra a ridosso dei Monti Picentini.


1Sorso:
forse la storia più bella e della quale vado più fiero, quella di
Mario Bagella, giovanissimo vignaiolo sardo, che più di molti altri
ha compreso e sfruttato al meglio l’occasine offerta da questa
manifestazione. Per un’azienda piccolissima, per di più isolana,
come quella gestita da Mario con l’aiuto di suo padre, non è di
certo semplice partecipare a grandi eventi enoici o fiere di settore,
per motivi logistici e di budget, ma l’opportunità di essere
selezionati e quindi di non avere costi da sostenere se non quelli
relativi a viaggio, vitto ed alloggio, ammortizzabili con la vendita
dei propri vini durante i due giorni di banco d’assaggio, ha reso
tutto più semplice. Un Cannonau 2016 che ammalia con il suo naso
sincero e la sua educazione al sorso. Il Vermentino invece può
tranquillamente risparmarvi un biglietto aereo o un viaggio in
traghetto, vista la sua capacità di farti fare un vero e proprio
trip sulle spiagge del nord della Sardegna a due passi dai vigneti
dai quali i vini di questa azienda vengono. Si prospetta un futuro
radioso per questa cantina sarda.

Podere Grecale: da Sanremo, sulle ali di un vento fresco che rievoca profumi e colori dei fiori e le note saline del mare. Una realtà, quella rappresentata all’OnlyWineFestival dalla giovane vignaiola Serena Roncone, nata dalla voglia del padre Lino di provare a fare vino nel “giardino di casa”, più per il vezzo di produrre qualcosa di buono per proprio consumo che per farne un’attività a tempo pieno. Oggi, però, Podere Grecale è un’azienda vitivinicola vera e propria che stupisce per l’identità forte ed affascinante dei propri vini che sanno di mare e di sole, ma anche di quell’effimera, ma a tratti così concretamente percepibile sensazione che solo un sogno realizzato può sviluppare.
Divertente e piacevolissimo il Metodo Ancestrale base Vermentino, che nonostante la presenza dei lieviti in sospensione permane pulito e dalla beva per nulla appesantita. Il Vermentino Superiore Maèn è il vino più complesso dell’azienda eppure per nulla impegnativo, grazie alla sua territorialità pura e semplice, fresca e marina che rende la forte struttura più che gestibile ed apprezzabile.

Santa Maria La Nave: un piacere ed un’occasione più unica che rara trovare questa micro azienda dell’Etna in giro per l’Italia con la possibilità di assaggiare vini prodotti in tiratura limitatissima da uno dei vigneti più alti d’Europa (oltre 1.100mslm sull’Etna). Occasione che in molti non si sono lasciati scappare ed io non potevo essere da meno, apprezzando sia il grecanico dorato Millesulmare che brilla per luminosità e vulcanica mineralità ed il Rosso dell’Etna Calmarossa così pieno di fuoco e passione, eppure tanto fresco e minerale (sapido/ferroso) da non riuscire ad evitare di chiederne un secondo assaggio. Uno di quei vini che ti fanno dire, anche dopo decine se non centinaia di assaggi “questo lo ribevo”!

Podere di Pomaio: quando la sostenibilità attraversa in maniera trasversale ed assennata ogni aspetto della gestione e della produzione di una cantina. Il Rosato RosAntico 2016 conferma l’attitudine di questa etichetta all’espressione più estiva di freschezza e mineralità. Un vino che vorrei sempre avere in frigorifero in una giornata di sole estiva, ma che, in fondo, porterebbe un po’ il sole nel bicchiere anche in una giornata uggiosa. Davvero elegante il Porsenna 2012, un Sangiovese come s’ha da fare.
Pomaio si dimostra ancora una volta una realtà coerente nell’essere e nel fare.

Tenuta Ripa Alta: ricordo ancora quando andai a scoprire, ancor più che a trovare, una giovanissima Alessandra Leone in quel di Cerignola. A quell’epoca – e parliamo di soli pochi anni fa – il suo piglio e la sua determinazione mi impressionarono, oggi nei suoi vini trovo tanto coraggio e trovo ancora quella forza d’animo che spero non abbandoni mai né la vignaiola né le bottiglie che usciranno dalla sua cantina. Ha carattere la ragazza ed i suoi vini ne hanno altrettanto. “Il mio Fiano” continua la pennellata di pura luce su una tela dal fondo rosso, potente e distintivo rappresentato dalle nuances di Negroamaro e Nero di Troia.

Gabriele Mazzeschi: giovane produttore toscano, che mi ha molto colpito per la sua competenza tecnica e per l’approccio consapevolmente rispettoso in vigna ed in cantina. Nei suoi vini è facile sentire la predominanza del terroir nella più assoluta assenza di omologazione. Ottimo il Foramacchie, un IGT Toscana Rosso base Sangiovese, con un piccolo saldo di Cabernet Sauvignon appena percettibile, che si dimostra molto espressivo di quella che è la naturale vocazione di questo territorio all’equilibrio tra durezza e morbidezza, freschezza e forza. La sorpresa, però, è il Primo, un rosato 100% Sangiovese vinificato in bianco con grande garbo, ottenendo un vino di grande facilità di beva, ma per nulla semplice e scontato, grazie anche alla divertente nota salina finale. Un vino che vorrei portare in spiaggia con me quest’estate.

Roberto Rondelli: il Rossese di Dolceacqua in questo contesto assume ancor più valenza e devo ammettere di aver fatto uno dei miei migliori assaggi dell’intera manifestazione proprio al desk di Roberto. Parlo del Migliarina 2013, ancora bambino, ma capace di spalancare una finestra con vista sul futuro di questo grande cru che porta con se tutto il potenziale minerale del vitigno e del terreno, in grado di sostenere ed enfatizzare il vettore acido in maniera davvero lineare. Un vignaiolo vero, Roberto, di quelli che portano in bottiglia la fatica ed il territorio, l’artigianalità ed il romanticismo con quel sottile ma al contempo megalitico equilibrio di cui solo la verità dispone.

Ci tengo inoltre a citare alcuni assaggi, di produttori che ormai non hanno di certo bisogno di presentazione e che si dimostrano ancora una volta coerenti con la qualità profusa negli ultimi anni: 

Vin de la Neu: ormai non credo esistano winelovers ed addetti ai lavori che non conoscano questa chicca enologica italiana voluta a creata dal giovane enologo Nicola Biasi. Al di là del pedigree e del palmares di Nicola, questo vino rappresenta una vera e propria scommessa con il territorio, con il clima e con chi – pochi data l’esigua tiratura di queste bottiglie – si ritroverà il Vin de la Neu nel proprio calice. Questo perché piantare un vigneto sperimentale in Val di Non e scegliere come varietale il Johanniter, vitigno ibrido resistente, non è proprio la scelta più “comune” e scontata per una realtà che produce e produrrà questo solo vino. Eppure l’impatto che la storia, l’esclusività ed ancor prima la qualità di questo vino stanno avendo da più che ragione al Nicola che ora come ora ha come obiettivo quello di raggiungere le 2000 bottiglie prodotte, per entrare a pieno regime. Vino che sa di quella valle, che sa di montagna, dall’erba alle mele, il tutto trasportato da un alito di vento fresco montano. Elegante e lieve come la neve, intenso come un raggio di sole che si specchia su di essa.

Titolo di Elena Fucci: un vero e proprio compendio di ciò che l’Aglianico possa essere e dovrebbe essere in quel territorio, ovvero una danza dinamica ed eleganza tra balsamicità, frutto e minerale vulcanicità. Un sorso lungo e composto, che aspetta di arrivare all’anima prima di dispiegare le proprie ali. Ormai sempre su standard molto alti. Anche con la 2014 il Titolo si conferma una certezza!

Tové di Marco Cecchini: di questo vignaiolo friulano ho già avuto modo di parlarvi più e più volte negli ultimi mesi, ma questa nuova annata di Tové (2015) meritava quanto meno di essere citata fra gli assaggi più convincenti ed originali della manifestazione. Questo Friulano con un saldo di Verduzzo dimostra ancora la sua grande personalità e la tensione verso un’evoluzione che è ancora agli albori. Vino buono oggi, che ha tutte le carte in regola per diventare ottimo nei prossimi 4/5 anni.

Alò di Davide del Gaia: quelli di Davide del Gaia sono vini veri, di una terra in cui il vino è fatto per secoli, ma dove oggi non vi è più l’ombra di una cantina, se non la sua e forse qualche “fondo” in cui qualche agricoltore produce qualche damigiana per proprio uso e consumo. Parlo di Anghiari, luogo magico dove sono certo che Davide troverà gli equilibri più giusti, dopo questi primi anni di sperimentazione, che stanno già dando buoni risultati. Non posso che ammirare la sua positività e la sua propositività nel fare e nel guardare lontano per sé e per il suo territorio.

Grillo Terre del Sole: c’è tanta sicilianità in questo vino, nella sua espressione varietale coerente e diretta e nel sorso caldo come un raggio  spigliato e dal finale marino. Un vino democratico, che accompagna in un mondo in cui la semplicità si fa qualità. Annata 2014 molto valida per questo vino e questa zona della Sicilia.


373 Bellese Vini: non chiamatelo prosecco! Esordisco così, in quanto dietro a questa bottiglia c’è una storia di legami viscerali con la famiglia e con la terra, c’è la voglia di realizzare, da parte di questa piccola realtà veneta, un vino che esuli dai dogmi della denominazione e che sappia esprimere quel sempre più raro connubio di passione, fatica e semplicità, senza risultare scontato e con un’identità, spesso difficile da percepire negli charmat. A fine degustazione, un calice che definirei defaticante.

3 sfumature di Verdicchio: citerò tre assaggi che mi hanno confermato l’estrema duttilità espressiva di questo varietale a cui sono così legato e la sua capacità di dire tanto delle vigne in cui viene coltivato. Il primo è il Vittoria Cl. Sup. 2015 dell’Az. Lucchetti, intenso, dal corpo materico, attraversato da una vena fresca e sapida che lo rende completo a tutto tondo; abbiamo poi il Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Ris. dell’Az. Mezzanotte, che conferma la bontà della sottovalutatissima annata 2014 nei bianchi, specie nel Verdicchio sponda Jesi, grazie ad un naso molto varietale e ad un sorso verticale ed armonico; ecco in fine il Castijo dell’Az. Casaleta, un Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 2013 da vecchio biotipi, ormai quasi totalmente perduti, che danno origine ad un Verdicchio “Old Style” nell’accezione più positiva di questa definizione, in quanto alla buona struttura tipica del Verdicchio tradizionale si aggiunge una buona dose di freschezza ed una ancor più spiccata sapidità capace di rendere il sorso inerziale. Vino di grande equilibrio e piacevolezza.

Last but not least ci tengo a segnalare come cantina da monitorare nei prossimi anni, data l’evoluzione in corso in vigna e cantina, l’azienda Le Macchie di Rieti, che mi ha molto colpito su tutta la linea, seppur presentasse vino ancora immaturi. Il potenziale di ogni referenza era, però, palese e sono certo che ci sarà da divertirsi riassaggiando quegli stessi vini tra qualche mese di bottiglia.

Un plauso anche ai vignaioli internazionali intervenuti per la prima edizione dell‘Only Wine International che hanno permesso a centinaia, forse migliaia, di winelovers ed ai produttori italiani stessi di ampliare il proprio range di palato e la propria cultura enoica confrontandosi apertamente con persone di grande competenza e di altrettanta umanità. Vini straordinari da alcuni delle regioni vitivinicole più vocate al mondo come Borgogna, Champagne e Mosella (segnalo la prima uscita ufficiale in Italia del Pinot Noix di cui parlai qui). I miei più sinceri complimenti, in questo caso, vanno a Luca Martini per l’ottima selezione, come sempre, per nulla scontata e di grande qualità.

Concludo rinnovando le mie congratulazioni a tutta l’organizzazione (AIS e FieraShow) , davvero impeccabile su tutti i fronti, ed ai produttori che hanno partecipato a questa speciale edizione dell’Only Wine Festival di Città di Castello, nella speranza di ritrovarci tra un anno a parlare ancor più positivamente di quella che ha tutte le carte in regola per diventare una delle manifestazioni enoiche più importanti d’Italia e, di certo, la più importante per quanto concerne il focus sulle piccole cantine ed i giovani vignaioli.

F.S.R.
#WineIsSharing

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