Report – Vinitaly 2017 – Cantine, Vini e produttori
Il Vinitaly 2017 è appena terminato e, come ogni anno, è giunto il momento di tirare le somme e di condividere con voi assaggi ed incontri che hanno caratterizzato questa edizione grazie a qualità, personalità e valori.
Inizio col dire che a detta di molti ed anche secondo la mia personale percezione questa sia stata una delle migliori edizioni degli ultimi 10 anni, per la qualità degli avventori, per le migliorie apportate dall’organizzazione e per – per quanto mi riguardi – la maggior consapevolezza da parte dei produttori di quanto sia importante preparare il Vinitaly per tempo, non solo sotto l’aspetto commerciale e di vendita, bensì anche e, soprattutto, per farsi conoscere ed instaurare connessioni. Idem con patate per quanto riguardi media ed operatori… inutile girare alla cadica’ e poi lamentarsi che non ci siano novità da scoprire, che siano presenti sempre gli stessi espositori e che i produttori non siano sempre allo stand. Di realtà nuove c’è ne sono ogni anno, specie se parliamo delle piccole aziende e di tempo ce n’è in abbondanza, nonostante l’ovvia dispersione che si possa avere affrontando una fiera così grande, l’importante è organizzarsi per tempo, buttar giù una bozza di tabella di marcia e fissare appuntamenti, lasciandosi il giusto spazio per qualche casuale scoperta nel mezzo del cammin di vostra fiera.
Prima di passare al report vero e proprio, vorrei fare un plauso ancor prima che all’organizzazione, a tutto il personale di servizio, specie alle ragazze ed ai ragazzi che si sono occupati di calici e sputacchiere… davvero un lavoraccio!

Da Wine Blogger anomalo, non credo di poter dire di aver avuto la percezione che il mondo del blogging enoico sia stato definitivamente sdoganato, ma di certo c’è una maggior attenzione da parte dei produttori e dei vignaioli ad una comunicazione più libera, fresca ed indipendente, purché seria e non superficiale.
Quest’anno la mia scelta in termini di assaggi ed incontri è stata dettata dalla volontà di conoscere nuove realtà e per quanto avessi voluto riassaggiare tutti i vini dei produttori segnalati nei miei articoli pre-vinitaly, non sarei mai riuscito a farlo, quindi mi sono indirizzato solo su alcune nuove annate di vini di cui avessi già avuto di parlarvi, per poi dedicarmi principalmente alla ricerca di nuove condivisioni.
Ho avuto modo di toccare quasi tutti i padiglioni, ma ho preferito focalizzarmi su territori per me più difficili da visitare durante l’anno e su cantine delle quali non avessi ancora avuto modo di parlarvi.
Le sorprese di questo Vinitaly
Lazzari: che il Montenetto sia una terra vocata alla produzione vitivinicola… lo sapete tutti vero? Naaa… non sapete neanche dove si trovi in Montenetto e fino a pochi anni fa io ero nelle vostre stesse condizioni. Poi incontrai i vini dell’azienda San Michele (molto buono il nuovo Metodo Classico Belvedere assaggiato in fiera) e mi si aprì un mondo. Proprio grazie ai vini di quest’azienda ho voluto approfondire questa realtà territoriale, inserendo nella mia “To Do/Taste List” di questo Vinitaly anche l’azienda Lazzari di Paolo Ruffini… scusate, di Davide Lazzari (la somiglianza è disarmante!) e della sua famiglia.
Tra le migliori bolle assaggiate durante questo Vinitaly c’è senza tema di smentita il Metodo Classico Extra Brut Millesimato di Lazzari, ma ad incuriosirmi di più è stato il Bastian Contrario Trebbiano con una buona percentuale di uva surmatura botritizzata, capace di esprimere un grande potenziale evolutivo, ma di essere apprezzato in tutta la sua diretta complessità anche oggi, nell’annata 2014.
Cappella Sant’Andrea: una delle Cantine che non avevo previsto di incontrare, ma che per puro caso mi ritrovo a scoprire (grazie Mara!). Sin dal primo assaggio ho capito che, forse, fosse la volta buona che mi riappacificassi con la Vernaccia di San Gimignano e così è stato. Ottimo il Rialto, ma tra gli assaggi più particolari e sorprendenti del Vinitaly non posso che citare la Vernaccia Prima Luce, in grado di scardinare i preconcetti legati ai bianchi macerati sulle bucce ed all’utilizzo della terracotta, come elementi – purtroppo – spesso omologanti. Questo grazie ad una vinificazione accorta, all’utilizzo di un varietale più che opportuno ed alla creazione di un orcio toscano che differisca dalle anfore attualmente in commercio. Davvero un bell’incontro.
Oscar Bosio: cantina che non conoscevo, ma che mi aveva contattato per aver un mio parere riguardo le svariate interpretazioni di Moscato prodotte: Moscato secco, Moscato d’Asti, Moscato Chinato. Il mio parere è più che positivo specie per quanto concerne l’interpretazione del Moscato Secco, capace non solo di affascinare con il suo contrasto naso-bocca (dolce-secco), ma anche di stupire in longevità (ho avuto modo di assaggiare in verticale le annate 2016-2012-2009 riscontrandone un’ottima evoluzione). Il sorso inatteso, però, viene dalla Barbera d’Alba 2013, vino di grande spessore, spinto da una profonda freschezza. Vino che vorresti trovare in ogni ristorante, per la loro duttilità e piacevolezza.
La Raina: l’Umbria colpisce ancora! Conoscevo già quest’azienda, ma non avevo ancora avuto modo di assaggiare tutta la linea e – che ve lo dico a fà?! – ora non vedo l’ora di andarli a trovare in cantina! Conduzione dei vigneti secondo i principi della biodinamica con ottimi risultati in termini di pulizia e territorialità. Dinamico il Trebbiano Spoletino e molto più equilibrato ed apprezzabile della “norma” il, seppur infante, Campo di Raina, Montefalco Sagrantino 2011.
La Calcinara: il Conero in purezza! Azienda creativa, alla quale mi dedicai nei primordi del mio avvicinamento al Vino, in quanto colpito dai nomi dei loro Vini e dalle bellissime etichette: Il Folle, Il Cacciatore di Sogni, Terra, Mun ed ora anche il Clochard. Se sui rossi de La Calcinara si è già scritto e detto tanto, vorrei far notare la qualità del Mun, rosato tra i più convincenti assaggiati negli ultimi tempi e, soprattutto, la sovrastante identità territoriale del nuovo nato Clochard. Un Vino che non poteva che infondere in me un minimo di pregiudizio, dato che al Verdicchio si va ad aggiungere una piccola, ma importante, percentuale di Chardonnay, ma che ci mette poco dipanare ogni dubbio. Come? Col Conero! Sì, perché sin troppo spesso confondiamo la territorialità con l’espressione prettamente varietale di un vino, mentre la vera forza di un territorio, di un terreno, di un’annata, di un vignaiolo… insomma, di un terroir è proprio la capacità di insegnare all’uva la propria lingua, darle connotazioni uniche e peculiari, rispettando la sua identità, ma conferendole dei tratti distintivi irripetibili altrove. E’ un vino in cui ancora Verdicchio e Chardonnay giocano al tiro alla fune, ma è inutile dirvi che già so chi vincerà ed il premio sarà un gran bel bere.
Lodi Corazza: “…ma quant’è bello andare in giro per i colli bolognesi…” e lo sarebbe altrettanto se ci si fermasse ad assaggiare un Pignoletto, siate voi a bordo di una Vespa 50 Special, di un cavallo, un auto o qualsiasi altro mezzo di trasporto! Non mi spiego davvero come un territorio così bello, con ai piedi una città così ricca di fermento e di creatività, non sia mai riuscito a farsi apprezzare in termini di qualità enoica?! In questa azienda la vocazionalità del territorio è così palese da far fatica a scegliere un vino che possa identificarne la filosofia aziendale. Se il Pignoletto vinificato spumante, frizzante e fermo parla di questi colli e del varietale puntando dritto al futuro, ma voltandosi indietro ad ogni vendemmia, per non perdere le proprie radici, è il Sauvignon a togliere ogni dubbio riguardo le potenzialità di queste terre, con grande equilibrio e caparbia eleganza.
Tenuta Scuotto: forse l’azienda che mi ha colpito di più su tutta la linea, durante questo Vinitaly, grazie ad una ferrea convinzione nei propri mezzi ed alla volontà imperturbabile di produrre grandi vini, senza compromessi.
L’Oi-nì è di certo il Vino più rappresentativo della Cantina che potrebbe sembrare l’ennesimo tentativo di assimilare il Fiano al Riesling Renano, ma che non è affatto così! Direi l’esatto opposto, ovvero la volontà di far esprimere il Fiano nelle migliori condizioni possibili: vendemmia a piena maturità, fermentazione spontanea a temperatura controllata ed affinamento in botti ovali alsaziane, non filtrato. Se volete chiamatelo vino naturale, io lo chiamo grande vino!
Daino: piccolissima realtà, che volevo assolutamente conoscere e ne è più che valsa la pena. Un solo vino prodotto, il Suber, dal blend dei varietali allevati rigorosamente ad alberello in quel di Caltagirone: Nero d’Avola, Frappato ed Alicante. Massimo rispetto in vigna e grande consapevolezza tecnica che porta alla produzione di un vino di rara potenza espressiva, ma al contempo di impetuosa spontaneità. Disarmante nella sua proiezione temporale. Una delle bottiglie che non potranno mancare nella mia cantina.
Cascina Chicco: una bella storia di famiglia e di vino, che si traduce in un grande rispetto per la propria terra in cui le radici umane si intrecciano con quelle delle viti. Non di certo una piccolissima realtà eppure la sensazione è che in quest’azienda si dedichi ad ogni singolo vino si dedichi l’attenzione che si possa dedicare ad un figlio. Ho apprezzato molto il Metodo Classico Pàs Dosé da uve Nebbiolo ed in generale ho riscontrato una buona qualità media su tutta la linea, con un picco nel Barolo Rocche di Castelletto 2013, ancora da attendere, ma già in grado di far capire di che stoffa sia fatto.
Marangona: quando è un produttore a consigliarti un’altra cantina il suggerimento vale doppio ed io non me lo lascio scappare perché è difficile che venga deluso. Quest’azienda ne è la prova, con la sua viticoltura sostenibile ed interpretazioni di Lugana che mi riportano ai grandi Verdicchio, pur mantenendo una forte identità territoriale, e quindi, molto nelle mie corde. Il loro Tre Campane è un compendio di freschezza, sapidità e profondità di sorso, il tutto espresso con dinamica e schietta eleganza.
Il Cennatoio: ho avuto modo di conoscere Emiliano Alessi, attuale titolare della storica azienda di Panzano in Chianti, nel cuore del Chianti Classico, in maniera più che fortuita, ma come già accennato, sono questi gli incontri che amo di più e che, l’esperienza mi insegna, sono forieri delle emozioni più inattese ed incondizionate. Un’azienda che fa della sua tradizione la sua forza, di quelle che non comunicano molto, ma fanno e fanno bene. Il Chianti Classico è davvero un Chianti Classico sia nella versione “base” che nell’etichetta Oro, e non un surrogato spacciato per tale, ma è il Mammolo, un Merlot in purezza tutto territorio poco super-tuscan, a colpire nel segno per l’eleganza al naso e la levatura del sorso, pieno e potente, ma attraversato da una forte componente minerale capace di renderlo vibrante. Davvero godurioso, nel suo equilibrio e nell’assenza totale di stucchevolezza, l’Occhio di Pernice 2000. Da riassaggiare con maggior calma l’Etrusco, un Sangiovese Grosso in purezza dal quale mi aspetto grandi sorprese, specie in longevità.
Realtà nuove da approfondire nei prossimi mesi:
Trullo di Pezza: azienda dal grande potenziale, da seguire con grande attenzione. Vini già dalla spiccata personalità. Sorprendente l’Aglianico in purezza, che non t’aspetti in quest’areale, ma che regala sensazioni mediterranee sferzate da marina freschezza.
De’Ricci: una delle cantine storiche di Montepulciano, ove le botti, tra vecchie e “nuove”, riposano nel silenzio sacrale di una vera cattedrale Romano-Gotica. E’ in atto un vero e proprio cambio della guardia agronomico ed enologico ed assaggiando ciò che è stato fatto “ieri” e ciò che si sta facendo “oggi”, sono più che positivo riguardo il “domani” di questa realtà. Date le recenti delusioni avuto con il Nobile di Montepulciano, credo che questa Cantina possa essere una delle poche “Cattedrali” in un deserto che, spero, possa tornare a fiorire rigoglioso.
Abrigo: azienda che sta attraversando un vero e proprio cambio generazionale e che ben si è comportata sia durante le anteprime piemontesi che in questo Vinitaly. Molto interessante il progetto Sesta Classe, vino creato da compagni di università al fine di dimostrare ai “grandi” che la collaborazione ed il rispetto reciproco possano dare ottimi risultati sia nel bicchiere che in termini di comunicazione. Molto buono il cru di Dolcetto di Diano Superiore Garabei, che spicca per potenziale evolutivo.
Isola Augusta: la zona Doc Friuli Latisana non è di certo la più nota della regione, ma questa realtà si pone come faro per la valorizzazione dell’intero territorio vitivinicolo e sta già esprimendo vini di pregio che continuerò a seguire nei prossimi mesi ed anni nella convinzione che ci siano i margini per il raggiungimento di obiettivi inaspettati per quest’area.
Le conferme – Cantine, Vini e Territori rigorosamente in ordine sparso
(perché dal caos nasce l’ordine… o almeno spero!)
FIVI & ViViT: la zona più affollata e con la più alta densità di buoni assaggi e belle persone (che non me ne vogliano gli altri) continua ad essere quella occupata da questi due veri e propri fenomeni, recenti, della manifestazione. L’attenzione dedicata alla FIVI (che ricordo non essere un movimento dedicato a certificazioni o pseudo-filosofie agronomiche e/o enologiche, come ampiamente descritto qui) cresce con il crescere degli associati, ma anche con la sempre più palese voglia di sapere cosa ci sia dietro ciò che si beva da parte di operatori e consumatori. Per il ViViT il discorso è diverso, ma è importante non sottovalutare un fattore che quest’anno si è evidenziato in modo lampante a sentire molti dei produttori presenti, ovvero un importante livellamento verso l’alto della qualità degli avventori (molti più operatori seri e concreti e non solo “fans dei vini naturali”). Questi due eventi nell’evento continuano a rappresentare sempre di più un valore aggiunto per l’intero Vinitaly, sia in termini di qualità che di comunicazione.
Coerenza, stile e storia in Franciacorta
Uberti: quando vai per riassaggiare un Pàs Dosé e ti ritrovi ad assaggiare quello stesso Pàs Dosé, il Sublimis, in tre annate diverse per poi passare al Quinque ed all’anteprima della nuova cuvèe 10 anni, ti rendi conto che a certi vini non puoi davvero dire di no. Se c’è un’azienda che parli di territorio e che abbia un pedigree concreto e valutabile attraverso uno storico importante, questa è senza ombra di dubbio l’azienda della famiglia Uberti. Qualcosa di raro in un contesto che sin troppo spesso mi delude.
La mia piccola grande Valpolicella
Damoli: micro-azienda che in Valpolicella continua a sfornare piccoli grandi capolavori di artigianato artistico. Nessun calo su tutta la linea, rispetto all’anno scorso, con il Brigasco sempre più in linea con il mio gusto per eleganza, profondità e lunghezza.
Le Guaite di Noemi: restyling visivo, ma non identitario, quello apportato dalla giovane produttrice Noemi Pizzighella, che continua a parlare del suo territorio con grande precisione stilistica, ma senza annoiare. L’anno scorso era una sorpresa, quest’anno una certezza. Uno dei migliori Amarone assaggiati negli ultimi tempi.
Friuli sugli scudi
Valentino Butussi: i vini della famiglia Butussi sembrano essere direttamente proporzionali all’altezza dei suoi componenti ( 1m90cm di media!), grande nerbo nei bianchi con i Sauvignon base e selezione sugli scudi, per impatto espressivo del varietale e profondità verticale e minerale del sorso. Ottimi anche i rossi, con il Pignolo che merita di avere più attenzione sia per quanto riguardi quest’azienda che più in generale come vitigno capace di grande identità territoriale e, soprattutto, di dar vita a vini dal grande potenziale.
Vignaioli Specogna: azienda che non si smentisce mai. Cambiano le annate, cambia la personalità, ma il Duality resta ancora uno dei migliori assaggi di ogni edizione del Vinitaly da quando Cristian e Michele hanno iniziato a produrlo.
Villa Parens: se dovessi scegliere una realtà capace di esprimere la purezza dei varietali con classe e finezza, non avrei dubbi e sceglierei Villa Parens. Rispetto e tecnica fusi al fine di imbottigliare un’idea concreta ed immutabile di vino. Tra i più eleganti metodo classico assaggiati negli ultimi anni spiccano le loro bollicine.
Dri il Roncat: un’azienda che funge da anni da riferimento per i rari vini da dessert e meditazione Picolit e Ramandolo (proposto addirittura in tre versioni). Se con questi vini dorati il mio palato va letteralmente in brodo di giuggiole è con i Rossi della tradizione friulana che mi sono stupito di più, specie con lo Schioppettino ed il Pignolo, resi più educati e meno rudi dall’affinamento, ma al contempo integri e veritieri nella loro personalità caparbia ed a tratti ruvida. Non ho ancora avuto modo di visitare questa cantina, ma rimedieremo presto.
Piemonte varie ed eventuali…
-Per quanto riguarda il Nebbiolo Aurelio Settimo, Casina Bric, Serradenari di Giulia Negri e Rizzi si confermano, a pochi giorni da Nebbiolo Prima, le realtà che più sappiano interpretare il principe dei vitigni piemontesi nella maniera più compatibile alle mie esigenze gustative odierne: spiccata freschezza, lineare finezza, nessuna forte incidenza dell’affinamento, buon equilibrio.
-Il Ruché si conferma il vino “strano” che piace a “tutti”. A decine mi avete ringraziato per avervi consigliato quello delle Cantine Sant’Agata come assaggio da non perdere al Vinitaly e sono davvero felice che questo vitigno e questo vino si stiano facendo valere assaggio dopo assaggio, nonostante tutte le difficoltà dello stesso varietale (la flavescenza dorata sta decimando i vigneti storici) e della denominazione, tra le meno conosciute.
-Per quanto riguarda il Timorasso, invece, sempre interessante valutarne le diverse espressioni prodotte dalla Cascina i Carpini, con il Brezza d’Estate in grande spolvero.
Umbria il cuore verde… bianco e rosso d’Italia!
Peppucci e Roccafiore: le cito insieme, perché credo siano le colonne portanti del territorio tuderte e del Grechetto di Todi e che stiano facendo tanto in vigna, in cantina, nel bicchiere, ma anche in termini di comunicazione per mostrare il potenziale di una terra capace di produrre vini di grande qualità, in linea con i palati odierni più esigenti, ovvero quelli che sono alla perenne ricerca di identità territoriale, rispetto del varietale, spiccata freschezza ed ottimo potenziale evolutivo. Non vi spoilero la novità in casa Roccafiore (perché uscirà tra qualche mese e sono certo avrò occasione di parlarvene in maniera più approfondita), ma continuo a trovare nel Fiorfiore uno di quei vini che berrei ogni giorno senza anoiarmi. Per quanto riguarda la Cantina Peppucci, vi dico solo che mi sono seduto chiedendo di assaggiare tre vini, per poi ritrovarmi a fare una full immersion aziendale, tanta era la curiosità inerziale scaturita dai primi assaggi. Il Grechetto di Todi I Rovi 2014 dimostra quanto quest’annata così prematuramente bistrattata stia regalando grandi bianchi, specie nel Centro Italia. In ambo i casi i bianchi sono sicuramente ciò che rispetti di più la territorialità in senso stretto, ma lo stupore vero lo si prova assaggiando i Rossi.
Fattoria Giro di Vento: felice di essere riuscito ad assaggiare i vini di questa piccola azienda umbria, in quanto ennesima conferma della crescita dell’intera regione, che anche nel territorio di Narni trova picchi notevoli di qualità. Impeccabile la conduzione in vigna che si traduce in un risultato nel calice molto pulito e mai scontato. Vini da riassaggiare nei prossimi mesi e di certo in loco, per approfondire quella che potrebbe essere la vera sorpresa di questo Vinitaly per me.
Il Sud Impera
Lunarossa: amore ed odio per questa cantina, che da un lato non mi delude mai con i propri vini, ma dall’altro è una delle pochissime capaci di creare dipendenza, specie con un Vino, il Quartara, di cui vi parlai ampiamente qui e che non accenna a stancarsi di stupire me e chiunque abbia modo di condividerne l’assaggio con li sottoscritto.
Michele Calò & Figli: non smetterò mai di parlarvi di quest’azienda come della più concreta e coerente espressione del Rosato Salentino tradizionale. Una tradizione data dalla tecnica di vinificazione a lacrima, ormai in disuso, e dalla conduzione dei vigneti… un tradizione, però, che non teme il confronto con la modernità e si ritrova ad essere più contemporanea di molte storpiature del Rosato, votate al rendere il colore del vino più provenzale (quindi più vendibile), il sorso più acido ed il grado alcolico più basso. I Rosati di Calò sono quello che la vigna e l’annata donano alla cantina ed anno intrinseche in essi le doti della freschezza e della sapidità marina capaci di far venir meno ogni altra peculiarità che possa rendere più vendibile o bevibile un rosato. Assaggiati questi, l’asticella si alza ed i record mondiali di salto in alto sono sempre stati tra i più duri da battere.
Calabria in crescita continua
Davvero interessante la serie di assaggi fatti in un padiglione, in cui ammetto – mea culpa – di non aver mai trascorso tanto tempo come durante questa edizione. Un intero movimento, quello del Cirò, che sta crescendo di qualità di annata in annata, con profondo rispetto della tradizione, ma con un occhio sempre più attento e consapevole ad una viticoltura rispettosa ed illuminata. Ottimi i vini di Cataldo Calabretta, ‘A vita, Sergio Arcuri, Cote di Franze, Tenuta del Conte ed Antiche Vigne di Pironti Gianfranco. Nei prossimi mesi dedicherò, sicuramente, un approfondimento ai vini di queste aziende ed al Cirò in particolare.
Focus Sicilia
Senza ombra di dubbio la regione che riesce a mantenere il livello qualitativo medio più costante sia grazie alle annate (percepite in maniera nettamente differente da quelle continentali) che per via del minor gap in termini di rispetto in vigna ed in cantina tra grandi aziende e piccole aziende (è indubbio che fare “bio” in Sicilia sia più “semplice” che altrove). In un mix tra espressività territoriale e vini d’autore, le realtà che hanno spiccato di più sono state le Cantine Fina, la Tenuta Gorghi Tondi, Gulfi ed Intorcia fra le “Big” che già conoscevo da anni. Mentre per quanto riguarda le sorprese non posso che citare due micro-realtà, che sin da queste prime vendemmie stanno dimostrando un potenziale impressionante, ovvero Santa Maria la Nave (il nuovo metodo classico è ancora sui lieviti, ma si fa già bere con estremo piacere) e la Cantina Eudes (veri bianchi vulcanici), entrambe sull’Etna. Impressionante la costanza qualitativa di realtà ormai imprescindibili per chi ami l’Etna, come Girolamo Russo e Graci.
“Terre di Pisa & Co.”
Continuo ad assaggiare vini di questa zona e sono sempre più convinto che rappresenti l’areale toscano più interessante e da tenere più in considerazione da qui in avanti, per il lavoro che stanno facendo i produttori, per la coerenza che si sta trovando nell’interpretazione di varietali autoctoni ed internazionali e per i picchi qualitativi che ogni azienda riesca ad ottenere nei propri cru e nelle proprie riserve. Insieme al Montenetto rappresenta il territorio che di più mi ha colpito in questo Vinitaly e negli ultimi mesi. Della Fattoria Fibbiano, di Marcampo, Pieve de’Pitti, La Regola e Pietro Beconcini vi ho già parlato in passato, ma vi consiglio di assaggiare le nuove annate. Questo è un territorio in cui il margine di crescita è davvero importante.
Refresh post-anteprima – Brunello di Montalcino
Un piccolo remind a distanza di pochi mesi dall’anteprima che conferma che le 2012 più nelle mie corde siano quelle della Fattoria il Pino, del Marroneto (ottimo anche il Rosso 2015), di Pietroso, de Le Potazzine, Col di Lamo e Sanlorenzo ed ovviamente Salvioni. Annata di grandi prospettive che, ancora una volta, dimostra quanto le cantine con vigneti più in alto stiano trovando uno slancio fino a pochi anni fa impossibile da portare in bottiglia con tanta concretezza e maturità.
Ritorno alla origini – Le Marche
Non posso che confermare la crescita esponenziale che la mia regione di origine stia avendo negli ultimi anni, nel Verdicchio e, soprattutto, nelle denominazioni minori e nei vitigni meno conosciuti. Di molte di queste aziende ho già avuto modo di parlare, ma ci tengo a citarle nuovamente in quanto sembrano non sbagliare mai un colpo: Tenuta San Marcello, Lucchetti, Montecappone, Socci, Garofoli, Colognola, Provima, Spinsanti, La Calcinara, Mezzanotte, Marconi, Terracruda, il Conventino di Monteciccardo, Cignano, Vigneti Vallorani e potrei citare anche vini ed aziende che non ho avuto modo e tempo di incontrare nuovamente al Vinitaly, data la frequenza con la quale assaggi i loro vini, ma rischierei solo di essere ripetitivo.
Le due certezze dei miei ultimi 4 Vinitaly
Tenuta le Potazzine e Gianfranco Fino – Chi mi segue da tempo sa quanto io tenga a queste due realtà, ma vi assicuro che il giorno in cui entrambe o anche una sola di esse mi deluderà lo saprete è che, visti i presupposti, ho seri dubbi possano farlo!
Per concludere…
Gli assaggi più nitidi del mio Vinitaly 2017:
Sublimis 2003 – Uberti;
Grecanico Dorato M. C. (Anteprima – ancora sui lieviti) – Santa Maria La Nave;
Pàs Dosé – Gioacchino Garofoli;
Cimbrus Brut (62 mesi) – Alfio Nicolodi;
Ribona Metodo Classico – Fontezoppa;
Donna Francesca – Giovanni Ederle;
Bastian Contrario 2014 – Lazzari;
Oinì 2011 – Tenuta Scuotto;
Duality 2015 – Vignaioli Specogna;
Bentivoglio Sauvignon Colli Bolognesi Superiore 2000 – Lodi Corazza;
Ivangelo Riserva 2013 – Villa Parens;
Bianco 2015 – La Maliosa;
Marika 2016 – Az. Vit. Socci;
Quartara 2012-2013-2014 – Lunarossa Vini e Passione;
Labieno 2007 – Cantina Colognola;
Prima Luce 2014 – Cappella di Sant’Andrea;
Clochard 2016 – La Calcinara;
Marco Cecchini – Chardonnay 2015;
Timorasso Brezza d’Estate – Cascina I Carpini;
Cerasa 2015 – Michele Calò & Figli;
Rosato – Roccafiore;
Cuna 2007-2013 – Podere Santa Felicita;
Suber 2013 – Daino;
L’Altro Io 2009 – Cantina Peppucci;
Caro Maestro 2013 – Cantine Fina;
Villa Montosoli 2013 – Pietroso;
Rosso di Montalcino 2015 – Il Marroneto;
Aurelio Settimo – Barolo 1971 Riserva;
Sassone 2007 – Spinsanti;
Mariasole 2015 – Lucchetti;
Il Piccolo Syrah 2016 – Piandibugnano “nelle Terre Umbre”;
Valentino Butussi 2013 – Santuari Rosso Riserva;
Barbera 2013 – Oscar Bosio;
Centesimino Monterbato 2015 – San Biagio Vecchio;
Peppina Moscato di Saracena – Giuseppe Calabrese;
Ramandolo Uve Decembrine 2010 – Dri Il Roncat;
Grillo D’Oro – Tenuta Gorghi Tondi;
Marsala Vergine Secco Riserva 1980 – Intorcia.
Momento topico del mio Vinitaly – Maria Filippi e la Carrà mi spicciano casa!
Ricordate il mio articolo di qualche giorno fa, in cui invitavo tutti gli amanti del vino a cogliere l’occasione del Vinitaly per incontrare due grandi Maestri come Lorenzo Corino e Federico Staderini?(Questo) Beh… l’ironia della sorte ha voluto che nell’assegnazione dei desk al ViViT siano capitati esattamente l’uno di fronte all’altro! Potete immaginare il mio stupore ed il conseguente brivido lungo la schiena, che si è da subito tradotto nell’impellente desiderio di presentarli. Sì, perché questi due grandi del Vino italiano (e non solo) non avevano mai avuto modo di stringersi la mano, quindi non potevo far altro che rimediare! Questa foto dice tutto, eccetto della mia commozione.

Questo Vinitaly è stato, di certo, il più impegnativo per me da quando scrivo di Vigne, di Vignaioli, di Produttori e di Vino, ma anche il più ricco di spunti e di soddisfazioni. Come sempre, questo grande LunaPark enoico serve, a me, come punto di partenza per nuovi viaggi, nuovi assaggi ed approfondimenti da portare avanti nel corso dei prossimi mesi, per poi ritrovarci tutti, nuovamente, in quel di Verona ed io, che dir se ne voglia, non vedo l’ora! Quindi, alla prossima edizione!
F.S.R.
#WineIsSharing
Per condividere questo post potete utilizzare i tasti che troverete sotto al titolo
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.