A volte capita che un viaggio si trasformi in un racconto… beh, a me capita spesso direi!
Eppure, non tutti i viaggi vogliono essere raccontati allo stesso modo, non tutte le esperienze sembrano volersi rendere manifeste, perché intime, intense, quasi segrete.
Ci sono incontri, poi, che si pongono nel mezzo, tra la gelosia e la cupidigia di chi vorrebbe tener tutto per sé e la volontà fatta necessità di condividere il più possibile di ciò che si ha avuto modo di vivere.
E’ proprio questo il caso del mio viaggio, della mia esperienza, del mio incontro con Luigi Tecce, vignaiolo “critico”, artigiano dell’Aglianico, poeta maledetto di quel vino che nel suo essere “prodotto” dell’azione umana sin troppo spesso si allontani dall’essere materia prima, viva e cosciente.
E’ proprio questo il caso del mio viaggio, della mia esperienza, del mio incontro con Luigi Tecce, vignaiolo “critico”, artigiano dell’Aglianico, poeta maledetto di quel vino che nel suo essere “prodotto” dell’azione umana sin troppo spesso si allontani dall’essere materia prima, viva e cosciente.
Siamo a Paternopoli, terra di Aglianico e di Taurasi, in cui Luigi Tecce coltiva quelle antiche vigne ancora con l’arcaica e, per alcuni, desueta, forma di allevamento della raggiera irpina. Viti ed ancor prima terre ereditate dal padre, scomparso improvvisamente alla fine del secolo scorso, mettendo Luigi di fronte ad una scelta “perpetrare o deficere”. La sua scelta è palese, dato che sono qui a raccontarvi della sua realtà e del suoi vini, ma non lo è il modo in cui questo piccolo grande uomo ha preso in mano le redini dell’azienda ed impreso con profusa saggezza, ma non senza rischi.
Basta un istante, una domanda del tipo “dove ci troviamo?” per dare il via ad un’escalation di descrizioni minuziose, aneddoti e digressioni storico-artistico-letterarie nelle quali Luigi è maestro ed è anche per questo che quella che avrebbe potuto essere una semplice visita in cantina è divenuta un’esperienza di quelle che ti arricchiscono cuore, mente e viscere.
Nella sua piccola cantina, questo vignaiolo artigiano, ripudia i dogmi dell’enologia moderna e relega e delega alla mente, alla mano ed alla sua sensibilità ogni fase del fare vino.
Vino naturale? Vino biodinamico? Io non riesco ad inserire Luigi Tecce in una corrente, in un recinto che per quanto possa apparire open minded è pur sempre una costrizione in termini. Lo vedo, piuttosto, come un saggio contemporaneo, che sa attingere al passato ed alla tradizione in modo oculato, prendendo ciò che di meno invasivo offre il presente al fine di produrre vini di grande energia vitale, ma sempre puliti, corretti, integri e durevoli.
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Maman Bianco – Luigi Tecce |
E’ questo il caso del suo primo bianco, il Maman 2015 uvaggio a maggioranza greco (45%), con fiano (25%), coda di volpe (25%) e moscato (5%), che fa macerazione sulle bucce di circa due settimane (la metà per il greco). Poco più di mille bottiglie per un vino fatto a regola d’arte nella sua naturale predisposizione a stupire con una danza soave di dolcezza e freschezza al naso che diviene sorso secco, dinamico, vibrante in bocca. Complesso, ma dalla beva disarmante, per quello che non sembra essere solo un esercizio di stile o ancor meno un gioco, ma una vera e propria dedica alla madre e quindi grande in quanto tale.
Poi c’è il Poliphemo, un Taurasi in grado di tracciare un solco netto tra i vini di Luigi Tecce ed il resto del mondo, perché è qui che vengono meno tutti i pregiudizi sulla raggiera, è qui che cade il castello di carte costruito sulle fondamenta fragili delle diatribe fra naturale e convenzionale, è qui che l’Aglianico si fa grande in equilibrio e profondità.
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Verticale Poliphemo Taurasi – Luigi Tecce |
Assaggiando in verticale il Poliphemo 2013-2012-2011-2010-2009-2006 è stato semplice comprendere la matrice comune di questa terra e dell’interpretazione che Luigi ha di essa, ovvero una matrice senza compromessi, ma di grande armonia fra potenza espressiva del varietale integro in ogni annata al naso ed in bocca e la spinta vitale e “sconquassante” dell’acida freschezza che attraverso ogni singolo sorso e che nella 2006 si fa spina dorsale di un vino ancora dritto, vispo, reattivo come uno scugnizzo che s’ha ancora da fare. Tra tutte le annate la 2012 è quella che ha convinto di più gli astanti in maniera trasversale per la sua lodevole affabilità, ma io ho decisamente preferito la 2013, che vanta uno slancio prospettico entusiasmante, molto più fresco e con un finale lievemente sapido, non così consueto nel Taurasi.
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Satyricon 2009 Campi Taurasini – Luigi Tecce |
Poi arrivare il Satyricon (Irpinia Campi Taurasini), anch’esso Aglianico puro, ma allevato a spalliera potata a cordone, che nell’annata 2009 si dimostra ancora in grado di evolvere e di mostrarsi per quello che il varietale può dare in questa terra, carica di sostanza e nutrimento, forte della sua mineralità calcarea, antica ed inarrestabile. Vino che, pur giungendo nel mio calice dopo un’emozionante verticale di Poliphemo, è capace di attirare tutta la mia attenzione e di non annoiare… mai! Questo mi basta per definirla una grande bottiglia.
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Passito di Aglianico 2008 – Luigi Tecce |
Dulcis in fundo, ma non troppo “dulcis”, c’è la sorpresa di Luigi, che non pago della sua liquida generosità, tira letteralmente fuori dal piccolo frigorifero della sua umile “sala degustazione”, una mezza del suo Passito di Aglianico. Potrei descriverlo in mille modi, potrei darvi connotazioni tecniche e prodigarmi nel tessere le lodi di un piccolo grande capolavoro, ma l’unico descrittore che mi è venuto in mente dopo il primo sorso e che ancora oggi mi sembra l’unico a rendergli onore è “Vino clamoroso!”. Stucchevolezza non pervenuta.
Raccontare incontri come questo non è semplice, perché si sa – più o meno – da dove iniziare, ma non si ha la più pallida idea di dove si andrà a finire e soprattutto da quali vie si passerà, tante sono state le ramificazioni del dialogo, della visita e della degustazione, ma l’invito è quello di andare personalmente in Irpinia a conoscere
Luigi Tecce, per farvi un’idea vostra riguardo la persona ed il vino. Per me, ne vale la pena, a prescindere dai preconcetti, dalle pseudo-filosofie e da alcuni fattori che potrebbero far vacillare le
nostre, poco utili, certezze enoiche.
Luigi Tecce, per farvi un’idea vostra riguardo la persona ed il vino. Per me, ne vale la pena, a prescindere dai preconcetti, dalle pseudo-filosofie e da alcuni fattori che potrebbero far vacillare le
nostre, poco utili, certezze enoiche.
Quando saperi antichi come quelli della terra si fondono con la cultura e l’acume anche il vino ne trae giovamento.
F.S.R.
#WineIsSharing