Borgogna on the road tra Domaine, assaggi e fantasie enoiche

Se c’è un film che ogni amante del vino dovrebbe aver visto almeno una volta quello è senza ombra di dubbio Sideways e chiunque l’abbia visto non può non aver fantasticato, anche solo per un istante, sulla possibilità di fare un viaggio che ricalcasse un po’ le orme di quello fatto da Miles (Paul Giamatti) e Jack (Thomas Haden Church).

E’ proprio quando meno te lo aspetti, quando avevi deciso di dedicarti a tutt’altro in quel periodo, che ti arriva una mail che fa più o meno così “Andiamo a Bordeaux per Vinexpo?” e tu, senza rifletterci più di un millesimo di secondo, rispondi “Mais oui, bien sûr!” – le mie reminiscenze delle medie di francese proseguono con “Bonjour madame”, “Comment tu t’appelles?” e “Rien ne va plus, les jeux sont faits”… forse quest’ultima non me la ricordo dalle medie! – e senza neanche accorgertene sei già a fare l’ennesima valigia.
La meta era quella della nota fiera enoica internazionale Vinexpo, ma da bravo amante di Sideways questo viaggio non poteva essere il “solito viaggio”! Quindi niente aereo… si parte in auto, senza programma, senza pianificare appuntamenti o prenotare hotel, come si confà ad un vero viaggio on the road.

viaggio vino borgogna
Ci troviamo la mattina del 16 giugno a Torino e partiamo direzione Borgogna. Rispolvero al volo i miei contatti con i Vignerons Indépendants de Bourgogne e durante le 5 ore di viaggio riesco a fissare la prima visita al Domaine Nudant a Ladoix Serigny nel pieno del , una “piccola” realtà votata alla biodinamica in tutto e per tutto, ma con un approccio che era proprio quello che speravo di trovare in Borgogna, ovvero quello più logico ed assennato in vigna ed in cantina.

In questa terra di Pinot Noir e Chardonnay, dove i vigneti sembrano, per lo più, essere coltivati dagli “Umpa Lumpa” (Citazione) per via della potatura bassa ed hanno densità rarissime in Italia, che raggiungono in molti casi i 10.000 ceppi per ettaro, si respira un’aria sacrale, in cui la cantina è solo un’officina, spesso molto meno “accogliente” delle nostre, ma dedite al lavoro in tutto e per tutto, nella massima ergonomia, ottimizzando spazi e strumentazione al fine di ottenere il massimo, senza nulla di superfluo.
Qui è il territorio che parla, sono i singoli cru ed ancor più i clos (per chi non lo sapesse, si tratta di piccoli ritagli di vigneti già molto vocati, isolati dal resto della particella da muretti a secco, creati originariamente dai monaci in base alle caratteristiche che solo quella manciata di filari potessero vantare) a definire le peculiarità e la personalità dei vari vini prodotti da un Domaine. E’ così che ti ritrovi ad assaggiare 17 vini, prodotti da singole vigne e da clos in 17 ettari totali di proprietà (in piccola parte) ed in affitto (la maggior parte dei vigneti in Borgogna sono o ereditati o presi in affitto dai vignerons e dai Domaines).
Se gli Chardonnay sono risultati né più né meno dei “soliti” Chardonnay, tutte le micro produzioni di Pinot Nero hanno confermato la mia convinzione che il Pinot Nero non sia cosa per noi e che in Borgogna, vuoi per le condizioni pedologiche, vuoi per la grande affinità dei vignerons con questo vitigno, raggiunga qualità molto alta senza far nulla più che rispettare il territorio, l’annata e soprattutto il varietale stesso. Semplicemente commovente nel suo equilibrio varietale e nella sua spina dorsale acido-calcarea il Nuit-Saint George 2014 ed entusiasmante la potente eleganza dell’Aloxe Corton Clos de la Boulotte
Monopole. Una realtà che negli ultimi 7 anni, un po’ come quasi tutte quelle della Côte d’or, ha perso più del 30% del raccolto totale e quindi del vino prodotto, ma che comunque è riuscita a non perdere mai qualità, restando costante e coerente nel tempo.

Domaine Nudant
Tornando al nostro viaggio, da bravi turisti “fai da te, no Alpitour?!?” chiediamo al buon Guillaume, terza generazione del nuovo corso del Domaine Nudant, di consigliarci qualcosa pour manger et dormir e la risposta è una sola “Beune!”
Stendiamo un velo più o meno pietoso sulla cena e sull’improbabile Calvados casalingo da “testa-coda”, il posto era comunque molto carino e l’hotel “retrò” in cui abbiamo alloggiato era adiacente al ristorante, quindi la dritta di Guillaume è stata più che affidabile e gradita.
Scusate la digressione… dov’eravamo? Ah, sì! Beune è bellissima, ma il nostro obiettivo era quello di riposare al meglio per poi ripartire alla ricerca di almeno un’altra cantina da visitare nella La Côte d’Or, ma prima di tutto dovevamo necessariamente compiere anche noi il nostro personale pellegrinaggio alla DRC, quindi nanna “presto” ed alle otto del mattino seguente, già belli “incroissantati”, si parte alla volta di Vosne-Romanée. Riguardo l’emozione provata in questo santuario del vino mondiale, credo che me la terrò ancora un po’ per me, ma una cosa è certa, in quei vigneti si respira un’aria senza tempo, capace di indurre rare suggestioni e di far sentire un grande appassionato di vino come me un privilegiato.

Domaine de la Romanée-Conti
Ovviamente non avevamo organizzato nulla, ma mentre stavo cercando disperatamente di chiedere udienza a qualche cantina a me già nota, i social mi vengono in aiuto e grazie al caro Alex Bluma, facciamo rotta verso Mercurey (tra l’altro sulla strada che ci avrebbe visti metterci in marcia per Bordeaux, quindi la fortuna ci ha assistiti ancora!) dove visiteremo il Domaine Michel Juillot, storica cantina di quella che è considerata, forse, un’area “minore” della Borgogna, ma che si è dimostrata, invece molto interessante.
L’idea di visitare una realtà convenzionale, seppur dentro i parametri del biologico e della biodinamica sotto molti aspetti sia in vigna che in cantina, mi interessava molto per poter fare un parallelo a poche ore di distanza con l’altro Domaine e devo ammettere che, seppur aiutati dal caso, o forse dal destino, le due visite principali fatte in Borgogna hanno avuto una complementarietà inaspettata.
Zona che si è dimostrata sicuramente migliore per gli Chardonnay, ma che ha saputo tirar fuori carattere e grande equilibrio anche nei Pinot Noir, con una linea ineccepibile, in cui ogni vino racchiudeva in sè la filosofia dell’azienda: «Noi dedichiamo la medesima cura nel
lavoro di tutti i vigneti perché il nostro valore
aggiunto è nel terroir. La differenza tra un grande cru, un premier cru,
un village o un “Bourgogne” generico, viene dal suolo, dalla
terra, dal sole e dall’uva di quel determinato contesto, non dal nostro lavoro» – Laurent
Juillot.  
Oltre ad assaggiare un piacevolissimo Cremant di Bourgogne (metodo classico 24 mesi sui lieviti + 10 post sboccatura prima di essere messo in commercio, ad un prezzo che in Italia si ha per gli Charmat!), ho avuto modo di assaggiare il Marc de Bourgogne (un’acquavite di vinaccia) ed il Fine de Bourgogne (distillato delle fecce fini, molto simile al Brandy), davvero di livello.
Domaine Michel Juillot
Comunque, più che descrivervi i miei assaggi, ciò che vorrei condividere con voi è una serie di considerazioni estemporanee emerse durante i confronti con i produttori e con i miei compagni di viaggio in Borgogna: 
– In Italia ci facciamo troppe “fisime”… la risposta ad ogni mio “perché…?” è stata sempre la medesima, ovvero “perché noi vogliamo fare il miglior vino possibile e questo è l’unico modo per noi”.
– In Borgogna non hanno “nulla più di noi”, ma hanno capito quale strada percorrere e come percorrerla per raggiungere il massimo della qualità traibile da ogni singolo vigneto;
– Via il superfluo, basta il necessario! Stessa vinificazione per ogni parcella… è il modo migliore per comprendere il potenziale di ogni singolo 
– Il Pinot Nero è una cosa seria… serissima, ma… né più né meno del Nebbiolo e del Sangiovese! Peccato noi, in alcuni casi, non ci sforziamo di capire i nostri vitigni quanto dovremmo e potremmo.
– Il vino in Borgogna non costa “troppo”, ma raggiunge cifre importanti non sempre giustificabili… esattamente come in Italia o in qualsiasi altra parte del mondo.
– I francesi in generale ed i vignerons di Borgogna in particolare sono molto più bravi di noi a raccontare il proprio territorio, ancor prima del proprio terroir e quindi ad esprimerlo in bottiglia ed a venderlo, per il semplice fatto che lo conoscono e credono in esso. In Italia capita raramente, ma spero ci arriveremo. Sono pochi i produttori che preferiscono parlare del proprio territorio piuttosto che della proprio realtà e dei propri vini, ma chi lo fa ha ed avrà sempre una marcia in più.
– I miti si creano, ma non si alimentano col fumo. E’ un lavoro costante ed un monito a fare sempre meglio.
– La Biodinamica in Borgogna è la normalità, a tal punto da non esser mai utilizzata come un valore aggiunto, bensì come una semplice scelta volta a massimizzare l’espressività del proprio terroir. Poi da qui a dirvi che tutti i biodinamici lo siano davvero e facciano tutto a mano in vigna e siano ligi e irreprensibili in cantina ce ne passa…
– L’identità in Borgogna è una sorta di metonimia trasversale, dal contenuto al contenente si trova in tutto: vino, bottiglia, etichetta sono riconoscibili in mezzo a mille, pur mantenendo ed esprimendo la peculiarità del singolo Domaine.
– Se in Italia il “modello Borgogna” non è replicabile, abbiamo dei luoghi in cui da un singolo vitigno possiamo trarre potenza ed eleganza, nonché identità forte e netta e sono le Langhe col Nebbiolo, Il Chianti Classico e Montalcino col Sangiovese, l’Irpinia con l’Aglianico e l’Etna con il Nerello e… non credo ci sia andata poi così male!😉 Oltre alle nostre due denominazioni di punta potremmo puntare su identità territoriali fortissime e ben distinte, ma preferiamo sin troppo spesso – sia chiaro è comprensibile ed apprezzabile – l’elogio della singolarità ed un’individualismo che possono portare alla creazione di piccoli grandi capolavori, ma che restano degli unicum decontestualizzati.
– Non è tutt’oro quel che luccica! Anche in Borgogna ci sono dei vini molto deludenti, ma nella maggior parte dei casi sono zona ed annata a renderli meno validi e non errori o incuria dei produttori.

In conclusione, era da un po’ che mancavo dalla Borgogna, per via della mia volontà di dedicarmi quasi esclusivamente all’Italia del vino, nella consapevolezza che non basterà una vita per scoprirne e raccontarne anche solo una minima parte, ma questa tappa, seppur rapida, mi ha dato spunti interessanti ed ha aumentato la mia soglia di consapevolezza permettendomi, al mio ritorno, di potermi approcciare al nostri vino ed alle nostre realtà in maniera ancor più esigente. Esigente sì, ma sempre più convinto della qualità e delle potenzialità del vino italiano, che nulla ha da invidiare ai cugini d’Oltralpe nonostante l’infinità di luoghi comuni legati al maggior storico, alla maggior abilità in termini di marketing, alla fine, mi piace pensare, che la qualità vinca sempre e noi siamo in grado di farne e di farne come nessun’altro al mondo.
 
Detto questo, il viaggio continua verso Bordeaux e Vinexpo, ma questa è un’altra storia, quindi ve la racconterò nei prossimi giorni.
F.S.R.
#WineIsSharing

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