Quando si arriva nel mondo del vino in punta di piedi, ma con una curiosità tale da scendere dalle punte e correre a destra ed a manca alla ricerca di spunti, nozioni e soprattutto confronti, si spera sempre di poter incontrare qualcuno con cui condividere la propria passione e la curiosità stessa, in modo da crescere ed accrescere il proprio bagaglio eno-culturale. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di conoscere molte persone, sommelier, colleghi media, appassionatissimi winelovers, ma ancor più chi il vino lo fa, siano essi vignaioli o enologi. Sarei un ipocrita se negassi che con alcuni di essi sia nato un rapporto di stima – spero reciproca – e di sana amicizia, che io reputo un fattore che non debba necessariamente inficiare la capacità di discernere e l’obiettività nei confronti del loro lavoro, anzi… spesso è proprio con chi si conosce meglio che si è più critici.
Una delle persone con cui mi sono confrontato di più, negli ultimi mesi, è sicuramente stato Emiliano Falsini, enologo consulente di svariate realtà italiane, che io ho conosciuto dopo essermi reso conto di aver scritto di molti vini di aziende da lui seguite, senza sapere ci fosse il suo rispettoso zampino. Questa curiosità reciproca e questa continua ricerca di un confronto costruttivo mi ha portato a condividere con Emiliano alcuni eno-viaggi, come quello fatto qualche settimana fa in Sicilia, dove ho avuto modo di farmi un’idea più concreta dello stato attuale della produzione vitivinicola siciliana ed n particolare di quella relativa ad alcuni areali tra i quali spicca senza dubbio quello dell’Etna. Il tutto con l’ausilio di più punti di vista, in quanto oltre al mio ho avuto modo di vedere le cose attraverso gli occhi di un enologo esterno che lavora in questa zona e di conoscere alcuni dei più importanti produttori dell’Etna.
Una volta rientrato alla base molte domande hanno iniziato a susseguirsi e ad inseguirsi nella mia mente finché non ho sentito il bisogno di esporre questi miei quesiti ad Emiliano, trasformandoli in una sorta di chiacchierata virtuale dalla quale ho tratto quest’intervista che ci tengo a condividere con voi.
Da enologo che lavora da anni in
diversi areali della Sicilia, quanto conta puntare su una reale e
concreta zonazione degli areali più vocati in questa immensa regione
vitivinicola?
Conta tantissimo, a mio avviso, la prossima sfida del vino siciliano sarà cercare di valorizzare le
incredibili differenze climatiche, pedologiche e ambientali che ci
sono all’interno della regione.
Occorre farle conoscere e comunicarle
nella maniera più giusta e corretta.
Basti pensare alla stessa varietà
principe dell’enologica siciliana, il Nero D’Avola, che spesso
viene stereotipato pensando ad espressioni tipiche relative solo ad alcune zone, invece questo vitigno si esprime in maniera fortemente
diversa a seconda degli areali di produzione riuscendo a produrre
vini con spettri organolettici molto diversi ma sempre espressione
del Nero D’Avola.
Quali sono, oggi, gli areali più
vocati in Sicilia?
Dipendono dalle varietà, per il
Nerello Mascalese ovviamente l’Etna è il suo habitat di elezione,
per il Frappato la zona del vittoriese rappresenta il non plus ultra; per il
Nero D’Avola diffuso in quasi tutte le zone della regione, invece, il
discorso è molto diverso perché dipende da che modello di Nero
D’Avola si ricerca, mi vengono in mente le zone di Pachino,
l’agrigentino, la zona di Riesi e Butera fino al palermitano dove
troviamo eccellenti espressioni di questo vitigno.
Cosa fare per valorizzarli al meglio in
termini di qualità?
Cercare di non scimmiottare dei modelli
commerciali che talvolta ancora oggi hanno condizionato il vino
siciliano in passato, occorre parlare di territorio e lasciare che il
terroir venga fuori nel bicchiere.
Il “brand” Sicilia risulta oggi
“coprente” nei confronti delle micro-identità territoriali, solo
l’Etna sembra essere riuscito a ritagliarsi uno spazio di rilievo a
livello nazionale ed internazionale. Perché?
Perché in passato sia i produttori
siciliani che coloro che devono comunicare il vino non hanno mai
pensato di valorizzare i singoli terroir come ad esempio è successo
in Toscana e Piemonte, è un processo che inevitabilmente avverrà e
renderà ancora più intrigante il vino siciliano nel Mondo.
L’Etna sembra destinata ad essere terra
di conquista, è un fattore positivo? Il raggiungimento di una massa
critica in termini di numeri ed il mantenimento di una forte identità
territoriale e di un buon livello medio qualitativo è possibile?
Credo che il destino dell’Etna sia nelle mani dei produttori più bravi, siano essi di origine locale o
provenienti da altre zone, se loro riusciranno a migliorarsi
costantemente elevando anche la qualità media l’Etna avrà un futuro radioso, perché ha tutte le carte in regola per produrre realmente grandi
vini e assurgere al ruolo di grande terroir a livello mondiale.
Non ho assolutamente paura del fatto
che ci siano molti investimenti soprattutto da altre regioni o da
parte dei grandi produttori siciliani, in quanto chi investe non è un folle e
vuole sempre fare il meglio! Confido nel grande rispetto che tutti
hanno per questa terra e per la Montagna.
Occorrono sempre maggior controlli da
parte del Consorzio di Tutela che deve diventare garante insieme agli
organi preposti della qualità dei vini etnei, l’esempio è quello
dei Consorzi di altre zone vitivinicole in Toscana o Piemonte.
Riguardo all’allargamento della zona
di produzione sono assolutamente contrario all’allargamento verso
zone storicamente non incluse nella DOC, oggi ci sono spazi di
crescita soprattutto nel versante Sud che ricade della zona di
produzione storica ma ancora poco valorizzato, mi auguro che tale
aumento di superficie sia all’interno delle zone oggi incluse nella
Doc e non in areali storicamente non ricadenti nella denominazione.
Altro discorso riguarda la libertà di
poter piantare ancora vigneti all’interno della DOC, sempre
prendendo spunto dalle denominazioni più prestigiose in Italia come
Brunello di Montalcino, Barolo, Amarone, Chianti Classico ecc, mi
auguro che a breve con un congruo raggiungimento degli ettari vitati
( che potrebbero garantire una maggior presenza sui mercati
internazionali) possano chiudere l’accesso ai nuovi impianti
destinati alla produzione Etna DOC.
Quale pensi sia il reale potenziale
della viticoltura siciliana?
La Sicilia ha ancora enormi
potenzialità, in parte, inespresse, il grande patrimonio vitivinicolo
e le condizioni ambientali particolari rappresentano per la Sicilia
carte su cui puntare per valorizzare sempre più una produzione
enologica di grande qualità.
Sono un grande appassionato di vino
siciliano e orgoglioso di dare il mio piccolo contributo alla
crescita del movimento regionale e sono fermamente convinto che
questa regione sarà sempre più fucina di grandi vini capaci di
competere nel Mondo con i grandi terroir vitivinicoli.
Dal mio punto di vista, aver avuto un confronto diretto con i produttori locali da un lato e l’opportunità di approfondire queste tematiche con un enologo esterno, ma che ha vissuto in prima persona l’epopea etnea e vive costantemente la Sicilia come una vera e propria seconda casa e stato fondamentale ai fini di crearmi una mia personale opinione che coincide per lo più con quella di Emiliano, specie quando penso al potenziale inespresso di questa meravigliosa isola ed ancor più quando si tratta di rivalutare eventuali allargamenti dell’areale dell’Etna. Il fatto che i vini dell’Etna siano tutti validi, oggi, è un’illusione che potrebbe indurre a pensare che sia bene allargare per fare massa critica, ma in realtà sul vulcano, come in pochissimi altri terroir al mondo, la differenza fra un fazzoletto di terra e quello adiacente è talmente grande da far sì che, la dove c’è una reale vocazione, unitamente ad un’interpretazione rispettosa del territorio e dei varietali, si abbia una qualità impensabile in altri luoghi. Quindi, se devo pensare al raggiungimento di una massa critica in termini commerciali, senza però poter fare una qualità vera e rispettosa intrisa di una forte identità territoriale, la cosa mi preoccupa molto, in quanto vorrei continuare a vedere, vivere e bere l’Etna nella sua integrità e nella sua essenza più pura e vocata, come le più grandi enclave al mondo.
Ma, come sempre, lo scopriremo solo vivendo… ed assaggiando..!
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