Cantina Di Filippo – Un modello di viticoltura sostenibile, biologica e biodinamica

Oggi vi porto con me alla “corte” – nell’accezione più agricola del termine – di Roberto Di Filippo, proprietario dell’Azienda Agraria Di Filippo.
Roberto, per me, è da anni un riferimento, un esempio e uno di quei viticoltori che trascendono il sempre più strumentalizzato distinguo fra “produttore” e “vignaiolo”.

oche in vigna diserbo
Roberto è un agricoltore, un allevatore, un uomo che gestisce una vera azienda agricola a 360°, dove tutto è in interconnesso e ogni fattore contribuisce alla qualità e alla sostenibilità dell’intera produzione, vino in primis.

Cantina Di Filippo Roberto
Roberto Di Filippo fa agricoltura Biologica e Biodinamica sì, ma non di quella fumosa e poco attendibile professata da qualche fantomatico guru che imbottiglia storie e fandonie piuttosto che il frutto di un lavoro serio e rispettoso della Natura e di chi beve.
Roberto lavora le sue vigne con dei maestosi cavalli ed oggi l’ho visto rattristarsi in modo sincero e viscerale vedendo una delle sue cavalle soffrire di un grave problema alle zampe. Cavalli per lavorare in vigna, oche libere di scorrazzare nel vigneto effettuando un diserbo naturale e mangiando botaniche coltivate ad hoc per dar loro un naturale nutrimento che si trasformerà in concime, bio che più bio non si può!

Tutto questo, però, non è fatto per metterlo in una brochure o per postare qualche foto sui social – quello semmai lo faccio io! – e non è frutto di lampi di genio basati su convinzioni che di concreto hanno ben poco. Ogni scelta, ogni azione, ogni componente dell’azienda Di Filippo è ponderata e seguita con grande senso critico ed attenzione maniacale, con il supporto di importanti università e di ricercatori che diano risposte scientifiche e pratiche a concetti che già di per sé potrebbero essere giusti per la loro sostenibilità. Fare vino, però, è un lavoro e noi ce lo dimentichiamo sin troppo spesso o, forse, facciamo finta di dimenticarlo. Il percorso intrapreso da Roberto è quello dell’Agroforestry (o agriforestry), un approccio simbiotico alla viticoltura ed all’allevamento, nel quale le due attività agricole interagiscono con il fine ultimo della qualità e della sostenibilità etica, ecologica ed economica.
Tutto questo, infatti, ha un senso se e solo se, alla fine dei giochi, in bottiglia finiscano vini puliti, apprezzabili e di grande identità di terroir. Io, personalmente, ho riassaggiato oggi i vini di Roberto dopo più di un anno e devo ammettere che sin dagli assaggi da vasca e da botte la sensazione sia stata quella di un’ulteriore step qualitativo, in particolar modo con il Trebbiano Spoletino, passato ormai da una curiosità di nicchia ad una certezza dell’Umbria bianchista.

Sugli scudi il Grechetto Sassi d’Arenaria 2015 di grande varietalità, fresco più di quanto in genere sappia essere questo vitigno e minerale, come il calcare dei terreni dai quali proviene.

Conferme irremovibili dal Montefalco Rosso e dal Sagrantino che vengono interpretate entrambi in due versioni:
Montefalco Rosso 2014: una beva più pronta, di facile approccio, indotta dal solo acciaio che enfatizza l’apertura aromatica ed una freschezza davvero profonda. Ottimo equilibrio dell’uvaggio fra Sangiovese (60%), Barbera (30%) e Sagrantino (10%).
Montefalco Rosso Sallustio 2013: un anno di più, stesso uvaggio, più complessità rispetto al primo, ma capace di mantenere una freschezza ancora lineare ed un frutto bello, integro ed assolutamente non infastidito dal legno (grande), dal quale prende solo una leggera speziatura terziaria che si amalgama al meglio con quella naturale del Sangiovese. Fa pensare ad una buona prospettiva evolutiva. Il lato intrigante del Montefalco Rosso.
Etnico Montefalco Sagrantino docg 2012: come nel Montefalco Rosso anche in questa versione riscontro più immediatezza, meno fronzoli e voli pindarici. Un vino schietto e di grande concretezza, che fa della sua maggior approcciabilità non un mero sinonimo di “facilità”, bensì di levigatura tannica, rara con quello che è in assoluto il varietale più tannico al mondo. Un Sagrantino che si lascia bere oggi, senza troppi impacci. Non male, data l'”etnia”!

Montefalco
Sagrantino docg 2012:
ecco il cavallo di razza, il Sagrantino nella
sua possenza tannica e nella sua appassionata struttura. Bello il
dialogo fra parti dure e morbide, fra frutto e dinamica del sorso,
fra cenere e luce. Un vino che oggi ti lascia intravedere il suo
potenziale, te lo lascia fra i denti e sul palato. Lui è lì, vuole
essere aspettato ed a certe bottiglie va concesso e lo si fa con
grande piacere, in attesa di evolute emozioni. Si può ancora fare tradizione, nella consapevolezza e con la lungimiranza di voler trasformare le scelte presenti nelle tradizioni del futuro e Roberto Di Filippo in questo è maestro.
Molto bilanciati e da bere con inerzia anche i due vini dolci, la Vernaccia di Cannara ed il Sagrantino Passito, che non lasciano scampo e vengono apprezzati anche da chi non ami particolarmente il “genere”.
Interessanti i risultati ottenuti con i “senza solfiti” che, specie nel Grechetto, esprimono un percorso di ricerca orientato a ridurre la chimica, non solo in vigna, ma anche in cantina, step by step e senza rinunciare alla godibilità del vino. Proprio in quest’ottica ho chiesto a Roberto cosa ci voglia secondo lui per fare un vino “naturale” e lui, con la sua proverbiale concretezza, mi ha risposto: “molta più attenzione, competenza tecnica e pulizia che nel fare vino convenzionale, perché è il calice a parlare e se un vino non è a posto non è a posto!”.
Inutile chiosare
con altre mie considerazioni, credo la sua frase dica molto su quanto
siano importanti competenza e consapevolezza al fine di produrre un
vino veramente rispettoso a 360°.
Questo viaggio, come e più di altri, ha confermato che un vino “pulito fuori e pulito dentro” è possibile e che non si può prescindere da tecnica ed esperienza per produrlo.

F.S.R.
#WineIsSharing

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