“Tutti contro tutti” anche nel vino?

In molti, tra coloro che seguono e leggono le mie umili condivisioni enoiche da anni, mi hanno chiesto come mai non dica la mia riguardo le – spesso, futili e pilotate – diatribe che affollano il web e i social: vino “naturale” versus vino “convenzionale”, lieviti indigeni versus lieviti selezionati, giornalisti versus bloggers, bloggers versus instagramers, vecchia guardia versus nouvelle vague, nouvelle vague versus enofighetti ecc…

La risposta è semplice: non amo perdere tempo e non ho mai creduto nei like, nei click e in un seguito fittizio indotto solo dall’imbroccare il titolo e/o l’argomento “trend-topico” (passatemi il neologismo) o dal cavalcare discussioni che di dialettica costruttiva hanno ben poco, in quanto fondate sull’intramontabile regola non scritta del “basta che se ne parli”  ( o forse qualcuno l’aveva scritta qualche annetto fa: “C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé.” O.W:). Quindi prendete le mie seguenti parole come una doverosa risposta a chi vorrebbe i miei commenti sotto a post provocatori e mi chiede di scrivere in questo wine blog la mia opinione riguardo i temi dalle quali quelle provocazioni scaturiscono.

diatribe vino

Quando iniziai a scrivere sui social, agli albori di FB, mi chiedevo se rispondere al fuoco nemico, se buttarmi a capofitto nelle guerre di commenti che coinvolgevano temi a me cari, se argomentare e giustificarmi quando qualcuno – volutamente o meno – pareva travisare i miei scritti, ergo i miei pensieri. A volte cedevo e, seppur con equilibrio e ponderando bene i miei interventi, alimentavo a mia volta un fuoco che brucia fuffa inconsistente per produrre fuffa tossica e fuorviante. Negli ultimi mesi ho scelto di rallentare molto nella gestione dell’aspetto prettamente social e web del mio lavoro, dedicandomi ancor di più agli incontri e ai confronti de visu, alla scrittura “lenta” e, ovviamente, a vivere i miei viaggi, i miei assaggi e tutto ciò che il vino e la vita sanno donarmi ogni giorno in maniera molto meno obbligata e molto più spontanea e serena. Per più di 10 anni non avevo passato un giorno della mia vita senza aprire il computer, senza scrivere qualcosa di getto nei social o nel mio blog, ma ora mi ritrovo a sentire il bisogno di scrivere solo quando ho abbastanza tempo e, soprattutto, abbastanza voglia di farlo. Comunicare, liberi da dinamiche economico-commerciali e di marketing, dovrebbe rappresentare sì una necessità espressiva ma anche un processo di condivisione etico, nitido e sincero di pensieri, esperienze e considerazioni a prescindere dal media utilizzato. Credo che sin troppe volte i social, in particolare, e i nuovi media, in senso lato, vengano utilizzati con scaltrezza e opportunismo da chi è abile ad appiccare incendi alla stregua dei pir(L)omani australiani, con l’unica madornale differenza che – fatta eccezione per pochissimi sporadici casi e per qualche sceriffo – non vi è legge, o meglio, non vi sono tutori della “legge” in grado di gestire questo Far West in cui non vigono neanche le basiche regole d’onore che imponevano un minimo di moralità nei duellanti del “lontano ovest”. 

Ho scritto in tempi non sospetti di molti – se non di tutti – i temi sovracitati dibattuti ad oltranza dagli esponenti delle varie fazioni ma solo da poco mi sono reso pienamente conto di quanto sia inutile cercare di fare chiarezza riguardo qualcosa che è già chiaro di per sè e che chi sa e chi vuole sapere ha già tutti gli strumenti per vedere in maniera cristallina. Quando il vino viene trattato alla stregua delle chiacchiere da bar assimilandolo alla becera politica o alla critica calcistica io preferisco sedermi al tavolo più distante dal bancone e stapparmi una buona bottiglia in attesa di partire per un altro viaggio in cui il vino sarà ciò che deve essere. In un paese in cui siamo tutti presidenti della Repubblica e allenatori di calcio, siamo passati dall’essere tutti Chef a quello che, onestamente, mai avrei pensato potesse accadere: siamo tutti agronomi ed enologi esperti. Tanto da poter leggere interi trattati sulla conduzione agronomica biodinamica, sulle fermentazioni, sulle componenti chimiche del vino. Trattati scritti, spesso, senza cognizione di causa, con evidente approssimazione e, in taluni casi, evidenziando solo ciò che occorre per far passare il messaggio voluto omettendo ciò che fa comodo omettere. Il risultato? Da un lato, si scatenano, stimolano ed alimentano le consuete diatribe e, dall’altro, si fa un facile proselitismo basato su informazioni lacunose e fuorvianti agevolate dalla fretta e dalla poca attenzione, nonché dall’assenza di approfondimento che il lettore “medio” dei social ha. Questo meccanismo tanto semplice quanto esponenziale e devastante in termini di disinformazione è sfruttato al meglio da titolisti sensazionalisti e troll del web per ottenere la propria fetta di notorietà e non solo.
Mi spiace, ma a me questa deriva non piace affatto e l’unica cosa che mi sento di fare è quella di starne alla larga evitando coinvolgimenti diretti anche là dove la mia indole mi spingerebbe a fare chiarezza e/o a cercare di moderare discussioni e situazioni che si incendiano più per i toni usati che per gli argomenti dibattuti.

Non è demagogia la mia e neanche eccesso di romanticismo enoico, ma pura e semplice realtà. Ricordate che mentre voi, in buona fede, alimenterete queste dinamiche i “piromani” del web gongoleranno alle vostre spalle, ottenendo il loro compenso. La libertà di espressione è sacrosanta e fondamentale, ma i confini di tale libertà sono segnati dall’etica personale e dalla deontologia professionale, valori che oggi vengono continuamente bypassati in quanto poco performanti e poco avvezzi al clamore.

Vorrei dirvi che la cosa migliore sia mettersi comodi ad osservare ciò che accade, pop corn alla mano, senza contribuire alla diffusione e alla crescita di certe notizie e di certe dinamiche distruttive, ma la verità è che sarei incoerente dato che io non ho più voglia neanche di soffermarmi a scrutare ciò che accade nei meandri di un mondo che fa sembrare importante qualcosa che fuori dalle ristrettissime cerchie in cui ci ritroviamo noi amanti del vino non hanno alcun seguito. 

Esisteranno sempre nicchie di pensiero differenti dentro e attorno al vino, come in ogni altro ambito sociale, professionale e culturale, ma non per questo c’è bisogno di schierarsi o di trincerarsi dietro concetti o dinamiche in continua evoluzione. Oggi, per nostra fortuna, ognuno di noi può trovare la forma comunicativa e i comunicatori più idonei al proprio approccio all’informazione, ognuno di noi può stappare una bottiglia del vino più vicina al proprio gusto e alla propria “filosofia” agronomica e/o enologica. Abbiamo la possibilità di scegliere e la scelta è la più grande forma di libertà che potremmo mai desiderare, quindi usiamola senza necessariamente denigrare o cavalcare onde anomale che non è la natura a scatenare, bensì l’uomo con vere e proprie bombe atomiche gettate a largo.


Detto da chi ha fatto del web e dei social i propri principali canali comunicativi vi suonerà strano, ma se posso darvi un consiglio spassionato… provate a disintossicarvi dai fumi dei fuochi appiccati sul web e dalla curiosità digitale che può e sa diventare un’ossessione. Il vino è tutt’altra cosa, il vino è materia intrisa di valori e di storie da vivere ancor prima che da raccontare e da condividere. Ora datemi del buonista, non mi rammaricherò per questo. Ci sono enormi differenze fra la riflessione e la stasi, fra i silenzio ponderato e il silenzio di chi non ha nulla da dire, tra la dialettica e lo sproloquio, tra chi abbatte un muro per aprire un varco e chi lo abbatte per ergerne uno invisibile ancor più solido e invalicabile.

F.S.R.

#WineIsSharing

Comments are closed.

Blog at WordPress.com.

Up ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: