Col Vetoraz – Togliere il nome “Prosecco” in favore del Valdobbiadene: un azzardo o una scelta azzeccata?

Chi bazzica da un po’ questo wine blog sa della mia “lotta” contro la disinformazione che si è creata attorno al fenomeno “Prosecco”. Una battaglia che ha mirato principalmente a chiarire le differenze fra Docg e Doc e fra Prosecco “generico” e quel Prosecco Superiore che nasce nell’areale di Conegliano e Valdobbiadene e che porta con sé la dote della vocazione naturale e storica di quelle colline, da poco insignite del riconoscimento Unesco quali Patrimonio dell’umanità.
Come accennato in uno dei miei ultimi articoli sul territorio della DOCG del Prosecco Conegliano Valdobbiadene Superiore, c’è una realtà che ha preso una decisione drastica pur di cercare di fare chiarezza riguardo vocazione dell’areale storico, condizioni agronomiche e pedoclimatiche e quantita e qualità. Questa cantina si chiama Col Vetoraz.
col vetoraz processo
Col Vetoraz è una della cantine più rappresentative dell’areale del Prosecco Superiore Docg e proprio per questo il mio interesse in un confronto con chi ha fatto di questa realtà un simbolo di questo territorio non poteva che essere forte, ancor più alla luce della “provocazione” portata avanti proprio da questa azienda. 
Prima di parlarvi dell’importante e drastica scelta di Col Vetoraz, lasciatemi introdurre un’attività che nasce, ad opera della famiglia Miotto, nel 1838 sull’omonima collina Col Vetoraz, con la volontà di dedicarsi esclusivamente alla coltivazione di Docg Prosecco  Valdobbiadene Superiore e Prosecco Valdobbiadene Superiore di Cartizze.
Due veri e propri “Cru” come quelli di Col Vetoraz e Mont di Cartizze capaci, con i loro particolari pedoclimi, di conferire alle uve Glera la freschezza, la forza e la mineralità di cui necessitano per la produzione di grandi spumanti. Nel 1993 Francesco Miotto, discendente di questa storica famiglia nella zona della Valdobbiadene, assieme a Paolo De Bortoli e a Loris Dall’Acqua, enologo dell’azienda ha creato la società che che ha portato ai vertici territoriali questa realtà e, ancora oggi, dirige con successo e lungimiranza vigneti, cantine e commercializzazione.
Camminando per le scoscese vigne che degradano irte dal centro aziendale con Loris Dall’Acqua mi è subito chiaro l’equilibrio totalitario nell’approccio di questa realtà dalla vite alla bottiglia. La ricerca del rispetto del vigneto con un ponderato utilizzo dei trattamenti e una grande attenzione alla preservazione dell’integrità del terreno, prima, e del frutto, poi, al fine di portare nel calice l’identità di Valdobbiadene e di Cartizze nella maniera più nitida possibile.
E’ proprio per questa forte volontà di anteporre la qualità e l’identità territoriale alle mere dinamiche commerciali legate al “fenomeno” Prosecco, che la Confraternita di Valdobbiadene ha lanciato quella che, inizialmente, poteva sembrare una provocazione ma successivamente – mi spiega l’enologo Loris Dall’Acqua, gran maestro della Confraternita –  si è rivelata una decisione che solo pochi hanno avuto il coraggio di fare. Il messaggio era chiaro: “Rinuncia definitiva al termine “prosecco”, prediligendo invece “Valdobbiadene DOCG” per packaging, etichette e comunicazione”.

colline prosecco unesco
E’ stata proprio Col Vetoraz a dare l’esempio, a partire dalla vendemmia 2017, togliendo dalle proprie etichette e dai propri canali comunicativi il termine “prosecco”, al fine di valorizzare il territorio e di destare ancor di più l’attenzione di media e consumatori nei riguardi della confusione prodotta dalla creazione della Doc nel 2009. Una scelta di natura politico-economica che coinvolge, oggi, nove province tra Veneto e Friuli, nei quali pur essendoci alcuni principi di vocazionalità territoriale, non vi è alcun legame storico e culturale con il Prosecco “originale”. Un vero e proprio colpo basso al lavoro di generazioni di viticoltori e produttori che hanno modellato con rispetto e saggezza quelle stesse colline che, oggi, sono patrimonio dell’umanità e delle quali, impropriamente, si vantano anche coloro che diritto di vanto non ne avrebbero.
Inizialmente, io stesso presi questa scelta così impattante come una mera iniziativa di marketing e una soluzione poco coerente con la salvaguardia della storicità del Prosecco e dei valori agronomici ed enologici che questo vino porta in dote nella sua terra natìa, ma riflettendoci bene, analizzando le dinamiche commerciali e confrontandomi con Loriz dall’Acqua, la mia opinione si è rapidamente arricchita di ulteriori spunti di riflessione ed è, conseguentemente, mutata.
Sì, perché togliere il “nome” Prosecco da un’etichetta e non usarlo nella propria comunicazione significa rinunciare ad una leva commerciale senza eguali attualmente in Italia e, probabilmente, nel mondo dati di crescita alla mano; significa dover investire ancor più tempo e denaro per spiegare e chiarire la natura dei propri vini, la loro provenienza e il perché non si chiamino “Prosecco” pur essendo – passatemi il gioco di parole – “più Prosecco degli altri”; significa rischiare di dover rinunciare ad ordini importanti che portano in oggetto “cerchiamo Prosecco”. Queste sono solo alcune delle risultanti di una decisione così importante ma, al contempo, Col Vetoraz ha potuto dimostrare quanto la qualità e il coraggio di credere nelle proprie radici e nella propria identità territoriale, coerentemente con una linea produttiva di assoluto rilievo, possano andare oltre le “mode del momento” e, per assurdo, guardare ancor più in prospettiva, trascendendo i trend e puntando, invece, alla crescita indipendente del proprio brand aziendale, da un lato, e del brand territoriale “Valdobbiadene” dall’altro.
vini prosecco colvetoraz
Un messaggio importante che fa onore a questa realtà e che mi vede estremamente convinto dell’onestà intellettuale di tale percorso, che ha visto i soci dell’azienda rischiare con la consapevolezza di non poter più tornare indietro.

Va da sé che per piccole e nuove realtà la leva commerciale data dal nome “Prosecco” implichi delle problematiche maggiori nel intraprendere questa strada, ma la realtà è che la qualità e il territorio sono due valori che mai come in questa precisa epoca “enoica” sono stati ricercati e apprezzati. Se è vero, quindi, che il problema più grande della differenziazione tra i vini della Docg da quelli della Doc è la capacità di creare un importante gap economico (ovvero una maggiore differenza di prezzo dati i costi di lavorazione e di produzione maggiori) è solo attraverso una forte distinzione territoriale e l’unione di più realtà capaci di creare un’importante massa critica che si potrà creare tale gap. E’ fondamentale, per le aziende della Docg, piccole o grandi che siano, andare verso un livellamento verso l’alto dei prezzi dei propri vini per potersi distinguere dal mare magnum di vini a basso costo riversato sul mercato dalla Doc.
Cosa non semplice, ma Col Vetoraz dimostra che le scelte “difficili” possono risultare vincenti e dare lustro non solo alla propria realtà, in senso stretto, ma anche al territorio, in senso lato.
recensione vini col vetoraz
Detto questo, vi lascio con le mie impressioni riguardo ai vini assaggiati:

Valdobbiadene Superiore Docg Extra Brut: un’interpretazione che sfida i palati meno avvezzi alle gentilezze dei Charmat da Glera di queste zone, offrendo un naso che al frutto predilige fiore e mineralità, con note lievi e intriganti di spezia bianca e un sorso dritto, teso, vibrante dall’impeccabile chiosa salina. L’equilibrio fra struttura e acidità e l’assenza del temuto finale amaricante, ne fanno un vino dall’estrema duttilità, capace di far avvicinare al genere anche i più reticenti.

Valdobbiadene Superiore Docg Brut: il più trasversale dei vini degustati, dall’equilibrio ponderato fra acidità e lieve residuo zuccherino (8g/l). Frutto e fiore si mostrano freschi e gioiosi agevolando l’arrivo di un sorso brioso ma mai ostentato, dalla grande piacevolezza. Un vino completo, fiero e per nulla scontato, capace di dimostrare quanto anche questo metodo e questa uva possano e sappiano farsi veicoli di identità territoriale se rispettati e ben interpretati.

Valdobbiadene Superiore di Cartizze Docg: un’interpretazione classica delle migliori uve dei due “Cru” aziendali di Cartizze. Da Col Vetoraz e Mont arrivano grappoli intrisi di luce e di mineralità, capaci di esprimere freschezza e sapidità senza lesinare struttura, maturità di frutto e un importante morbidezza. E’ proprio l’integrazione sapiente del residuo che permette a questo Cartizze di mantenere una grande e inattesa agilità di beva.

I vini di Col Vetoraz confermano la volontà dell’azienda di porre l’accento sui valori di qualità e territorio, attraverso vini di grande pulizia e finezza.
Dunque, per quanto possa sembrare provocatorio e complesso, non posso che dare atto all’azienda della coerenza dimostrata negli ultimi anni e della concretezza con la quale ha saputo portare avanti una scelta difficile ma determinante per stimolare l’opinione pubblica nei confronti delle peculiarità di questo territorio unico al fine di fare maggior chiarezza sulle differenze fra Docg e Doc.
Purtroppo l’iniziativa non ha raccolto le adesioni sperate ma, a mio modo di vedere, ha avuto la giusta eco e ha suscitato l’interesse che meritava producendo una reazione a catena che tende a educare chi vende (distributori e importatori), chi somministra (enotecari, ristoratori ecc…) e chi beve (i consumatori) verso questa fondamentale tematica enoica. La mia speranza è questo messaggio faccia da traino ad una sensibilizzazione sempre maggiore nei confronti di questo vocatissimo e storico territorio e dei suoi vini.


F.S.R.
#WineIsSharing

Lascia un commento

Blog at WordPress.com.

Up ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: