Reputazione o “like”? Cosa conta di più? Qualche consiglio alle cantine che vogliono crescere sul web e sui social

Negli ultimi mesi, a causa della pandemia oltre all’escalation dei contagi abbiamo assistito alla crescita esponenziale dell’esposizione sul web e, in particolare, sui social media di vignaioli, produttori e aziende vitivinicole italiane che dapprima non avevano avuto modo, tempo e idee da dedicare alla propria visibilità online.

reputazione cantine vino social


La corsa al web si è evidenziata in modo particolare in periodo di lockdown in quanto molti produttori, anche medio-piccoli, si sono ritrovati a non poter alternare al lavoro in vigna e in cantina l’aspetto commerciale e promozionale de visu che solitamente, in quel periodo, portano avanti tramite viaggi ed importanti eventi enoici di caratura nazionale e internazionale.

Se il lockdown ha portato alla possibilità di dedicarsi in maniera ancor più assidua e attenta alla vigna è anche vero che la volontà di recuperare il terreno perduto negli anni addietro e la convinzione (a volte, illusione) di poterlo fare in pochi giorni ha spino molte realtà italiane ad improvvisare la creazione di e-commerce e wine-shop online ex-novo (mai decollati, per ovvi motivi…) e nell’impostazione di campagne marketing poco coerenti e con la propria identità e la propria reputazione affidando i propri vini o i propri social a quelli che oggi vengono chiamati wine influencer. Il mio timore è quello che questa strana e, inconsciamente, forzata corsa ai “like” possa avere un effetto boomerang nei confronti di certe realtà.

la reputazione


Proprio per questo vorrei prendere spunto da un mio post pubblicato qualche giorno fa su facebook e rispondere ad alcune domande ricevute da produttori e vignaioli sulla gestione della propria reputazione online e non solo. Lo farò permettendomi di dare qualche dritta a quelle cantine che stanno incorrendo in errori o che temono di poterne commettere. Errori che possono apparire semplici inciampi ma che, in realtà, rappresentano cadute di stile che minano la propria credibilità e il valore percepito del proprio lavoro, ergo dei propri vini.

Tre suggerimenti spassionati alle cantine italiane che vogliono utilizzare il web e i social per valorizzare quella che gli anglosassoni chiamano “brand reputation” e che, nel mondo del vino, spesso coincide con la reputazione del produttore e/o del vignaiolo stesso:

1. Se pensate di non poter/voler gestire i vostri social in piena autonomia o reputate opportuno avere un supporto che possa coadiuvarvi nella comunicazione e nella promozione della vostra azienda e dei vostri vini online: in primis, non contattate me perché non sono un social media manager e non accetto collaborazioni a scopo promozionale o commerciale con le cantine; in secondo luogo affidatevi a dei professionisti. Non sono mai stato contrario al “marketing”, in quanto, pur non occupandomene, ne comprendo, in alcuni casi, l’utilità. Sono, però, preoccupato dalla confusione che si sta verificando tra i vari segmenti della comunicazione che mai come in questo momento avrebbe bisogno di seri paletti e definizioni ben precise che mirino a distinguere media indipendenti (giornalisti e wine blogger che non collaborano con cantine e produttori), marketer/influencer, social media manager, uffici stampa e pr al fine di permettere a tutti di portare avanti la propria professione (purché di professione si tratti) in maniera onesta e trasparente. Attività che possono confrontarsi e interagire fra loro, nonché intersecarsi in alcuni contesti ma che devono essere viste e dichiarate per quello che sono senza alimentare una percezione distorta e fuorviante dei contenuti pubblicati o delle attività svolte da ciascun “media”.

2. Se reputate opportuno attuare azioni di marketing diffidate dei numeri (like, commenti, follower ecc… la maggior parte è “dopata” e con buone probabilità gli stessi metodo verranno applicati ai vostri profili e alle vostre pagine per darvi l’illusione di un’effettiva crescita…) e fissate un incontro con le persone in questione, portate il/la vostro/a potenziale social media manager in vigna e in cantina e valutatene quelle che i reclutatori “fighi” chiamano skills e in particolare: esperienza, credibilità e professionalità. Mettere la vostra azienda e i vostri vini in mano a chi ha un seguito fittizio e non ha una buona reputazione social e reale e, per di più, farlo pagando potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio e ledervi senza che ve ne rendiate pienamente conto. Se volete 3  trucchi per “sgamare” i profili che fanno uso di social doping provate così (per gli altri sentitevi liberi di contattarmi):

date un’occhiata a like e followers (è tutto pubblico) e se trovate molti profili arabi, indiani o brasiliani provate ad aprirne qualcuno è vi renderete conto che sono “scatole vuote” create appositamente per fare numero da agenzie che vendono like e follower. Per farlo non limitatevi ai primi likes o followers ma scorrete più che potete. Spesso i profili fake fanno utilizzano dei “boost” per far partire i propri post con una “raffica” di likes acquistati e/o nascono con un pacchetto importante di followers falsi per poi crescere più lentamente in maniera semi-organica;

– se non trovate fra gli stessi like e followers una percepibile maggioranza di profili inerenti all’argomento trattato c’è qualcosa che non va. Si presume che una pagina a tema vino abbia un seguito formato principalmente da profili di appassionati, sommelier, cantine, ristoratori e gourmet ma anche di categorie di ricaduta come quelle legate ai viaggi. Ovviamente più crescono i numeri più la tolleranza sale, ma meno profili coerenti si riscontrano meno seguito realmente interessato avrà quella pagina (sempre che si tratti di seguito organico).

– vedete decine e decine di commenti? Apriteli e se vi sembrano opportuni (coerenti con il contenuto del post pubblicato) e spontanei nessun problema. Se riscontrate solo (o per lo più) commenti standard con poca attinenza al contenuto del post potrebbe trattarsi di BOT (commenti automatizzati). Se invece riscontrate principalmente commenti di altri “micro-influencer”, o aspiranti tali, nella maggior parte dei casi di tratta di POD, ovvero gruppi di scambio like e commenti che nascono per eludere l’algoritmo di instagram creando un seguito reale, ma basato su un mero do ut des. Tra tutti i mali, il male minore penserete!?  Forse… visto che a in alcuni casi sembra si siano create delle vere e proprie “community” di appassionati che si scambiano costantemente pareri e attenzioni per poi ritrovarsi anche nella vita reale. Per me, però, rappresentano (nella maggior parte dei casi) una forma di forzatura delle dinamiche “naturali” di un profilo. Per intenderci: preferireste “incontrare e conoscere” 10 persone davvero interessate a voi, a ciò che dite e a ciò che fate o incontrare 100 persone che sono lì sono solo per ottenere qualcosa in cambio? Non disdegnerei, invece, alcuni gruppi di sommelier e appassionati su Facebook, si stanno rivelando molto interessanti per lo scambio di opinioni enoiche reali e concrete.

Attenzione! Se è vero che strumenti di analisi dei profili come Ninjalitics possono essere molto utili per farsi un’idea dell’organicità delle azioni e del seguito degli stessi (fondamentale per capire se il profilo analizzata stia usando o meno la truffaldina tecnica del “follow unfollow” o se ha acquistato pacchetti importanti di followers) è pur vero che tecniche come gli scambi attraverso i pod e l’acquisto graduale di piccoli pacchetti di followers possono aggirare anche tali algoritmi. L’unica chance è come sempre quella di non badare troppo ai numeri e cercare di capire chi avete di fronte o dall’altra parte dello schermo.

3. Se volete inviare i vostri vini per ricevere in cambio un “post sui social” chiedetevi se ne vale davvero la pena e valutate bene a chi state inviando il frutto del vostro lavoro e il prolungamento della vostra identità personale e aziendale, ergo a chi state affidando un tassello della vostra reputazione. Di certo chi vi chiede dei campioni in cambio di visibilità gratuita non può vantare grande professionalità, ma se reputate opportuno procedere con questa “strategia” scegliete bene, poiché l’effetto del vedere il vostro vino comunicato in modo “volgare” o troppo promozionale potrebbe risultare deleterio per la vostra reputazione.  Piuttosto vi consiglierei di vedere la pubblicazione di eventuali recensioni come una conseguenza spontanea e non forzata della ricerca di un parere, un feedback, ma anche semplicemente di un confronto con degustatori esperti dei quali avete stima. Potrebbe dimostrarsi un momento di crescita per voi e per la vostra azienda.
Se, invece, decidete di affidare i vostri social non delegate mai tutto, controllate costantemente la vostra esposizione mediatica e siate sempre voi stessi nel raccontare la vostra realtà, il vostro lavoro e i vostri vini sui social. Il mondo del vino non è sovrapponibile a quello del fashion e non credo di dovervi spiegare i molteplici perché. Più che farvi gestire le pagine da sedicenti social media manager o influencers (si vede!) affidatevi ad un consulente esperto che vi possa coadiuvare nel gestire al meglio la vostra presenza sui social e sul web senza snaturare la vostra essenza e quella della vostra azienda, mettendovi nelle condizioni di essere voi gli i primi comunicatori enoici. Ricordatevi che “less is more” e non occorre un’esposizione di quantità, bensì è fondamentale che sia di qualità. Ricordate che a prescindere da chi pubblicherà (voi o il vostro social media manager) tutto verrà sempre e comunque ricondotto alla vostra azienda e ai vostri vini, quindi non utilizzate i social per pubblicare (o far pubblicare) contenuti che possano ledere la vostra reputazione, specie se essi esulano dal contesto “vino” (politica, religione, covid ecc…) o sono evidenti marchette. Come sapete, ciò che viene pubblicato online lascia dietro di se una traccia indelebile, perché anche un post rimosso potrebbe essere stato già condiviso o “copiato” (ricevo costantemente screenshot di post che successivamente vengono rimossi) da decine o centinaia di persone.

Negli ultimi anni – per fortuna! – è stato superato, anche nel modo del vino, il momento di superficialità e del materialismo diffuso e proficuo appannaggio del pragmatismo e della coerenza, ovvero la condivisione emozionale di momenti di lavoro in vigna e in cantina (purché reali e realistici) pagano molto più di foto costruite, di eccessi o di ostentazioni di vario genere. Nel mondo del vino di qualità il “basta che se ne parli” difficilmente è una buona cosa! Direi che potrebbe funzionare meglio il “baste che se ne parli… bene!”, passatemi la boutade.

Riguardo la vostra esposizione online il concetto è abbastanza semplice: cos’è che vi rende unici e diversi dall’industria? Cosa avete che aziende di altri settori o grandi imbottigliatori non possono usare per comunicare il loro operato? Quali sono i valori aggiunti della vostra realtà e dei vostri vini? Io penso che consapevolezza, rispetto, vigna e lavoro siano solo i primi di 4 punti cardine dell’identità delle piccole e medie aziende del vino italiano che amo. 

reputazione cantine


Mi permetto di condividere questi pensieri estemporanei ma consapevoli in quanto ho notato negli ultimi mesi due situazioni critiche che hanno coinvolto le aziende del vino in maniera trasversale, dalla più “piccola” alla più “grande”, dalla più “artigianale” alla più “commerciale”. Se vedere prodotti molto “commerciali” promossi in maniera più superficiale e costruita non mi piace ma ci sta, vedere alcuni vini e alcune realtà oggetto di azioni di marketing (che hanno, ahimè, l’impatto evidente di una marchetta) sulle pagine social di marketer improvvisati e “pseudo influencer”  che dichiarano effettive “collaborazioni” mi fa riflettere sulla consapevolezza che queste realtà possano avere del proprio valore e della reale necessità di adottare certi sistemi per “crescere online” e per accrescere la percezione del valore del proprio lavoro.
Dei video “divertenti” pubblicati su social come TikTok che hanno un pubblico prevalentemente di ragazzini evito di parlarne. Mi sembra palese l’inutilità della cosa, ma magari un giorno mi ricrederò. Per ora, molti contenuti pubblicati anche da produttori e “tiktoker” non mi sembra possano valorizzare la percezione di un vino o di un’azienda vitivinicola.

Sia chiaro, pur non avendo a che fare direttamente con dinamiche di marketing rivolte alle cantine e ai loro prodotti (non credo sia possibile essere imparziali se si percepisce un compenso per ciò che si pubblica, ma questo è solo il mio modesto parere…) comprendo la volontà di alcune aziende di essere più forti sul web e sui social confidando che questo possa aumentare la propria notorietà e dare slancio alle vendite ma nell’equazione – come già detto -non bisogna mai dimenticare il fattore “reputazione”. Il più difficile da acquisire ma il più facile da perdere. Il più importante per una piccola realtà e il meno condizionabile economicamente. Esistono grandi produttori e grandi comunicatori che non hanno un grande seguito sui social eppure hanno una reputazione invidiabile che vale ben più dei numeri reali o meno di cantine e wine influencer molto seguiti. Questo non vuole dire che cercare di valorizzare la propria presenza sul web e sui social sia sbagliato ma, semplicemente, che deve essere fatto con coerenza e attenzione.

Es.: gettare del vino “per aria” probabilmente far più like di un brano tratto dal libro “Camminare la terra” di Luigi Veronelli ma non avrà mai il valore di certi contenuti.

Reputazione online vino

Come già detto più volte, non comprendo e non condivido molte delle dinamiche del social media marketing odierno e, in particolare, di quello del vino, ma rispetto il lavoro di chi ha studiato o chi ha implementato le proprie esperienze a tal punto da potersi occupare in modo consapevole e opportuno della promozione delle aziende italiane. Proprio per questo reputo fondamentale fare dei distinguo che vadano al di là dei numeri e che mirino a valorizzare le singole figure, purché professionali, che fanno parte della “filiera” comunicativa del vino.

Di certo molti ragazzi che stanno provando a comunicare il vino tramite instagram hanno studiato e/o si stanno formando per potersi ritagliare uno spazio in questo settore e la mia speranza è che lo facciano con etica e rispetto. 

Che le grandi aziende abbiano bisogno di un responsabile marketing  interno o esterno per veicolare il proprio brand anche attraverso azioni di mera pubblicità (parola che sembra una bestemmia ma che rappresenta un cardine dell’imprenditoria in ogni settore) è assodato e comprensibile. Ciò di cui non sono certo è che alle realtà medio-piccole italiane faccia bene orientarsi verso quello stesso approccio promozionale, piuttosto che comunicarsi in maniera più vera e scevra da compromessi, ma se proprio si vuole investire nella visibilità online dei propri vini e della propria realtà credo si debba scegliere con grande cura la strategia da adottare ma ancor più a chi affidare tale “strategia”, ergo la propria reputazione.

La reputazione è sempre più importante di follower e like, anche quando essi ci illudono di poterla valorizzare alimentando l’ego e inducendo in errore.


F.S.R.

#WineIsSharing

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