C’è maschilismo nel mondo del vino? Dibattito sui social.

Qualche giorno fa, nell’ambito di un’intervista sul mondo della comunicazione del vino, mi è stato chiesto un parere più ampio su un argomento molto delicato, tanto che non vi nego di essermi preso qualche giorno per la risposta e per decidere se scrivere o meno questo pezzo: il sessismo e nello specifico il maschilismo nel mondo del vino. Sì tratta un tema che molti reputeranno demagogico o, persino, anacronistico, ma la realtà è che mai come in questi anni il tema è stato dibattuto. Uno di quei temi che se ne parli fai male e se non ne parli fai peggio. Quindi ho deciso di optare per la seconda, nonostante sia consapevole dei rischi.
donna vino maschilismo
 
Il tema in questione è il “maschilismo” e la domanda che mi è stata posta recitava più o meno così: 
– Secondo te, che conosci bene il mondo del vino, c’è ancora molto maschilismo in questo settore? 
 
Mentre rispondevo di getto alla domanda con una frase del tipo “dovremmo chiederlo alle donne che lavorano nel mondo del vino”, mi sono reso conto che non era giusto dare una mia opinione generale e, per quanto obiettiva, carente di fondamenta solide. Dovevo coinvolgere in una risposta di più ampio respiro la “comunità” enoica e l’unico modo per farlo era rappresentato dai social. Tempo qualche minuto e, senza rifletterci molto, ho condiviso la domanda su facebook e instagram ottenendo in poche ore un’importante numero di risposte e punti di vista che danno uno spaccato di quella che è la situazione odierna e delle percezioni divergenti che si possono avere riguardo un argomento che, spesso, spaventa e che, ancor più spesso, viene negato e/o liquidato con un superficiale “basta parlare di maschilismo. Siamo nel 2020!”. 
 
Penso che, proprio perché siamo nel 2020 e perché si ha l’illusione di aver raggiunto una maturità sociale di gran lunga superiore all’epoca in cui il “femminismo” era un movimento serio e sensato e non un alibi per atteggiamenti che poco centrano con la rivendicazione delle pari opportunità e il rispetto per la Donna, non si debba mai prendere con troppa leggerezza un argomento come quello del maschilismo. Un concetto che, per quanto possa sembrare anacronistico, attraversa ancora molti strati della società moderna e che non può considerarsi superato.
 
Considerare moderna ed evoluta una società in cui dilagano ancora classismo e razzismo sarebbe un errore e per questo reputo importante lasciare che ognuno di voi si faccia una propria idea leggendo le risposte al mio post di qualche giorno fa da parte di persone appartenenti a quasi tutte le categorie enoiche, produttrici e produttori, sommelier, agenti, responsabili della comunicazione e commerciali, tecniche e tecnici. 

Oggi mi è stata posta una domanda che, come di consueto, giro anche a voi:
– Nel mondo del vino c’è ancora molto…

Pubblicato da Francesco Saverio Russo su Martedì 8 dicembre 2020

(Clicca sulla data del post per accedere ai commenti) 

Dato che mi è stato chiesto di esprimere il mio punto di vista, ciò che posso asserire è che il mondo del vino sembra aver fatto passi in avanti importanti in termini di integrazione della donna dalla produzione alla vendita, passando per la comunicazione. 
 
Prendendo in esame i singoli comparti e parlando di dati oggettivi è palese che negli ultimi anni si noti un importante aumento del numero di ragazze iscritte alle scuole di enologia e alle facoltà di enologia e viticoltura. Io, da par mio, posso confermare di aver trovato sempre più donne in vigna e in cantina.  Questo, però, non coincide necessariamente con un aumento dei posti di lavoro occupati dalle donne nell’ambito tecnico (enologhe e agronome). Nelle risposte ottenute nel mio post si evidenzia un fattore direttamente correlato a questo aspetto, ovvero il fatto che la percezione del maggior numero di donne che lavorano in ambito produttivo può essere fuorviata dal fatto che molte di esse sono “figlie d’arte” che proseguono il lavoro dei propri genitori o mogli di produttori. Nulla di sbagliato, anzi credo che anche questo vada stimato come un valore aggiunto rispetto alla disaffezione (spesso indotta) delle figlie e delle mogli dei produttori nei confronti della produzione e, quindi, degli ambiti enologici e agronomici, in favore di quelli più legati all’ambito comunicativo e commerciale. Non mancano, però, le imprenditrici che da sole hanno creato o rivalutato la propria realtà vitivinicola.
 
Infatti, parallelamente all’aumento di enologhe ed agronome c’è il netto aumento di aziende condotte da vignaiole e produttrici (circa il 30% delle imprese agricole italiane è condotto da donne) che non necessariamente hanno ereditato la propria realtà (oltre il 20% ha realizzato la propria azienda ex-novo). Credo che ormai si abbia una percezione molto positiva del valore di aziende al femminile in campo agroalimentare e sempre di più anche in campo enoico. Alcune risposte evidenziano che l’essere donna può rappresentare un valore aggiunto e che esiste una meritocrazia che, nel mondo del vino, permette alle Donne di raggiungere i loro obiettivi. A parte qualche rara eccezione, però, dal punto di vista degli impieghi tecnici la preferenza sembra essere ancora appannaggio degli uomini. 
 
Ad evidenziarlo sono i numerosi messaggi privati che ho ricevuto dopo negli ultimi giorni e che hanno posto alla mia attenzione dinamiche che credevo superate da tempo, come quelle che vedrebbero (mail alla mano) alcune realtà non prendere in considerazione il genere femminile per quanto riguarda le mansioni di cantina. Le motivazioni addotte sono quelle che vorrebbero i “maschietti” più idonei a lavori che necessitano maggior forza fisica, ma la realtà è che nel momento in cui queste motivazioni vengono date a priori, senza neanche aver valutato la candidata in questione c’è “qualcosa” che non va. Per fortuna questa non è prassi comune e le testimonianze che ho raccolto disegnano un quadro che vedrebbe le aziende più strutturate (spesso con proprietà straniere a discapito di chi vede il maschilismo come maggiormente connaturato all’italianità) avere degli standard più rigidi e obsoleti in tal senso. A compensare queste dinamiche ci sono le numerose storie di enologhe che hanno accumulato e stanno accumulato diverse esperienze in cantine italiane (e non solo) con un riscontro molto positivo da parte dei propri colleghi e delle proprietà.
Credo, comunque, che sia fisiologico un graduale avvicendamento in termini di consulenza tecnica, passando da anni in cui c’era una netta egemonia maschile sin dagli studi ad un’era in cui la presenza femminile in ambito universitario (e negli istituti superiori tecnici enologici) è sempre più alta.
 
Per quanto concerne il comparto commerciale la percezione che emerge dalle mie esperienze personali (viste dall’esterno quindi non pienamente attendibili) e, dai pareri che ho letto e ascoltato negli scorsi giorni è che negli ultimi anni, grazie alla qualità del lavoro svolto da molte professioniste del settore e dall’avvento delle nuove generazioni si sta avverte la maggior predisposizione di chi si confronta con agenti di commercio o responsabili commerciali di aziende donne a valutare in maniera obiettiva il loro operato. Ottimo anche il riscontro delle enotecarie che sono sempre di più e si stanno facendo valere con preparazione, dedizione e passione.
 
Nella ristorazione, in riferimento al lavoro in sala e, quindi, a quello delle Sommelier la mia percezione è che ci sia sempre più spazio per le ragazze e molte professioniste del settore confermano che l’andamento è, sicuramente, positivo e che il pregiudizio che si aveva fino a qualche lustro fa non sembra protrarsi, o almeno non con la stessa gravità. E’ pur vero che non sono mancate le condivisioni di episodi radicati e spiacevoli come quelli che vorrebbero il cliente del ristorante non “af-fidarsi” alla Sommelier, dando per scontato che quel ruolo sia (e debba essere) ricoperto da un uomo. Credo e spero che siano solo episodi sporadici e marginali, dovuti ad arretratezza del singolo individuo e non alla prassi comune, ma era giusto riportare anche queste testimonianze. 
 
L’ambito in cui la discussione si è accesa di più è, sicuramente, quello rappresentato dalla comunicazione enoica. Sfera in cui, da un lato, si ha la percezione che non ci siano evidenti differenze di genere e che la meritocrazia premi le idee, le penne, le voci e le competenze di giornaliste, blogger ed educatrici e, dall’altro, si ha la spaccatura più evidente fra le professioniste consapevoli del proprio valore e della fatica che hanno fatto per acquisire autorevolezza e considerazione e chi comunica il vino in maniera più “improvvisata” e – passatemi il termine – volgare. E’ sintomatico che siano state più donne che uomini ad attaccare certi modus operandi, ma non mancano gli appelli alla libertà di espressione, anche quando essa trascende le capacità e il contenuto. Io credo che nella libertà di espressione risieda anche quella di critica quindi non biasimo né l’una né l’altra parte, ma auspico un innalzamento del livello della comunicazione del vino trainato anche dalle tante professioniste che hanno tutte le carte in regola per fare grandi cose. Del mero aspetto fisico e della “cifra stilistica” con cui si sceglie di parlare/scrivere di vino m interessa relativamente, in quanto credo che siano proprio le modalità scelte a definire il target di riferimento e la differenza risiederà sempre di più nella qualità e nell’interesse reale degli interlocutori e del pubblico ai quali un comunicatore e/o una comunicatrice si riferiscono e sempre meno ai numeri.
 
In generale, vorrei vedere come molto positive le parole di alcune produttrici e operatrici del settore che dichiarano di non percepire forme di maschilismo grette e anacronistiche e che sostengono che ci sia spazio per le donne a patto che ci siano gli opportuni valori in campo. Una meritocrazia che speriamo tutti continui a livellarsi anche in termini di “fatica” nel raggiungere certi obiettivi (molte dicono di avercela fatta ma dovendo superare molti più ostacoli) e di possibilità offerte che, al momento non sembrano essere paritarie. La differenza fra chi è proprietaria della propria realtà e chi è dipendente è evidente in termini di percezione di certe dinamiche e della propria situazione rispetto alle opportunità.
 
Ci tengo a precisare che non credo che il maschilismo inteso come presunzione di superiorità espressa da atti e gesti di macismo e di sessismo siano argomenti propri del mondo del vino in senso stretto e che questo genere di atteggiamenti dipenda solo ed esclusivamente dal singolo individuo e non voglio pensare neanche per un secondo che – come ha detto qualcuno – il “vino” agevoli certe situazioni per via dei suoi effetti e delle condizioni psico-fisiche in cui, spesso, ci si trova in certi ambiti di lavoro (degustazioni, fiere ecc…)”. Per fortuna nel mondo del vino sembra esserci sempre più cultura e apertura mentale, nonostante alcuni lo vedano ancora ancorato a retaggi culturali che dietro alle parole “tradizione” e “tradizionalismo” nasconderebbero ottusità e “fallocentrismo”. La maggior parte degli uomini che ho avuto modo di incontrare e conoscere in questo settore ha profondo rispetto per la donna ed è pienamente consapevole del fatto che i valori si debbano valutare a prescindere dal genere.
Non vi nego, però, che se dovessi fare una lista delle persone più importanti in termini di crescita e di confronto incontrate nel mondo del vino da quando faccio lo scribacchino enoico con buone probabilità annovererei moltissime Donne e, sono certo, che molti di voi, riflettendo sullo stato dell’arte del comparto vitivinicolo, farebbero lo stesso.
 
E’ evidente che molto c’è ancora da fare a livello di società civile e di educazione individuale, a prescindere dal comparto di riferimento, ma sono certo che il vino rappresenti uno dei settori in cui le donne stiano facendo meglio e faranno ancor meglio nei prossimi anni! L’obiettivo non è dare privilegi ad un genere piuttosto che toglierne all’altro, bensì quello di valutare meritocraticamente ogni individuo per ciò che è, che sa fare e che può fare.
 
Per concludere vi invito a leggere l’articolo della grande penna Massimo Gramellini che sul Corriere della Sera esprime quanto il confine fra ironia (valore fondamentale, specie in tempi bui come questi e che spero non perderemo mai) e offesa, rifacendosi ad una vignetta che gira in questo periodo sui social e che evito di ricondividere in quanto comprendo possa essere travisata, nonostante la chiara ironia: www.corriere.it/caffe-gramellini.
 
 
F.S.R.
#WineIsSharing

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