Giacomo Baraldo – Talento e competenza del giovane Vigneron giramondo che stupisce con vini fuori dal coro e fermentazioni in vigna

Ormai giro per vigne e cantine da diversi anni ma ciò che mi spinge a continuare a farlo è, soprattutto, la capacità che il mondo del vino e, in particolare, i vignaioli hanno di stupirmi.

A stupirmi maggiormente è – fortunatamente – sempre più spesso la nouvelle vague di vigneron italiani/e che da Nord a Sud sta dimostrando grande passione e preparazione.

Giovani che hanno dalla loro percorsi di studi più approfonditi ma che devono necessariamente adoperarsi per accumulare esperienze sul campo e in campo utili ad approcciarsi al “fare vigna” e al “fare vino” in maniera consapevole. Esistono molti “figli d’arte” ma anche ragazzi e ragazze che iniziano in maniera spontanea e incondizionata la loro carriera enoica, vedendo nel vino un futuro laborioso ma vicino alle proprie aspirazioni. Uno dei fattori che reputo più interessanti nella visione dei giovani vignaioli è “la libertà”, ovvero la capacità di adattarsi ai tempi che corrono attingendo al meglio della tradizione ma senza ripudiare le conoscenze odierne e le loro applicazioni, specie se finalizzata alla sostenibilità e alla nitidezza espressiva.

Giacomo Baraldo Vigneron

Faccio questa premessa perché il giovane vignaiolo di cui vi parlerò oggi incarna esattamente il modello di produttore giovane ma consapevole che farà ancor più grande l’Italia del vino: Giacomo Baraldo.

Giacomo, classe ’86, si è laureato in viticoltura ed enologia nel 2012 e, con alle spalle già una vendemmia a Trinoro, decide che per poter produrre grandi vini “a casa sua” doveva prima girare le vigne e le cantine di alcuni dei principali territori vitivinicoli mondiali. E’ così che dalla sua San Casciano dei Bagni partì alla volta delle Graves di Bordeaux, dove in 3 mesi ebbe modo di entrare nella mentalità agronomica, enologica e commerciale dello storico areale francese.

assaggi da botte wine blogger

Torna in Italia ma si rende conto che doveva ancora allungare le proprie radici. Tornò a Bordeaux, ma stavolta a Margaux. Una vendemmia l’anno non gli basta, però! Quindi, per massimizzare il suo bagaglio esperienziale, decide di fare da spola tra Vecchio e Nuovo Mondo, lavorando in Patagonia e in Nuova Zelanda. Terre, queste ultime, dalle quali ha imparato approcci pratici e tecnici che oggi sono parte integrante del suo modus operandi.

La chiusura del cerchio, poi, non poteva che arrivare in Borgogna, grazie alla chiamata di De Montille, dove torna a distanza di un anno dalla previa esperienza per fare da aiuto enologo in un contesto in cui il peso di ogni scelta è grande quanto la storia del territorio vitivinicolo più importante al mondo.

In vigna baraldo giacomo

Se Giacomo avesse dimestichezza con la penna (e magari l’avrà pure!) potrebbe scrivere il “manuale per diventare vignaioli consapevoli girando il mondo”, in quanto ogni sua scelta, sia stata essa ponderata o dettata dagli esiti fortunosi del caso, lo ha portato a imparare qualcosa che gli ha permesso e gli permette tutt’ora di produrre grandi vini scevro da preconcetti e da dogmi vetusti indotti da una tradizione che non può essere univoca e deve necessariamente adattarsi all’evoluzione delle conoscenze e delle dotazioni a disposizione di un produttore.

san casciano dei bagni vino

Ecco quindi che a Bordeaux ha compreso e applicato i principi didattici enologici; in Borgogna ha maturato un’estrema sensibilità nell’uso dei raspi per i rossi e ha imparato a gestire al meglio le fecce dei bianchi; in Nuova Zelanda ha visto materializzarsi le nozioni tecniche enologiche studiate sui libri ma ha anche sperimentato e applicato la fermentazione in vigna, oggi tecnica che contraddistingue alcune sue vinificazioni; in Patagonia si è fatto il mazzo e ha acquisito dimestichezza con le fermentazioni stratificate con grappoli con raspo e senza raspo alternati.

A tutto questo vanno aggiunte le possibilità di confrontarsi con un range di vini importante che di assaggio in assaggio ha, per forza di cose, elevato la sensibilità del suo palato. Un aspetto fondamentale, a mio modo di vedere, per poter avere sempre piena coscienza di ciò che si sta portando in bottiglia, avendo termini di raffronto globali e non limitati alla propria area e alla propria comfort zone.

Ciò che dovrebbe far riflettere i più giovani ma anche i vignaioli di vecchia data, è che alla fine del suo viaggio, la cosa più importante che Giacomo ha imparato è che artigianalità e tecnica possono convivere e che per lavorare in “sottrazione” non si può non avere nozione dei principi cardine dell’enologia e, soprattutto, non si può scambiare la scelta “di fare e di non fare” con la mera negligenza.

Assaggiando tutti i suoi vini in vasca e in botte (delle annate 2019 e 2020) è facile rendersi conto di quanto ognuna delle sue esperienze enoiche sia confluita nel suo modo di interpretare un territorio, quello di San Casciano dei Bagni e dintorni, che ha un “vantaggio” che coincide con la libertà di cui vi accennavo all’inizio di questo articolo. Sì, perché non essendo sotto l’egida di importanti denominazioni e rappresentando una terra di confine fra Toscana, Lazio e Umbria (anche in termini pedologici e ampelografici) Giacomo è stato “libero” di impiantare i vitigni, a suo modo di vedere, più giusti per ciascuna parcella, allevarli con potature differenti (dal guyot poussard all’alberello, passando per cordone e per due pergole dalle quali ha selezionato il materiale per un nuovo impianto a filare) e vinificarli in modo personale ma rispettandone sempre l’identità.

Il Pergola vino baraldo

Mi è bastato camminare in alcuni dei suoi “cru” per apprezzare la coerenza delle scelte d’impianto in base al singolo pedoclima. Cru che godono di tessiture differenti, ma per lo più dotate di buona matrice minerale, di crescenti altitudini e di costante ventilazione, fattori che uniti alle scelte vendemmiali di Giacomo, che privilegiano l’acidità alla tecnologica (con grande attenzione alla fenolica), permettono ai suoi vini di mantenere un bilanciamento sempre più raro fra freschezza e struttura, con gradazioni contenute, acidità medio-alte ben integrate e tannini fini, mai verdi.

vignaiolo indipendente

Equilibri che difficilmente si possono trovare in altre aree e che (anche le scelte di portainnesto, cloni e potatura aiutano) qui arrivano spontaneamente quasi in ogni annata.

Passando ai vini, le referenze prodotte, compreso il Pinot Nero neozelandese, sono 4 ma in prossimamente ne arriveranno almeno altre 3.

Dato che non è mio solito scrivere di vini in divenire (campioni da vasca e/o botte o vini ancora all’inizio del loro affinamento in bottiglia), seppur rappresentino ormai una buona fetta dei miei assaggi, vi parlerò dei vini già in commercio, nella speranza di raccontarvi nei prossimi mesi anche gli altri (in particolare il Cru Caccialupi, che ha già la stoffa del grande vino):

vini giacomo baraldo

L’Affacciatoio 2018 “Vino Bianco”: uno Chardonnay fine nel varietale che poco ha a che fare con la maggior parte dei pari vitigno prodotti in Toscana. Finezza che si ritrova al sorso, coadiuvata nella materia dalla grassezza non lattica donata dall’affinamento sulle fecce fini. Una tessitura che non lo fa s-cadere nella trappola dell’esilità ma lo mantiene agile e vibrante, grazie alla notevole freschezza che lo attraversa. Sapidissimo il finale.

Il Pergola 2018 “Vino Bianco”: frutto di un’accorta e consapevole e, al contempo, artigianale macerazione di 3 settimane delle e uve dei due cloni di Grechetto (G109 “Orvieto” e G5 “Todi”) raccolte dalle vecchie pergole che si arrampicano in un cortile del centro storico di San Casciano ei Bagni. Una piccolissima produzione dal risultato sorprendente per equilibrio dei profumi, ancora percettibili nel varietale con le tonalità macerative mai eccessive e una buonissima protezione dall’ossidazione. Il sorso è tridimensionale, materico e gustoso, il tannino lieve ma presente da carattere e terge il palato che resta sempre più salino al passaggio di ogni sorso.

Il Bossolo 2018 Toscana Igt Sangiovese: un Sangiovese tanto nitido quanto sui generi. La fermentazione spontanea e la macerazione è di circa 20 giorni, con un 10% di fermentazione in vigna a grappolo intero. Poco meno di un anno di legno piccolo di rovere francese di quinto passaggio, 7 mesi in acciaio e almeno 18 mesi in bottiglia prima dell’uscita. Un naso integro che coniuga un profilo aromatico dei Sangiovese d’antan alla pulizia e alla freschezza che tutti i vini di Giacomo portano in dote. Un sorso fiero ma davvero slanciato che fa comprendere ancor di più in un’annata tendenzialmente calda e asciutta come la 2017 quanto questo “terroir” sia più predisposto alla verticalità che alla “ciccia”. Trama tannica fitta e per nulla sgranata.  Lungo il finale ematico tra terra e ferro. Un vino complesso e dinamico, completo e dalla grande agilità di beva. Ciò che vorrei trovare sempre ma che, specie in questa annata, non ho trovato con facilità altrove.

18.5K Pinot Noir 2018  (Waipara Valley New Zeland): ho parlato di bagagli tecnici e di esperienze che Giacomo si è portato a casa al suo ritorno dai luoghi del vino in cui ha avuto modo di lavorare ma questo Pinot Nero rappresenta un vero e proprio cordone ombelicale con la Nuova Zelanda, terra in cui tecnica e artigianalità si fondono in maniera esemplare. Un Pinot Nero fermentato in vigna, che ha parla di equilibri non comuni e di una cifra espressiva propria di quei territori e quelle interpretazioni. L’impatto olfattivo è coerente con il varietale nella sua accezione più giovane e spensierata del termine, eppure bastano pochi istanti nel calice per comprendere quanta complessità la fermentazione in vigna e il ponderato affinamento in legno diano a questo vino che si arricchisce di lieve ma intrigante spezia e note vegetali che evolvono nel balsamico e non risultano mai verdi… linfatiche. Il sorso ha polpa e slancio, dinamica e sapore da vendere. Una beva agile ma per nulla scontata, tanto che è la lunghezza di un finale bilanciato fra l’accenno di grip tannico da raspo e la mineralità ematica a stupire. 

Pochissime bottiglie per un vino che Giacomo segue personalmente facendo da spola tra Italia e la terra dei Maori di annata in annata. Un esempio di quanto le esperienze possano diventare non solo un bagaglio da portare con sè, bensì occasioni da trasformare in progetti concreti.

giacomo baraldo

Ci tengo a sottolineare che stavolta, non sono stato io lo scopritore di talenti, in quanto già anni fa il buon Luca Martini mi aveva consigliato di assaggiare i vini di questo giovane e talentuoso vignaiolo. Purtroppo mi sono dovuto limitare agli assaggi per qualche anno, ma andarlo a trovare tra le sue vigne e potermi confrontare con lui riguardo il futuro della sua piccola realtà ha fatto la differenza, tanto da spingermi a scrivere questo pezzo.

Ovviamente, il consiglio è quello di andarlo a trovare (i suoi hanno un ristorantino davvero piacevole dove potersi rifocillare dopo una mattinata tra vigne e cantina) ma intanto, se li trovate – date le esigue tirature -, potete assaggiare i suoi vini. Aspetto un vostro feedback, ma so che non ve ne pentirete!

F.S.R.

#WineIsSharing

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