Montalcino è l’areale vitivinicolo con la più alta qualità media percepita in Italia

Chi mi conosce sa quanto io veda nella rete e nei social un ottimo strumento per sondare il sentire comune riguardo alcuni importanti temi enoici. Sovente mi capita di porre domande a chi mi legge per comprendere se le mie personali percezioni – ergo, soggettive – possano o meno ricalcare quelle che sono le opinioni di un bacino adeguatamente ampio di appassionati e addetti ai lavori.
Faccio questa premessa in quanto tempo fa ebbi l’ardire di porre questo quesito:
“Qual è secondo voi l’areale vitivinicolo italiano con la più alta qualità media percepita?”
Io mi esposi dopo pochi istanti, essendo stato tirato in ballo da chi interagiva, e mi resi conto che la mia risposta era condivisa da gran parte degli interlocutori. Non si trattava di valutare i picchi qualitativi, i premi o i punteggi della critica enoica italiana e straniera, bensì di dare il proprio parere, a fronte di decine, centinaia o, magari, migliaia, di assaggi (ovviamente di un range di realtà differenti, lungo la verticale del tempo), riguardo la linearità qualitativa di un’intera denominazione.
Quale fu la mia risposta, nonché quella più condivisa? Montalcino.
Montalcino Brunello miglior areale vino
Un dato parziale, ottenuto da un semplice scambio di opinioni sulla rete, ma l’esperienza mi insegna che questo tipo di interazione e di esposizione di massa può e sa, spesso, dare indicazioni concrete e realistiche del sentimento comune. Interessante come alla richiesta di argomentazioni in molti abbiano apportato alla discussione comparazioni importanti, con alcune delle più grandi denominazioni in Italia e nel mondo, prendendo come riferimento i prezzi medi e la crescita degli ultimi 20 anni delle realtà produttive in termini di numero e di qualità.
Per quanto mi riguarda, non amo classifiche o indici di gradimento, ma credo che quello scambio di vedute possa fungere da base per una discussione più ampio riguardo ciò che Montalcino e il Brunello sono oggi, a prescindere dalla storia, per quanto fondamentale essa sia.
Qualche dato
Vigneto: oltre 4.300 ettari di vigneto di cui 3.150 iscritti a Doc e Docg (2.100 a Brunello, contingentati dal 1997, 510 a Rosso di Montalcino, 50 a Moscadello, 480 a Sant’Antimo) e la restante parte riservata ai vini Igt, su un comprensorio di 24mila ettari che coincide con il Comune di Montalcino, 40 km a Sud di Siena, delimitato dalle valli dell’Orcia, dell’Asso e dell’Ombrone. Un territorio unico per biodiversità, caratteristiche morfologiche e climatiche, coperto per il 50% da bosco e incolti, per il 10% da oliveti e solo per il 15% dalle vigne con la restante parte a seminativo, pascoli e altre colture. Il clima, mediterraneo e prevalentemente mite, assicura alle uve un processo di maturazione ottimale, anche grazie alla continua presenza di vento.
Un vigneto, quello di Montalcino, che oggi sfiora un valore di quasi 1 milione di euro per ettaro, per un totale di oltre 2 miliardi di euro. Il 4.500% in più rispetto a cinquant’anni fa, con una crescita costante che non sembra fermarsi ora alla luce di nuove importanti trattative registrate tra le colline montalcinesi.
Produzione: sono oltre 141mila gli ettolitri di vino usciti dalle cantine di Montalcino nel 2019, tra Brunello (96.722 hl), Rosso di Montalcino (34.249 hl), Moscadello (436 hl) e Sant’Antimo (9.992 hl). Una produzione per circa il 70% destinata all’export e che, per quanto riguarda il Brunello, una volta in cantina si trasforma in un vero e proprio investimento ad altissimo rendimento, con profitti che crescono in maniera direttamente proporzionale all’affinamento del vino fino a triplicare il proprio valore. Valgono infatti circa 400 milioni di euro i 340mila ettolitri delle ultime annate conservati in botte nei caveau delle 300 aziende montalcinesi, grazie a una supervalutazione dello sfuso (fino a 1.200 euro per ettolitro), che fa del Brunello il vino più caro del Belpaese. E non è finita, perché dopo l’imbottigliamento e considerando le quotazioni dell’annata 2014, il valore del prodotto finito salirà del triplo, fino a superare quota 1,2 miliardi di euro. Fonte dati: Valoritalia e Winenews
montalcino vigne
ENOTURISMO
Quasi 200mila presenze nel 2018, il 113% in più negli ultimi 5 anni, e oltre 75mila arrivi con pernottamento in un comune di 6mila abitanti. Sono i numeri dell’enoturismo di Montalcino, meta ogni anno di visitatori provenienti da tutto il mondo (il 72% del totale presenze è straniero), che ha costruito sull’economia del suo vino di punta la propria fortuna. La metà delle imprese locali sono infatti a stampo agricolo, ma non è tutto: negli anni si sono moltiplicate le strutture ricettive e oggi sono 1 ogni 35 abitanti con 92 tra alberghi, agriturismi e strutture di accoglienza. Oltre 50, infine, ristoranti e locali con attività di somministrazione. E i risultati si vedono: +20% le presenze solo nell’ultimo anno statistico (2018 vs 2017); +113% negli ultimi 5 anni per una crescita 10 volte superiore all’incremento dell’incoming regionale toscano; quasi 77mila le notti in hotel per 3/4 riservate da stranieri, circa 120mila le presenze in esercizi extralberghieri. Provengono da oltre 60 Paesi gli enoturisti che visitano Montalcino e che lo scorso anno hanno fatto segnare un +25% di presenze. Si tratta prevalentemente di big spender e gli habitué sono in primis gli statunitensi, vero e proprio feudo con quasi 41mila presenze registrate nel 2018 e una crescita boom sull’anno precedente (+56%), seguiti da 19mila presenze dalla Germania e da oltre 10mila da Regno Unito e Brasile, quest’ultimo in grado di segnare un incremento del 70% nell’ultimo anno monitorato. Numerosi anche gli arrivi con pernottamento provenienti da Francia, Canada, Svizzera, Australia e Russia.
Fonte dati: elaborazioni Nomisma-Wine Monitor su base statistica della Regione Toscana.
enoturismo montalcino
I dati utili si fermano al 2019 ma, per quanto il 2020 sia da considerare un annus horribilis per tutta la filiera enoica italiana, Montalcino ha goduto prima di una vendita anticipata (anche a grazie/a causa dello spauracchio dei dazi che ha spinto molti ad acquistare le nuove annate in anticipo dagli USA che rappresentano, da anni, il principale mercato del Brunello), poi del posizionamento di gran parte delle realtà su un pool di mercati molto ampio (variare e distribuire in maniera oculata i mercati è stato uno dei fulcri della “politica” commerciale delle realtà montalcinesi) e in fine ha visto l’apporto dei privati italiani che, nonostante la pandemia hanno riversato il loro interesse nei “fine wines”. Riguardo l’enoturismo sarebbe da ipocriti definire boom quello avuto quest’estate, ma di certo i mesi estivi hanno visto un riavvicinarsi degli appassionati italiani che per quanto abbiano notoriamente un potere d’acquisto inferiore ad alcuni enoturisti stranieri, hanno supportato le cantine e le attività locali. Questo aspetto potrebbe trasformarsi nel post-pandemia in un valore aggiunto per una terra che potrà godere della fidelizzazione fatta quest’anno nei confronti degli appassionati italiani.
fortezza montalcino enoteca
Ho voluto elencare questi dati razionali per darvi un’idea più concreta di ciò che Montalcino rappresenta oggi in termini vitivinicoli e di indotto, ma ciò che mi sta ancor più a cuore è la resilienza di un areale che ha saputo restare fedele alla propria storia anelando al futuro con dedizione e coerenza, senza genuflettersi a nessuna moda e senza assecondare in maniera pedissequa chi inneggiava alla sottesa omologazione come all’arma vincente per “conquistare il mondo”. Sia chiaro, Montalcino ha saputo anche imparare dagli errori, propri e ancor più degli altri, mettendo l’identità prima di tutto. Un’identità che, per chi ama i vini di queste terre, non è data dal solo Sangiovese, bensì dal concetto più profondo di terroir, in cui generazioni di donne e uomini lavorano insieme alla natura per portare in bottiglia qualcosa di estremamente riconoscibile che, a prescindere da ideali zonazioni o differenti interpretazioni, ha, spesso, la precisione dei più moderni gps.
Un territorio è davvero grande quando riesce ad ergersi sempre al di sopra del varietale e della mano dell’uomo.
sangiovese
Costanza e coerenza che hanno permesso di aumentare gradualmente il valore di questo territorio e di ogni bottiglia ivi prodotta.
Merito di questa crescita esponenziale e dell’aumento della percezione del valore della denominazione del Brunello di Montalcino Docg e con essa anche di quella del Rosso di Montalcino Doc è sicuramente la continua volontà di mettersi in gioco dei produttori storici e la presa di coscienza in termini di potenzialità di un notevole numero di piccole e medie realtà che rappresentano il tessuto della viticoltura ilcinese.
consorzio brunello montalcino
A prescindere dalle dimensioni e dai numeri, però, non è solo la percezione che si ha del lavoro dei vignaioli e dei produttori locali ad essere così alta, in quanto a detta di molti addetti ai lavori se c’è un ente di tutela che è stato in grado di lavorare bene negli ultimi anni quello è proprio il Consorzio del vino Brunello di Montalcino.
Un Consorzio nato all’indomani dell’assegnazione della Doc (1967) e che annovera 218 soci che rappresentano quasi la totalità del Brunello prodotto (98,2%) che, oltre a creare quella che è da anni la migliore anteprima del vino italiano in termini di organizzazione e appeal (Benvenuto Brunello), ha sempre operato in maniera accorta e ponderata dando un’immagine forte di unità territoriale.
E’ proprio la sensazione che a Montalcino ci sia grande unità d’intenti (pur mantenendo e preservando le proprie individualità) tra i produttori che agevola da un lato la consapevolezza di chi fa vino e dall’altro la fondamentale sicurezza da parte dei consumatori e degli addetti ai lavori riguardo il valore qualitativo di una bottiglia di Brunello. Questi fattori trascendono la valutazione del singolo assaggio e dell’operato della singola realtà, in quanto ciò che è evidente è che chi acquista una bottiglia di Brunello ha la percezione di poter stappare o mettere in cantina un’eccellenza italiana e mondiale che difficilmente deluderà.
Credo che questo sia il “goal” di ogni denominazione ma ancor di più di quelle che sono riuscite a creare un connubio così forte fra varietale e territorio, fra tradizione e rinnovata consapevolezza tecnica, da aver conseguito una linearità stilistica che può essere un’arma a doppio taglio se non la si sa valorizzare al meglio.
Questo è ciò che il Consorzio e i produttori del Brunello hanno saputo fare negli anni e in particolare negli ultimi 10, manifestando una grande omogeneità qualitativa che permette all’intera denominazione di poter produrre vino nel miglior modo possibile, ognuno con la propria filosofia agronomica ed enologica ma entro dei canoni di riconducibilità territoriale ben definiti.
Il tutto con un sempre maggiore rispetto della biodiversità e della sostenibilità, aspetti fondamentali per il presente e il futuro della viticoltura di ogni areale vitivinicolo che, fortunatamente, Montalcino può tutelare e implementare.
Un’identità forte che si erge come esempio da seguire per il resto delle denominazioni italiane.
Oltre all’attività istituzionale del Consorzio, va sottolineata anche l’attività di confronto e condivisione delle nuove generazioni, che stanno mostrando di voler crescere insieme, ponendo le basi per ciò che sarà la Montalcino del futuro. Una Montalcino che nonostante abbia perso alcuni dei propri personaggi di punta negli ultimi anni manifesta di essere una squadra in cui tutti i giocatori possono scendere in campo con merito e in cui le punte di diamante aumentano di annata in annata e si alternano come solo nei contesti di grande qualità media può accadere. Ecco quindi che emerge il grande territorio, ancor prima del grande produttore. Cosa rara, specie in Italia, in cui tendiamo sin troppo spesso a ricondurre intere denominazioni all’oligarchia ideale di pochi.
Scrivo tutto questo a ridosso di quella che potrebbe essere la prima anteprima del vino da molti mesi a questa parte, per la quale nulla è stato lasciato al caso se non, purtroppo, gli aspetti incontrollabili dovuti agli esiti in divenire della pandemia.
Un Benvenuto Brunello OFF in cui la mia tesi verrà confermata, agevolata da annate straordinarie in degustazione, ma è proprio in annate come la 2016 che l’asticella si alza, sia per il degustatore che carica ogni assaggio di maggiori aspettative che per il produttore che portando in cantina uve di quella “bellezza” e salubrità non può che aspirare a risultati ancor più importanti.
Speriamo di vederci a Montalcino tra qualche settimana, ma nell’attesa fate incetta di 2016 se ne trovate ancora un po’ in giro.
F.S.R.
#WineIsSharing

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