Mazzei – La storia e il futuro del Chianti Classico dai Cru Gran Selezione al “Clos” IPSUS

Ci sono realtà che hanno fatto la storia di un territorio e altre che, oltre a questo, cercando di scriverne nuovi capitoli di annata in annata. Una fra queste è, senza tema di smentita, la Tenuta Fonterutoli della famiglia Mazzei che, da 24 generazioni, porta avanti il proprio viscerale legame con il Chianti Classico, le sue vigne e i suoi vini con rispetto, dedizione e lungimiranza.

Qualche mese fa, avevo promesso a Francesco Mazzei che sarei tornato a Castello di Fonterutoli per approfondire e comprendere a pieno il progetto legato alla sostenibilità a 360° che la storica azienda del Chianti Classico porta avanti ormai da anni, per visitare i vigneti dei “cru” di Gran Selezione e per un vino del quale abbiamo lungamento parlato e che, a mio parere, può rappresentare un passo in avanti (e verso l’alto) decisivo per l’intera denominazione. Iniziamo dai vigneti dai quali vengono prodotte le tre diverse espressioni di Gran Selezione. Aver avuto la possibilità di fare un sopralluogo in vigna a pochi giorni dalla vendemmia mi ha permesso di constatare lo stato dell’apparato fogliare e dei grappoli che, nonostante l’annata siccitosa, si mostrano in palese equilibrio.

L’azienda può disporre di parcelle che vanno dai 300 ai 570m slm divisi in quelle che sono state recentemente annoverate fra le “nuove” UGA (unità geografiche aggiuntive): Castelnuovo Berardenga, Castellina in Chianti e Radda. Questo comporta notevoli e percettibili differenze in termini di epoca di maturazione (l’assaggio degli acini lo dimostra) e di valori analitici, cosa che ho, successivamente, avuto la possibilità di ricercare nei rispettivi 3 “Cru” di Chianti Classico Gran Selezione prodotti dalla cantina della famiglia Mazzei al fine di evidenziare queste profonde differenze pedoclimatiche, ergo espressive: Vicoregio 36, Castello Fonterutoli, Badiòla.

Facendo un passio indietro, è importante sottolineare che erano più di 30 anni che si cercava di ufficializzare una zonazione del Chianti Classico che, in realtà, era già stata evidenziata da tempo. Quest’anno, finalmente, si è arrivati alla definizione delle 11 UGA dell’areale del Gallo Nero:  Castellina, Castelnuovo Berardenga, Gaiole, Greve, Lamole, Montefioralle, Panzano, Radda, San Casciano, San Donato in Poggio, Vagliagli.Dovremo attendere ancora un po’ per vederle in etichetta e ancor di più (ca. 3 anni) per trovare le 3 sulle quali si sta facendo un ulteriore approfondimento, vale a dire Lamole, Montefioravalle e Vagliagli. Tutte le unità geografiche aggiuntive saranno, per ora, rivendicabili solo dalla tipologia Gran Selezione alla quale è stato apportato un cambiamento in termini di disciplinare di produzione: almeno 90% Sangiovese (prima 80%) e 10% di soli vitigni autoctoni (prima aperta anche agli internazionali, “storicamente” presenti nell’areale).

Ecco quindi che la tanto discussa Gran Selezione acquisisce ancor più senso quando ad affiancarla è un concreto lavoro di studio e di cernita di quelle che sono le peculiarità delle singole sottozone. Per questo il progetto portato avanti dalla famiglia Mazzei, non fa altro che anticipare e, per assurdo, spingere già oltre la “macro-zonazione” il percorso consortile. Sì, perché con le 3 distinte Gran Selezione l’obiettivo di Fonterutoli è proprio quello di evidenziare la diversità dei vigneti di Vicoregio (Castelnuovo Berardenga)Castello Fonterutoli (Castellina in Chianti) Badiòla (Radda) traducendo fedelmente le differenti condizioni pedoclimatiche e ampelografiche (il lavoro sui cloni di Sangiovese della famiglia Mazzei è noto, tanto che solo nel vigneto di Vicoregio ne convivono 36).

Vini che ho così percepito: Vicoregio 36 Chianti Classico Docg 2018:  mostra un grande equilibrio fra struttura e acidità, armonico nel gioco fra toni fruttati e floreali, con una spezia ben dosata e lievi accenni balsamici. Il sorso è concreto ma dotato di buon nerbo acido in grado di slanciare il sorso e rendere agile la beva. Il tannino è fine, la chiusura ematica. Castello Fonterutoli Chianti Classico Docg 2018: ha il piglio dei grandi Sangiovese, classico e introverso, timido nell’aprirsi, quasi austero ma capace di evolvere con classe nel calice, evidenziato un frutto perfettamente maturo, con note di sottobosco e di pepe appena accennate. Il sorso è integro, fiero e dinamico. Il tannino è fitto e dona personalità e classicità a questo Sangiovese che chiude saporito e decisamente persistente. Badiòla Chianti Classico Docg 2018: dal vigneto più in alto, la Badiòla si dimostra coerente con le aspettative in termini di freschezza, tonicità e finezza con note floreali spiccate tanto quanto il frutto ancora luminoso. Il sorso è teso e vibrante, ma non privo di “ciccia intorno all’osso”! La trama tannica è soft e il finale tra terra e sale, invoglia alla beva. Tre vini per tre zone molto differenti che hanno come trait d’union la grande vocazione alla produzione di Chianti Classico di razza ma che vogliono mantenere integra e nitida la propria identità, senza pestarsi i piedi l’uno con l’altro ma offrendo tre personalità di Sangiovese (anche se sarebbe più corretto dire “dei Sangiovesi”) molto distintive.

Sostenibilità e identità

Vini prodotti in un contesto di ricerca e sostenibilità in continua evoluzione, orientato a minimizzare l’impatto ambientale dell’azienda sotto ogni punto di vista (emissioni, carbon footprint, chimica di sintesi ecc…) preservando la biodiversità tipica del Chianti Classico e massimizzando dalla vigna alla bottiglia le singole parcelle (vengono fatte oltre 120 vinificazioni separate e proprio per questo è stata studiata l’attuale cantina).
Niente diserbi né concimi chimici, recupero degli scarti di lavorazione (tralci, raspi, vinacce, sansa delle olive e di letame equino) per la produzione di compost aziendale, da utilizzare come fertilizzante totalmente organico, sovesci ponderati in base al reale fabbisogno della singola parcella, lancio di insetti antagonisti contro la tignola ecc…

Mai smettere di sperimentare e di puntare all’eccellenza con cognizione di causa e contestualizzando ogni scelta in base a ciò che si ha e che si vuole. Una “grande” cantina che riesce a lavorare con le attenzioni di una “piccola” dalla vigna alla bottiglia non è cosa da poco. Se poi l’essere “grandi” permette di rendere sostenibili scelte e soluzioni tecniche e tecnologiche (non chimiche), in campo e in cantina, in grado di valorizzare ancor di più l’identità dei singoli terroir l’asticella non può che alzarsi. 


IPSUS – La chimera che diviene realtà

Detto questo, ora posso svelarvi il motivo primario per il quale ho deciso di dedicare ben due giorni al passato, al presente e al futuro della famiglia Mazzei nel Chianti Classico: IPSUS.

Probabilmente ne avrete già sentito parlare, in quanto la sua prima uscita ha avuto una eco importante fra gli addetti ai lavori e i “Sangiovesisti” accaniti! Si tratta di un vino destinato a segnare in maniera indelebile la storia del Chianti Classico, perché frutto di un percorso ineccepibile in termini di tempo, dedizione e oculatezza nelle scelte. Tutto nasce nel 2006, quando la famiglia Mazzei acquista la tenuta il Caggio, contingente alla proprietà di Fonterutoli, con l’obiettivo di integrare il vasto parco vigne a quello aziendale. Di lì a poco, però, la maniacalità nelle vinificazioni separate della cantina ha fatto emergere doti e peculiarità che meritavano di essere approfondite e valorizzate, tanto che venne isolato un vero e proprio clos di 6.5ha di un “mix” di vigne vecchie e giovani che affondano le proprie radici in scisto argilloso misto a marne calcaree con grande presenza di alberese. Siamo tra i 320 e i 350m slm, su una schiena d’asino di rara suggestione e indubbia vocazione. Eppure, ci sono voluti ben 9 anni per convincere la famiglia e, in particolare, il giovane Giovanni Mazzei (che ora vive nella tenuta, a conferma della volontà di dedicarsi con attenzioni costanti a questo progetto) a uscire con la prima annata. Infatti, pur avendo vinificato praticamente ogni vendemmia dal 2006 ad oggi, la storia di IPSUS nasce solo con l’annata 2015. Annata attualmente in commercio, in attesa dell’uscita della 2016.

Parliamo, ovviamente, di un Chianti Classico Gran Selezione e di un Sangiovese in purezza, in cui convergono più cloni (come di consueto, sia da vivaio che da selezioni massali della famiglia), frutto di un’attenta conduzione biologica orientata alla sostenibilità e finalizzata all’ottenimento del massimo equilibrio della pianta in ogni annata (è eloquente la forza vitale di questi vigneti anche in un’annata secca come questa 2021). La vinificazione è parte in tini troncoconici d’acciaio e parte in tini di legno, con un affinamento di 18 mesi che inizialmente prevedeva solo tonneau ma dalla 2016 integra anche due botti grandi, per poi attendere l’ingresso in bottiglia per 8 mesi in cemento. Ne risulta un IPSUS 2015 integra, nitida nel varietale, armonica nella presa di legno, complessa negli accenni balsamici e speziati ma ancora fresca nel frutto. Il sorso è tonico, profondo, fine nel tannico e saporito nel finale. La 2016 che si sta ancora definendo in vetro, è luminosa, fiera, concreta ma al contempo slanciata nella dinamica di beva. Il grip tannico denota la personalità dei Sangiovesi di razza e il finale ematico chiude in grande stile un sorso pulito e persistente.

Ho avuto modo di assaggiare anche le annate che verranno ma sarebbe prematuro descriverle, per quanto mi senta già di affermare che la coerenza stilistica molto rispettosa e per nulla invasiva permetta al terroir di esprimersi in maniera nitida nel rispetto dell’annata.

A prescindere dall’indubbia qualità dei vini assaggiati, ciò che mi ha colpito di più è proprio l’approccio poco impattante e per nulla “piacione” che la famiglia ha voluto mantenere con l’IPSUS. Cosa non scontata dato il posizionamento e l’appeal che questi vini hanno in certi mercati. La sensazione è che questo progetto sia una diretta emanazione della volontà e del gusto dei Mazzei e non un mero tentativo di assecondare un certo target. 

Da anni sostengo che al Chianti Classico manchi solo una serie di quei vini che a livello di posizionamento gli americani definiscono “Icon”. A prescindere da meri discorsi commerciali, è palese che tutte le più grandi denominazioni italiane e straniere abbiano tratto vantaggio dal coraggio e l’ardire di produttori consapevoli e sicuri del proprio operato.  Per questo penso che vini come l’IPSUS possano far bene all’intero comparto del Chianti Classico, alzando l’asticella e livellando verso l’alto il valore percepito di un areale che merita ben più di ciò che sta ottenendo negli ultimi anni.

F.S.R.

#WineIsSharing

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