Qualche giorno fa la redazione di un’importante rivista francese mi ha posto una domanda tanto scontata quanto sempre più complessa da rispondere: “Perché proprio il vino?”
Dato che a quel quesito ho dovuto rispondere maniera sintetica, in quanto avevo solo poche battute a disposizione (e molti di voi sanno quanto io sappia essere irrimediabilmente prolisso), ho deciso di condividere qui la risposta che avrei voluto dare se non avessi avuto limiti editoriali di sorta, nella speranza di non tediarvi (sarebbe spiacevole pensaste che a voi è toccato qualcosa di peggio che ai francesi!).
In questi anni ho sempre cercato di dare più importanza ai territori attraverso approfondimenti zonali pedologici e microclimatici ma, soprattutto, ho cercato di confrontarmi quanto più possibile con chi il vino lo fa: vignaioli, agronomi, enologi e, più in generale, produttori di ogni areale del nostro sfaccettato paese. Il mio obiettivo è sempre stato quello di non limitare il mio fare e il mio scrivere enoico alla sola degustazione e/o alla recensione di vini e cantine. Non è stato facile, ho dedicato anni della mia vita a cercare di mostrare e, forse, dimostrare che comunicare il vino, anche nell’era del web e dei social, non deve necessariamente combaciare con la promozione da un lato e con la mera critica dall’altro.
Gli ultimi anni segnati dalla pandemia e la conseguente riduzione drastica degli eventi, ergo delle opportunità di incontrare un target più ampio di appassionati e addetti ai lavori (oltre a chi ho comunque avuto modo di andare a trovare in vigna e in cantina) mi hanno portato a riflettere molto su alcuni aspetti del mio lavoro. Forse molti di voi non lo sanno e, per quanto mi ero ripromesso di smettere di ribadire cose già scritte e già dette anni fa, credo sia opportuno fare un po’ di chiarezza, data la confusione che regna in un comparto come quello della comunicazione del vino, in cui si fa troppa poca distinzione fra marketing e divulgazione. A spingermi a soffermarmi nuovamente su questi concetti sono stati alcuni lettori, tra i quali alcuni produttori che non “sentivo” e/o non vedevo da tempo e dai quali, però, ho avuto conferma di aver intrapreso la strada giusta, nonostante dall’esterno la percezione sia fuorviata dalla difficoltà di credere in un’etica e in una deontologia ormai logorate dalla facilità di giustificarne l’assenza con frasi del tipo “che ti frega! Tanto lo fanno tutti!”.
Non scendere a compromessi, continuare ad alimentare la passione e la curiosità attraverso lo studio, l’applicazione, la condivisione e il confronto. Questo è ciò che sto cercando di portare avanti, nonostante chi ha intrapreso la strada della “comunicazione” online negli ultimi anni sembra aver preferito orientarsi verso dinamiche più vicine al marketing che alla divulgazione.
Io, da par mio, ho sempre avuto bisogno di di andare oltre il concetto di do ut des finalizzato a promuovere qualcosa in cui non è richiesto credere davvero. Nonostante questo, capita sovente che qualcuno mi scriva o mi dica frasi del tipo “ho visto che hai collaborato con la cantina tal dei tali” e quando dico che non ho mai “collaborato” con una cantina in termini di promozione sembra quasi che io stia dicendo un’eresia, qualcosa di impossibile tanto sembra incredulo chi lo chiede.
Ho sentito il bisogno di andare oltre il mero calice, oltre la degustazione asettica di un vino che per quanto possa emozionare non potrà mai dirti e darti ciò che sa e può darti dopo aver visto e compreso come e dov’è nato. Ho provato a riunire produttori, a dar vita ad associazioni contribuendo alla stesura di statuti, disciplinari, ho approfondito di zonazioni di areali tanto vocati quanto ancora solo parzialmente indagati e conosciuti, e non ho mai smesso di sentirmi fortunato, privilegiato e onorato di poter vivere una vita così ricca di esperienze e soddisfazioni.
Non so quanto di tutto ciò mi spetti di diritto e quanto il mio essere così stacanovista e la mia salda coerenza abbiano contribuito, ma mai come negli ultimi mesi ho percepito quanto sia stato importante non cedere a certe dinamiche. Forse per questo sto cercando di far virare la mia attività di divulgazione sempre più verso gli incontri in presenza, le degustazioni, le tavole rotonde i convegni e anche solo riunioni fra appassionati, addetti ai lavori e produttori in cui si possa parlare di vino nell’ambito di un confronto reale, aperto e diretto.
Credo che anche questo faccia parte del percorso di valorizzazione del vino italiano che, nel mio piccolissimo, sto cercando di portare avanti. Un percorso di crescita comune, in cui ogni occasione di discussione attorno a un tema o anche solo alle peculiarità di un territorio o di un vino può far maturare in me maggior consapevolezza a riguardo e nei produttori e negli addetti ai lavori una visione differente, che contempli punti di vista nuovi o solo parzialmente esplorati.
Raccontare territori significa, per me, significa prima di tutto visitarli, indagarne le peculiarità e confrontarmi con i produttori permettendo a me di accrescere la conoscenza di quel determinato areale e, spero, ai produttori di aumentare la propria consapevolezza. Uno degli “oggetti” fondamentali della mia “ricerca” è e sarà sempre di più il posizionamento che è diventato uno degli argomenti maggiormente dibattuti durante i miei incontri con chi il vino lo fa e con chi il vino “lo vende”. Ciò che cerco di stimolare, da tempo, è una presa di coscienza comune e un’azione corale che i produttori italiani, a prescindere dalle individualità e dagli exploit del singolo vino, dovrebbero attuare per raggiungere, in maniera diffusa, gli standard che competono loro. Per standard intendo un prezzo medio più alto e, dunque, una maggior possibilità di reinvestire in azienda e di conseguenza aumentare costantemente le proprie possibilità in termini qualitativi.
Un’attività di comunicazione, quindi, che passi anche e soprattutto per il confronto diretto col produttore ai fini di una crescita reciproca e che non deve necessariamente porre il “critico” e la “critica” al centro e non deve passare imprescindibilmente dalla valutazione del prodotto finito fine a sé stessa.
Per intenderci, in questi anni, sarebbe stato più semplice chiudersi in ufficio ad assaggiare i soli campioni, partecipare a qualche degustazione, alle anteprime, agli eventi enoici più importanti e fare scorte di cartelle e comunicati stampa da pubblicare. Avrei risparmiato tempo e denaro, energie e pneumatici, nervi e vertebre ma non sarei stato me stesso! Non potrei mai limitarmi a raccontarvi un vino senza conoscerne l’essenza e senza contestualizzarlo. Rispetto chi riesce a farlo, chi riesce a scindere il vino dal contesto in cui nasce, dalla sua storia in modo da non esserne condizionato – dicono – ma, credo che a quel vino mancherà sempre qualcosa se non si è andati più a fondo. E’ virtù del comunicatore sincero e del critico onesto mantenere una imperturbabile imparzialità anche dopo aver conosciuto vigne, luoghi e persone che danno vita ad un determinato vino e se ci sarà un minimo di umano condizionamento vorrà dire che il cuore avrà preso il sopravvento sulla mente e sarà opportuno evidenziarlo.
Io faccio tutto questo perché non saprei fare altrimenti!
Vivo di tutto ciò che continuo imperterrito a raccontarvi perché non potrei mai farne a meno e quando mi viene chiesto quale sia il mio fine, quali siano le motivazioni pratiche, materiali che mi spingono a essere in viaggio per più di 300 giorni l’anno io non so che rispondere. Non so rispondere perché tutti i motivi che mi vengono in mente sono legati alla sfera emozionale, alla passione, alla curiosità e, quindi, al desiderio di continuare a cercare realtà meritevoli di essere scoperte e raccontate. Probabilmente se mi mettessi a fare due conti dovrei smettere, ma per fortuna non sono mai stato molto ferrato in matematica!
Ho viaggiato tanto e questi ultimi anni, con le loro vicissitudini, mi hanno fatto comprendere in maniera ancor più nitida quanto io necessiti di esperienze itineranti, di assaggiare nuovi vini, di conoscere nuove realtà e di continuare a condividere ciò che vivo e conosco in maniera sempre più diretta, anche bypassando i social e il web. Scrivere era diventato difficile, durante il covid e ancor più dopo l’hackeraggio subito a ridosso del Natale dello scorso anno. Per la prima volta mi è balenata per la mente l’idea di chiudere questo wine blog (qualcuno tra sé e sé dirà “E sticazzi?!”), in quanto il lavoro di anni e anni era andato in gran parte perduto, in pochi istanti, mostrando quanto effimero, fragile e labile fosse ciò che avevo provato a costruire. In realtà quell’episodio è servito a rafforzare in me l’idea che educazione, rispetto e dedizione valgano più di numeri, followers, indicizzazione e altre diavolerie dalle quali dipende parzialmente, in quest’epoca, la reputazione di un sito, di un blog e di un comunicatore, se non addirittura di un individuo.
Alla fine ha vinto il desiderio che ancora sento forte in me, ovvero quello di toccare ogni singolo areale, conoscere ogni singolo varietale e tentare di incontrare tutti quei vignaioli e quelle vignaiole, tutti quei produttori e quelle produttrici capaci di insinuare in me il germe della curiosità e di arricchirmi professionalmente e umanamente. Dopo quasi 20 anni da quella scintilla che accese la miccia della passione enoica in me, mi sento ancora agli inizi e spero che sarà sempre così!
In questa strana epoca, in cui “tutto” sembra scemare verso una comunicazione, spesso, superficiale e vezzosa, la vigna e il confronto costante con chi il vino lo fa è l’unico appiglio per chi ama questo mondo in maniera viscerale e, al contempo, nutre profondo rispetto per ciò che si cela dietro ad ogni singola bottiglia.
Rischierò di sembrare retorico, ma è un rischio che corro volentieri se può servire a instillare anche una sola goccia di sincera passione in chi si sta approcciando a questo mondo ma anche e, soprattutto, in chi – a causa di una comunicazione fumosa e legata a mere dinamiche di popolarità e autocelebrazione – si sta disaffezionando al mondo dei social e dei blog e, per assurdo, questo accade anche a me che di questi strumenti ho fatto un megafono per poter arrivare a più persone di quante ne potessi raggiungere fisicamente.
Credo fortemente nella positività del web nel collegare individui uniti dagli stessi interessi, da passioni comuni e dalla ricerca di contenuti che difficilmente avrebbero potuto raggiungere con tale facilità prima dell’avvento della rete e dei social. Eppure, è bastato un attimo per creare una situazione in cui è davvero difficile sentirsi a proprio agio se non si è avvezzi alla banalità. Spesso mi giungono messaggi di lettori e produttori che mi parlano di gente che chiede compensi per pubblicare una foto con tanto di recensione – ovviamente – positiva su vini che assaggiano in maniera estemporanea con il solo scopo di guadagnare qualcosa ma senza il benché minimo senso critico e ancor meno onestà intellettuale. Lungi da me criticare si occupa di marketing – ho già avuto modo di dirlo e scriverlo più volte – in quanto compiere attività promozionali in maniera professionale è un lavoro che comprendo debba essere retribuito in quanto tale. E’ pur vero che il vino è un soggetto complesso e, spesso, le regole e i paradigmi della “pubblicità”, adattissimi ad altri settori non sono fruttiferi per cantine e produttori, arrivando persino a risultare controproducenti se non coordinati alle caratteristiche dell’azienda (dimensioni, categoria, target e “filosofia” produttiva). Per questo le attività di pr, di marketing e promozione dovrebbero essere gestite da agenzie e professionisti del settore che si occupano di questo e non di divulgazione indipendente. Il problema, infatti, subentra quando si pubblicano contenuti sotto le mentite spoglie di comunicatori indipendenti ma si sta facendo un’attività di promozione che rischia di fuorviare chi legge. Questo modus operandi, ormai sdoganato, rischia di creare un circolo vizioso in cui il vino verrà percepito dalle nuove generazioni alla stregua di un capo d’abbigliamento perché trattato come un oggetto, un qualsiasi prodotto commerciale pur vantando contenuti e valori, nella maggior parte dei casi, molti differenti, più profondi, radicati e identitari.
Nella mia vita, nonostante ciò che alcuni pensano e che altri vogliono indurre a pensare, ho imparato a non lasciarmi trasportare dagli eventi, a non lasciarmi ammaliare dai canti di sirene che hanno negli occhi il simbolo dell’€ (chi mi conosce sa che ho sempre potuto contare – com’è giusto che sia – solo sulle mie forze e non su una famiglia benestante alle spalle o su chissà quale eredità in termini crudelmente economici) e nel cuore numeri vuoti, scialbi, privi di valore reale. Ho preso decisioni valutate dall’esterno come difficili, sconvenienti, persino sciocche, perché “tanto gli altri lo fanno”, e sono consapevole che per molti di voi sia non sia plausibile mantenere questa etica vivendo solo di “questo” ma, dopo anni in cui ho dovuto fare anche altro, sono riuscito a trovare un equilibrio tale da sapere che non sarò mai “ricco” ma che potrò, con un tipo di sacrificio che in pochi comprenderanno dall’esterno, vivere di un lavoro che mi sono cucito addosso senza pesare sulle spalle dei produttori e senza compromettere la mia imparzialità attraverso dei meri do ut des pecuniari.
Sono anni che dedico tutto il mio tempo al vino e se lo faccio è perché non potrei farne a meno, quindi premi, riconoscimenti e classifiche per quanto possano aver rinvigorito il mio orgoglio, lasciano il tempo che trovano. Vale di più la stima di chi mi ha conosciuto davvero e di tecnici e produttori con i quali ho potuto condividere giornate di confronto in campo e fra vasche e botti ancor prima che davanti a calici dei loro vini; vale di più il messaggio di un lettore che si affida a me per un ragguaglio, una dritta o un semplice dialogo dentro e intorno al vino; vale di più la citazione di qualche mia riga in una tesi di laurea da parte di un/a futuro/a enologo/a su temi agronomici e scientifici poco dibattuti come la cisgenesi o su mie fisse quali la quercetina o il “rotundone“; vale di più la consapevolezza di aver fatto tutto con dedizione e rispetto, con la coscienza pulita di chi sa di aver donato tempo, energia e sentimento al mondo che mi ha, a sua volta, insegnato a vivere e ancora, oggi, continua a farlo, giorno dopo giorno, vigna dopo vigna, cantina dopo cantina, assaggio dopo assaggio. Il fatto che qualcuno non ci creda, non mi creda, che sia detrattore di un modo di vivere e raccontare il vino che non gli si confà ci sta e fa parte del gioco, non imporrò mai a nessuno ciò che ho fatto mio come fossi il detentore della ragione assoluta, anzi a ogni critica e ogni appunto, rispondo mettendomi nuovamente in discussione e cercando di evolvere il mio punto di vista e migliorare le dinamiche comunicative che possono portare, anche chi non ha modo di confrontarsi con me de visu in degustazioni, eventi, tavole rotonde o semplice incontri, comprendendo (spero) meglio ciò che faccio e come lo faccio, giusto o sbagliato che sia.
Nonostante continui a studiare e ad assaggiare tanto, per affinare le mie capacità di degustatore, sono sempre più convinto che che la forza di un viaggio condiviso, dalla vigna al bicchiere, rappresenti uno stimolo fondamentale per chi comunica il vino, ancor prima della mera descrizione organolettiche di ciò che troviamo in bottiglia. Da quando ho iniziato ad approfondire gli studi di agronomia, da quando ho cominciato ad apprezzare la vite per ciò che è nella sua essenza non vivo più intensamente solo i miei viaggi per vigne e cantine ma anche gli assaggi sono divenuti più completi, più impattanti perché la percezione del vino muta col mutare della nostra conoscenza. Eppure, più viaggio, più incontro i vignaioli e i lori vigneti più mi rendo conto di aver ancora tanto da imparare, da scoprire e, soprattutto, da vivere! Per questo continuerò a interpretare il vino così, come ho sempre fatto. In fondo è proprio la vite a darci l’esempio: dalla caparbietà di una barbatella impiantata nell’annata “storta” che vuole crescere a tutti i costi alla vite centenaria franca di piede che penetra gli strati del tempo con il suo profondo apparato radicale.
Non mi resta che sperare che in molti possano trovare tempo e modo di dedicarsi al vino con la stessa passione e la stessa forza d’animo con le quali io mi dedico a tutto questo ogni giorno perché non c’è nulla di più bello.
F.S.R.
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