Nel mio girovagar enoico vesto spesso i panni del viaggiatore solitario, ma, a volte, mi capita la fortuna di disporre di un Virgilio, un Cicerone, una guida che possa rappresentare un valore aggiunto ai miei viaggi. Ci sono volte, poi, in cui tale guida si fa compagno di viaggio e questo è il caso del mio ultimo viaggio con l’enologo
Emiliano Falsini attraverso alcune delle realtà con le quali collabora da anni.
Tra le tappe di questo recentissimo viaggio mi sento di iniziare dall’ultima, in quanto quella della quale serbo in me ancora fresche le emozioni.
Siamo
a Chiusi nelle terra degli Etruschi, dove nasce
Colle Santa Mustiola, realtà attiva come azienda vitivinicola sin dai primi del ‘900, quando il nonno dell’attuale proprietario
Fabio Cenni produceva vino da commercializzare poi presso i propri magazzini a Milano. Conosco Fabio e i suoi vini da tempo, ma non avevo mai avuto modo di dedicarmi ad una così approfondita e completa visita della sua cantina e sin dal principio ho capito che quel giorno sarebbe stato diverso, unico!
Sotto un cielo plumbeo, ma educato nel elargire solo qualche goccia di pioggia durante i pochi passi che ci portano dall’auto all’ingresso della casa in cui vivono Fabio e Monica, scorgo le vigne in cui nascono i vini di Colle Santa Mustiola.
Solitamente, indipendentemente dalle condizioni meteo chiedo di fare una passeggiata in vigna, ma stavolta la passeggiata l’ho fatta da seduto, perché sono bastati pochi istanti per accedere a quell’infinita biblioteca mnemonico-culturale di cui Fabio Cenni dispone.
Ascoltarlo parlare della comunicazione “inter-pianta” e del suo approccio ad una viticoltura rispettosa e concreta, che esula da dinamiche pseudo-filosofiche, è piacere puro per le mie orecchie e la mia spugnosa mente curiosa.
Dopo aver affrontato una miriade di interessantissimi temi storici e agronomici in poco più di 30 minuti, ho modo di conoscere la storia dell’azienda che Fabio prende in mano negli anni ’80, iniziando un accurato lavoro sui cloni di Sangiovese già presenti in vigna e la ricerca di nuovi, finalizzato alla produzione di vini capaci di esprimere in maniera fedele il territorio e di manifestare godere di grande longevità. E’ solo nel 1992 che avviene il primo imbottigliamento di Poggio ai Chiari (il nome deriva dai “chiari”, gli specchi d’acqua su cui i vigneti dell’azienda si affacciano).
Attualmente i vigneti hanno dai 15 ai 30 anni con un patrimonio genetico di
28 cloni di Sangiovese, di cui 5 pre-
filossera.
Nei 5ha di proprietà, ciò che mi ha colpito di più, non è stata tanto la densità di 10.000 ceppi per ettaro, bensì le rese che definire molto basse sarebbe un eufemismo, ovvero rese di 35/40ql per ettaro.
L’amore di Fabio per il Sangiovese si evince dalla grande attenzione in vigna, nella quale ha letteralmente abolito i diserbanti e ogni molecola che possa entrare nel circolo linfatico, mentre adotta concimazioni naturali e le fermentazioni, compresa quella malolattica, sono rigorosamente spontanee. Le macerazioni per i rossi sono sempre molto lunghe, nell’ordine dei 30/40 giorni. L’utilizzo del legno è accorto e non invasivo, in un perfetto bilanciamento fra botti grandi e piccole usate.
Un grande vino nasce in vigna, lo sappiamo, ma questo assunto vale ancor di più per il Sangiovese che può essere allevato in varie parti d’Italia e del mondo, più o meno forzosamente, ma solo in alcuni contesti pedoclimatici può arrivare ad esprimersi agli apici delle sue potenzialità.
Fabio cenni ha trovato proprio nei terreni pliocenici (fondali marini con depositi alluvionali in cui non è difficile imbattersi in conchiglie e gusci di ostriche fossili), nell’altitudine di oltre 300mslm e nel microclima che gode dell’influenza dei laghi di Chiusi e Trasimeno (che regalano elevate escursioni termiche notturne) il contesto ideale per allevare il suo prezioso Sangiovese.
Una vera e propria mission, quella di Colle Santa Mustiola, che affonda le radici nella storia e, in particolare, in quella etrusca, che Fabio Cenni vuole riallacciare in modo evidente e coerente alla qualità dei suoi vini ed alla filosofia di lavoro adottata, pregna di rispetto e consapevolezza territoriale, storica e culturale. Una storia testimoniata dalla suggestiva cantina sotterranea, una tomba etrusca, che si dipana in grotte e gallerie perfette per accogliere ed elevare i vini dell’azienda nelle migliori condizioni di igrometriche.
A Fabio poi, non potevo che chiedere un aneddoto legato alla sua vita di produttore e vignaiolo e mi hanno così colpito la semplicità ed al contempo la semplicità delle sue parole che vorrei riportarlo con le sue stesse parole:
“Alla fine degli anni ’80 ero a casa di amici di Montalcino e incontrai Giulio Gambelli che, senza sapere chi fossi e da dove venissi, versò il mio vino nel bicchiere, lo osservò, lo portò al naso e senza nemmeno assaggiarlo mi disse: “Ma tu a Chiusi dove sei verso il lago o verso il monte Cetona?” Ed io:”Eh… verso il lago” , “Vai tranquillo su quei terreni farai sempre dei grandi vini” Chapeaux!”
Onore all’indimenticato Giulio Gambelli, un vero pezzo di storia enologica italiana, ma anche un leggendario degustatore e questo episodio lo testimonia.
Dopo aver nominato un mostro sacro dell’enologia italiana e un degustatore leggendario, con la massima umiltà condivido le mie impressioni riguardo gli ultimi assaggi fatti a Colle Santa Mustiola.
Vigna Flavia 2011 – Toscana Sangiovese IGT: il Sangiovese in tutte le sue vitali sfaccettature di fiore e frutto, che a quella del legno preferisce la sua speziatura naturale. Un vino che parrebbe giovane per slancio fresco e dinamico e per la conseguente agilità di beva, eppure leggendo 2011 in etichetta è facile rendersi conto di quanto in questa cantina ed ancor più in queste vigne il tempo passi in maniera differente, rallenti come in uno slowmotion naturale e spontaneo, volto a permettere di scorgere ogni sfaccettatura di questo grande vitigno. L’eleganza della semplicità fuori dal tempo.
Poggio ai Chiari 2004-2009 – Toscana Sangiovese IGT: Fabio e Monica hanno organizzato per me una verticale di quelle che resteranno nitide nei miei ricordi enoici, organoletticamente ed emozionalmente parlando, vita natural durante. Premettendo che, a differenza di molte altre occasioni, questa verticale mi ha subito confermato la consapevolezza e l’onestà enoico-intellettuale di Fabio che non ha scelto di farmi degustare annate selezionate, bensì di prendere l’ultima annata prodotta e di andare a ritroso senza saltare una sola vendemmia. Questo mi ha permesso di fare un vero e proprio viaggio nel tempo percependo quanto una conduzione agronomica saggia e rispettosa e un approccio di cantina non interventista mettano in luce le peculiarità di ogni singola annata con grande sincerità e al contempo quanto l’interpretazione e l’esperienza di Fabio abbiano reso possibile una “eno-consecutio temporum” di grande coerenza e concordanza in termini di qualità e stile.
Tutte le annate hanno manifestato una grande longevità e profonda vocazione all’eleganza senza lesinare forza e piglio ma vorrei raccontarvene 3 in particolare.
Poggio ai Chiari 2009 – Un vino intenso, ancora percettibilmente agli albori della sua evoluzione potenziale eppure così complesso e completo nell’integrità degli aromi e nella pienezza di un sorso che vela ogni angolo del palato per poi distendersi in un allungo di grande profondità. Un finale saporito, più che sapido, capace di lasciare il segno del suo passaggio in ogni singola papilla gustativa.
Poggio ai Chiari 2006 – Sapete la differenza fra l’essere esile e l’essere fine? Assaggiate questo vino e lo capirete! Freschezza disarmante, dinamica e beva che non ti aspetti da un vino che al naso manifesta un’eleganza complessa e caleidoscopica. Il tannino è di egregia finezza e il sale che ogni sorso lascia in bocca è l’inerzia che rende davvero difficile smettere di assaggiare quest’annata. Di solito durante una verticale assaggio non più di due volte ogni vino, questo l’ho persino riversato!
Poggio ai Chiari 2004 – 2004? No, non ci credo! Prendo la bottiglia più volte per controllare l’annata, mi stropiccio gli occhi pensando di non aver letto bene! Non può essere così in forma, così in spinta… ancora! Invece è così, con grande charme quest’annata si fa compendio di tutto ciò che ho detto sino ad ora riguardo le potenzialità e le unicità del Sangiovese di questa terra e di questo vignaiolo, specie se parliamo di longevità.
Vino straordinariamente integro, che parla ancora in maniera giovane e spigliata del varietale ma senza commettere alcun errore, senza usare strani slang o abbreviazioni post-moderne. L’anacronismo che si fa contemporaneità, una sincronia che trascende il normale scorrere del tempo, al fine di allinearsi alla nostra percezione, alla coscienza e la consapevolezza di chi si pone di fronte ad un calice di vino senza preconcetti, con la solo voglia di essere stupito.
Non pago del “viaggio nel tempo”, durante un piacevolissimo pranzo all’insegna della convivialità e della serenità arriva una 2002 di Poggio ai Chiari… game, set and match!
Il termine suggestione, in questa cantina, assume connotazioni diverse a quelle del condizionamento psico-emotivo, in quanto si vive la suggestione e la si comprende senza essere fuorviati da essa. Un luogo in cui si fa vino, un luogo in cui si vive vino, un luogo di vino.
I ricordi ci portano indietro nel tempo, i sogni ci spingono a guardare avanti, verso il futuro, mentre vini come quelli di Fabio Cenni ci tolgono ogni riferimento temporale, trasportandoci, però, in uno e in un solo luogo lasciando un ricordo che ha il sapore di un sogno.
F.S.R.
#WineIsSharing
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