La lotta contro le gelate tardive tra suggestione e dura realtà

In Francia (e non solo), anche quest’anno, si corre ai ripari cercando di salvare il salvabile dalle gelate primaverili. Gelate che rischiano di compromettere il futuro raccolto in molti dei più noti areali vitivinicoli transalpini. Ecco quindi tornare ad invadere i social foto in cui scorgiamo fuochi accesi tra i filari, viti interamente ricoperte dal ghiaccio e grandi ventole svettare nei vigneti.

Per quanto riguarda le prime immagini, si tratta di stufette, “candele” o “falò” di fieno che vengono storicamente utilizzate per riscaldare l’aria e per creare vere e proprie cortine di fumo in grado di preservare i germogli dal congelamento e, quindi, dal successivo disseccamento; le seconde, invece, possono trarre in inganno in quando non sono da ricondurre all’effetto della gelata in sè, bensì al congelamento dell’acqua dell’irrigazione antibrina. Questo metodo necessita di un impianto sovrachioma che alcuni vignaioli (soprattutto in champagne) utilizzano sfruttando la duplice capacità che l’acqua ha, in quanto in primis cede calore nel congelare, mantenendo la temperatura dell’ambiente più elevata, e in secondo luogo ingloba all’interno di uno strato di ghiaccio che si rinnova continuamente le piante e loro germogli mantenendone la temperatura attorno allo 0. E’ molto utile (purché non ci sia molto vento) in quanto i danni ai germogli si dovrebbero manifestare in modo importante dai -4°C in giù; mentre le grandi ventole (le torri possono arrivare ad un’altezza di oltre 11m) sono turbine eoliche mobili o fisse (molto usate a Bordeaux), avviate da un termostato che scatta al raggiungimento dei parametri di temperatura impostati. Il principio è semplice: dotata di un grande ventola rotante e posizionata almeno 6/8m al di sopra delle viti, la macchina smuove l’aria restituendo l’aria calda presente in altezza verso il livello dei filari, espellendo l’aria fredda che si accumula in basso. Ogni ventola è in grado di “proteggere” una superficie di 4/6 ettari di vigneto. Ovviamente, anche in questo caso, la temperatura non deve scendere sotto ai -4°C. Questa soluzione è utilizzata anche in abbinamento all’accensione di “falò” ai bordi dei vigneti per unire alla convenzione termica l’effetto del fumo.

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Eppure, nonostante la doverosa solidarietà nei confronti dei vignerons francesi e l’indiscussa suggestione indotta da tali immagini, sono molte le domande che emergono da queste situazioni, sempre più frequenti:
Quanto costa attivarsi in questi termini per salvare i propri vigneti? Molto! Tanto da essere impiegate solo per i vigneti più importanti e a più alta redditività. In Italia sarebbero poche le zone a potersi permettere investimenti del genere. Di certo l’azione congiunta di più realtà della stessa “zona”, oltre alla suggestività del colpo d’occhio, enfatizza l’effetto di questa tipologia di intervento.
Zona in cui sono sempre più frequenti queste calamità (aumentate dai cambiamenti climatici e dalla viticoltura “moderna”) sono da considerarsi così vocate ad una viticoltura? Probabilmente non come un tempo e molti, da anni, disquisiscono riguardo la vocazione di territori in cui è sempre più complesso portare avanti una viticoltura sostenibile e di qualità, ma sta di fatto che la storicità, la notorietà e, ancor più importante, la marginalità che certe realtà vantano rappresentano fattori fondamentali per comprendere la volontà dei produttori di salvaguardare i propri vigneti “con ogni mezzo” a loro disposizione.
Quanto sono impattanti in termini di emissioni di CO2 – i primi – e di dispendio di acqua – le seconde – queste pratiche? Molto, specie se per i primi si usano “candele” di cera di paraffina piuttosto che braceri in cui vengono bruciati tralci secchi, legna o paglia. Esistono anche “candele” meno impattanti che implicano l’utilizzo di sola cera di origine naturale, ma anche in questo caso i costi sono proibitivi. Inoltre, questo metodo implica notevole manodopera per il posizionamento preventivo di numerose “stufette” e per l’accensione delle stesse.

E in Italia? La paura è molta e negli ultimi anni non sono mancati episodi che hanno portato ad una riduzione drastica della produzione (nell’aprile del 2017 la gelata tardiva tocco quasi tutte le regioni italiane) ma la sensazione è che la situazione sia molto più contenuta che altrove, nonostante gli inverni non sembrino arrivare più come dovrebbero e gli anticipi vegetativi siano sempre più frequenti. Ad essere più a rischio sono di certo i fondovalle e le zone più umide, meno lo sono gli appezzamenti in quota (anche se proprio l’anno scorso alcuni vigneti in collina hanno sofferto in molte zone d’Italia), anche se non sono mancati episodi che hanno contraddetto questa teoria. Ovviamente, esistono vitigni più “resistenti” (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Riesling renano, Montepulciano, Trebbiano toscano, Trebbiano spoletino, e non solo) in quanto tardivi nel germogliamento, ma l’idea che si possa impiantare un determinato varietale per ovviare alla possibilità di gelate tardive non rientra nella mentalità dei nostri produttori ed è comprensibile dato l’attaccamento ai varietali autoctoni. Inoltre, è palese che esistano anticipi e ritardi nel germogliamento e riduzioni o dilatazioni del ciclo vegetativo nella sua totalità che arrivano sino a 3 settimane tra zona e zona in cui è coltivato lo stesso varietale (a parità di clone e portainnesto). Per questo si pensa a soluzioni a monte, come a potature “tardive” (con prepotatura e rifinitura nel cordone) e a forme di allevamento più adatte a contrastare eventuali freddi inattesi. Anche la scelta del sistema di allevamento può essere determinante e se è vero che le forme “più alte”, come casarsa, cordone libero, Sylvoz e GDC, possono essere meno esposte alle gelate, probabilmente è un’accorta gestione del guyot ad aver evidenziato i risultati più interessanti, permettendo di salvaguardare le 4-5 gemme basali del capo a frutto in quanto, data la dominanza apicale propria della Vitis vinifera, queste germogliano in ritardo rispetto a quelle apicali, fino a 2 settimane. Non mancano realtà che decidono di adoperarsi con l’accensione di falò utilizzando principalmente presse o balle di fieno ai margini dei filari.

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“Falò” nei vigneti di Ornina nel Casentino.

In Umbria, inoltre, qualche anno fa è stata avviata la prima sperimentazione nazionale sul metodo che contempla l’utilizzo di grandi ventole. Quella montata a Montefalco è una grande elica retrattile, che quando non è in funzione si ripiega su stessa impattando pochissimo sul paesaggio vitivinicolo. L’azione della grande ventola, completamente automatizzata, sta dando risultati molto interessanti, specie se utilizzata in combinata con un “cannone spara-fumo” che sembra amplificarne gli effetti. Non mi è dato conoscere il costo della ventola, ma ragionando su un impianto a lungo termine, sempre pronto a partire, senza necessità di manodopera, e non provocando alcun tipo di impatto sull’ambiente, questa soluzione potrebbe essere presa in considerazione da altre realtà nel nostro paese nei prossimi anni.

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Ventola antibrina e cannone “spara-nebbia” di Arnaldo Caprai

Ciò che andrà valutata è la sostenibilità economica, visto che – in base alla superficie vitata aziendale – potrebbero servirne una ogni 6ha ca.
Riguardo all’utilizzo dell’irrigazione antibrina, in Italia, è molto più diffusa nella frutticoltura che nella viticoltura.
Che i cambiamenti climatici stiano portando alcune zone d’Italia e del mondo a dover ripensare il proprio approccio vitivinicolo è palese, ma la realtà è che molto è cambiato negli ultimi anni: tipologie e densità di impianti, sistemi di allevamento, gestione della parete fogliare, tipologie di trattamenti, induttori di resistenza, rese e obiettivi quantitativi e qualitativi dei vigneti ecc…
Tutti fattori che concorrono a delineare il quadro della viticoltura contemporanea e degli effetti dei cambiamenti climatici su di essa. La speranza è quella di poter continuare a cercare e a trovare con successo l’equilibrio che occorre per la produzione di vini che risentano il meno possibile di ciò che sta accadendo, pur rispettando le caratteristiche dell’annata. Purtroppo, però, per gelate e grandinate, pur avendo a disposizione un range di soluzioni in grado di limitare i danni, la natura e il fato hanno spesso la meglio. Questo rende il “mestiere” del vignaiolo arduo e incerto e per questo ogni volta che si posta una foto di suggestivi fuochi in vigna bisognerebbe ricordare quanto difficile sia, ogni annata, portare in cantina uve atte a produrre i vini che noi tutti beviamo e dei quali, qualcuno, critica il prezzo quando – parlando di vini di qualità prodotti in maniera accorta e rispettosa -, a mio parere, il prezzo dei vini italiani è sin troppo basso. E’ proprio per questa minore marginalità che per le nostre piccole e medie realtà è molto complesso gestire situazioni critiche come delle gelate tardive con ulteriori investimenti.

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Germogli dopo la gelata dell’aprile 2017. Fonte: georgofili.info

Non ci resta che incrociare le dita perché in queste notti la temperatura scenderà sotto lo 0 anche in Italia e i nostri produttori avranno poche armi a disposizione per combattere questo ennesima sfida con il cielo.

F.S.R.
#WineIsSharing

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