Carema – Viticoltura e vini dal valore inestimabile

Faccio seguito al mio articolo sul Canavese e le sue singole identità, parlandovi di uno dei micro-areali vitivinicoli più suggestivi e vocati di cui il nostro paese dispone: Carema.

vigneti carema

Salendo su per i ripidi pendii alle pendici del Monte Maletto, che dai 350m slsm di spingono sino ad oltre 700m, è impossibile non restare affascinati scorgendo a destra e a manca quei terrazzamenti scavati nella roccia, definiti con tratto sicuro da muretti a secco, eredità medievale ancora (purtroppo solo in parte) preservata per ospitare i soli 22ha di vigneto in denominazione. 

Un’opera ingegneristica dalla fatica, dalla difficoltà e dal costo immane (1ha di “pergole” ha un costo di oltre 70mila € di solo legno) quella che porta all’edificazione di ogni topia (o topiun), sorrette da pilastri in pietra e calce dalla forma tronco-conica chiamati pilùn che, oltre a rendere ancor più suggestivo il panorama vitivinicolo, da un lato hanno un effetto termoregolatore, immagazzinando calore di giorno e rilasciandolo di notte. e dall’altro offrono copertura fogliare ai grappoli proteggendoli dall’irradiamento diretto e dai venti freddi che scendono dal nord dalla valle. L’altezza delle pergole, inoltre, tiene a riparo i germogli dalle sempre più frequenti gelate tardive.

topia carema

Un’enclave, posta su terreni morenici trasportati dal fondovalle, ricchi di depositi detritici del ghiacciaio valdostano, in cui resistono ancora una base ampelografica storica formata dal Picotendro, il Pugnet (i Nebbioli locali) e dai varietali “gregari” Ner d’Ala (o Vernassa), Gamba Ruscia e Neretto (nei vari biotipi). 

vigneti carema pilun

Molte sono li citazioni dei vini di Carema sin dal 1500 ma, al di là dei suoi storici fasti (prima dell’arrivo della fillossera erano 350 gli ettari vitati che insistevano sul territorio e nel 1967, al conseguimento della DOC, erano già 10 volte meno), è lo stato dell’arte odierno della denominazione a dover destare l’interesse di addetti ai lavori e appassionati.

Sì, perché in questa manciata di ettari, negli ultimi anni, qualcosa si sta muovendo portando l’bi-polio vitivinicolo locale dalle 2 storiche realtà a un numero che, per quanto piccolo, rappresenta un segnale di positività e prospettiva per un areale che è da anni a rischio sussistenza.

Un rischio dovuto ai costi ingenti di gestione di una viticoltura a tutti gli effetti eroica, condotta per di più con attenzioni e rigori improntati su sostenibilità e rispetto, ma anche al frazionamento delle particelle di vigna (esistono realtà che hanno poco più di 1ha diviso in oltre 50 diverse parcelle) in mano a micro proprietari che ancora conferiscono o producono vini per l’autoconsumo, rendendo impossibile l’acquisto da parte dei “nuovi” produttori e difficile anche solo l’affitto. Parliamo di vigneti (come detto sopra) che se impiantati e strutturati nella loro forma tradizionale avrebbero un costo insostenibile per la maggior parte dei ragazzi che, oggi, sono tornati a voler far vigna e far vino in questa meravigliosa zona con il piglio di chi vuole cambiare le cose ma con la consapevolezza di chi sa che la sostenibilità di una realtà a Carema ha costi ed esigenze ben più importanti di ciò che avviene nella maggior parte dei vigneti d’Italia e del mondo. Per questo chiunque faccia vino a Carema è da considerarsi un viticoltore eroico.

Faccio queste premesse in quanto il focus di questo pezzo è il valore di Carema, della sua viticoltura e del vino ivi prodotto. Un valore intrinseco che viene finalmente consolidato in maniera “ampia” (proporzionalmente alle dimensioni della denominazione) grazie ai vini che sono sul mercato e che vi arriveranno a breve. Eppure, questo non basta! Non basta perché, calcolatrice alla mano, una bottiglia di Carema sotto ai 40€, per produttori che hanno poco più di 1ha, col monte ore di lavoro totalmente manuale da fare,  le rese dei vigneti vecchi (e quelle che verranno comunque “richieste” dall’uomo e dalla terra ai pochi nuovi impianti orientati alla qualità) e con i costi di gestione e produzione generali, rende difficile, se non impossibile, quel tipo di sostenibilità aziendale che, nel vino (a mio modo di vedere), non deve puntare al solo sostentamento del produttore, bensì alla possibilità di poter reinvestire annualmente parte degli introiti in vigna e cantina al fine di migliorare condizioni e qualità produttive in maniera ponderata. 

Cifra che potrebbe risultare ingente per qualcuno, in quanto si tende ancora a commettere l’insensato errore di comparare vini di natura,  identità e “numeri” totalmente differenti a vini pari varietale (che poi, geneticamente parlando, così non è) con frasi del tipo “a quel prezzo compro già un ottimo Barolo”, senza pensare che quando stappo una bottiglia di Carema sto stappando qualcosa di più unico che raro e sto assaggiando un territorio straordinario in cui nascono vini in cui, oggi, ancor più di ieri, nascono e possono nascere vini dall’eleganza estrema. Eleganza che grazie ai cambiamenti climatici, qui, non prescinde la struttura e la forza espressiva, con un grado di completezza che valorizza al meglio una viticoltura tradizionale abbinata alle consapevolezze tecniche contemporanee in campo e cantina. 

vini cantine carema

A testimonianza della qualità raggiunta dai vini di Carema ci sono gli assaggi che è possibile inanellare oggi, tra i quali annovero gli ultimi che ho avuto modo di effettuare in loco durante il tour organizzato dai giovani vignaioli canavesani.

Cantine Produttori Nebbiolo di Carema: è la storia del Carema ed è grazie a questa realtà che molti dei vigneti storici resistono e persistono sul territorio. Con 110 soci di cui 75 conferitori (che allevano micro parcelle come “secondo lavoro”) la mission di questa cooperativa è quella di portare in bottiglia, di annata in annata, espressioni enoiche tanto tradizionali quanto al passo con le evoluzioni tecniche e tecnologiche dell’enologia contemporanea del vino di Carema nella versione classica (almeno 24 mesi di cui 12 in legno) e Riserva (almeno 36 mesi di cui 12 in legno). Il Carema Riserva 2017 mostra forza e maturità che rispecchiano le potenzialità espositive della conca di Carema, ancor più in un’annata calda e asciutta. Un vino potente e profondo, dal tannino ben levigato.

Ferrando: è stata la prima realtà privata a voler dimostrare che fare vino per una realtà che può contare solo sui propri mezzi è difficile ma non impossibile. Vini che per anni sono stati il riferimento per la denominazione e che, ancora oggi, si mostrano fedeli all’identità territoriale, come manifestato nitidamente dal Carema Doc 2015 che ho avuto modo di degustare di recente. Un vino ancora sul frutto, con fiore e spezia a rendere elegante e intrigante il preludio al sorso forte, dall’incedere sicuro. Fine la trama tannica e giustamente ematico il finale.

Monte Maletto: il giovane Gian Marco, con un passato come Sommelier in alcuni importanti stellati, non ci ha messo molto in termini di tempo ma tanto in termini di fatica, a calarsi nei panni del vignaiolo virtuoso e appassionato. E’ lui il cuore pulsante dei giovani vignaioli di Carema e lo dimostrano i suoi vini, coraggiosi dalla vigna al bicchiere, con la fondamentale visione “open mind” di chi ha assaggiato tanto e vuole guardare avanti senza ledere il legame con la tradizionale. Il suo Carema Doc la Costa 2018 è una spremuta di territorio con l’ausilio del grappolo intero a dare carattere e personalità ad un vino integro, concreto sfaccettato ma senza spigoli. Fresco e dinamico, fitto nei tannini e dal finale saporito e minerale. Solo 300 bottiglie per un vino che avrebbe meritato di essere assaggiato da molti.

Sorpasso: Martina e Vittorio sono autoctoni e dal 2012 hanno deciso di avviare la loro piccola realtà a Carema prendendo il primo fazzoletto di vigna in affitto; nel 2014 la prima annata. Vittorio è un giovane e intraprendente enologo forte di esperienze in altre realtà che lo hanno aiutato e lo aiutano tutt’ora a vedere il vino come un area aperta e non come un “territorio delimitato da muretti a secco che tracciano confini chiusi”. Ecco perché “vigne nuove e vigne vecchie” non fanno a cazzotti, bensì collaborano alla realizzazione di un progetto di prospettiva e convergono nella produzione di vini di grande equilibrio, capaci di abbinare il sapore di sole e roccia tanto caro all’indimenticato Mario Soldati a pulizia olfattiva e nitidezza gustativa che solo chi ha il totale controllo può portare nel calice. Il Carema Doc 2016 è intenso nell’esposizione di frutto con rimandi balsamici che conferiscono freschezza e anticipano un sorso ampio e materico, dal tannino garbato e la chiusura umami, tra terra, ferro e sale. Vittorio è anche il presidente dell’associazione dei giovani vignaioli canavesani, che a lui deve molto.

Muraje: piccola realtà (citata sopra in merito alla parcellizzazione estrema) che finalmente può fregiarsi della DOC, dopo aver vinificato per qualche anno altrove, con il Sumìe 2018. Vino straordinario che più di ogni altro ha confermato la grandezza di questo territorio e l’unicità della sua identità. Un’eleganza estrema nella gestione della maturità del frutto e nella freschezza del fiore, quel quid di austerità iniziale che lascia spazio a spezia nera e note minerali con qualche giro di calice, dove continua a mostrarsi cangiante ma con estremo garbo, senza urlare, senza roboanti evoluzioni. Un sorso teso, vibrante, dal tannino cesellato e una chiusura didattica per chi conosce i Nebbioli di Carema. Un piglio artigiano dall’equilibrio impeccabile in ogni sua componente. Grandissimo vino!

Milanesio Achille: la vigna ha sempre fatto parte della sua vita, il vino a casa sua lo si è sempre fatto ma solo da poche vendemmie Achille ha deciso di produrne oltre al consumo interno alla sua famiglia. Una filosofia volta totalmente alla valorizzazione dell’identità di un terroir unico cercando di condurre la componente agronomica e le vinificazioni con profondo rispetto, acuta sensibilità e fervente passione. Nei suoi vini questo si sente, specie nel suo Carema Riserva 2017 in cui maturità di frutto, orientata al raggiungimento di una buona struttura senza ledere particolarmente il corredo acido del sorso, incontra tratti balsamici e lieve speziatura. Il sorso, come anticipato, ha tonicità e nerbo, con un giusto grip tannico e buona persistenza.

Chiussuma: Alessandra, Rudy e Matteo sono i titolari dell’azienda Chiussuma. Neanche a dirlo, un paio di ettari e poco più. Tre giovani uniti dalla passione della vigna e dalla volontà di preservare la viticoltura di Carema con cura e lungimiranza. Il Carema Doc 2016 è un vino di grande equilibrio maturazionale, senza alcun segno di cedimento, ancora fresco al naso e integro al sorso, con buona dinamica di beva, tannino in fase di raffinazione e finale lungamente saporito. Una realtà da seguire con attenzione in quanto in continuo divenire nell’interpretazione delle uve di questo territorio.

Poi c’è “Piole”, una storia che oltre a prefazione e incipit ha già in mano i primi capitoli ma che merita di essere attesa, per poter approfondire e comprendere quali saranno le potenzialità di un’altra piccola realtà che si aggiunge al manipolo di cantine che stanno salvando Carema dall’interno.

carema vini cantine

La qualità media di questi e degli altri assaggi fatti durante il mio ultimo tour in loco (seppur “calcolata” su un ristretto novero di vini prodotti), se paragonata agli assaggi fatti negli anni, è palesemente in crescita come lo sono le nuove etichette che fanno pensare alla concretizzazione prossima di una denominazione che, per quanto microscopica, potrà dire la sua non sono come “nicchia” o “chicca enoica” piemontese, bensì come fonte di grandissimi vini. Vini che meritano di essere trattati come tali perché in grado di stupire già solo per la loro identità organolettica, senza necessità di addurre tutti i valori aggiunti di cui la denominazione è intrisa. 

Di pochi areali mi spingerei a parlare in maniera così accanita del fattore meramente economico, ma ciò che penso è che Carema possa e debba lavorare ancora di più sulla consapevolezza nei propri “mezzi” e sul posizionamento (nonostante i prezzi siano già, in alcuni casi, importanti), valorizzando la propria unicità e la qualità dei propri vini (non è solo una questione meramente pecuniaria ma di sostenibilità e di valorizzazione della percezione di territorio e vini straordinari – leggi qui) perché è solo così che si preserverà il suo contesto vitivinicolo e solo così potremo godere ancora di vini che non accenneranno a diminuire di qualità, grazie a questo manipolo di produttori virtuosi e illuminati che hanno gettato le basi per costruire qualcosa di ancor più prezioso.

F.S.R.

#WineIsSharing

Lascia un commento

Blog at WordPress.com.

Up ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: