Avevo lasciato questo territorio in occasione dei festeggiamenti dei suoi 20 anni di Docg e ritorno per chiudere l’anno del Cortese (un anno divenuto un biennio causa Covid) che non poteva che vederlo come fulcro indiscusso e riferimento per la coltivazione e la valorizzazione di questo varietale. Sì, parlo dell’areale del Gavi Docg. Un territorio dall’indiscussa vocazione vitivinicola, definito il cuore bianchista di un Piemonte che, nonostante la sua trazione rossista, sta dimostrando che – là dove le migliori parcelle vengono assegnate ai vitigni a bacca bianca – può dire la sua anche attraverso varietali tipici come il Cortese, l’Arneis, il Timorasso e l’Erbaluce.
Una denominazione relativamente giovane (doc dal 1974 e Docg dal 1998) ma che ha origini antiche, come testimonia un documento conservato nell’Archivio di Stato di Genova, datato 3 giugno 972 in cui si parla dell’affitto da parte del vescovo di Genova a due cittadini gaviesi di vigne in località Mariana.
L’areale della Docg comprende i territori di 11 comuni della Provincia di Alessandria: Bosio, Capriata d’Orba, Carrosio, Francavilla Bisio, Gavi, Novi Ligure, Parodi Ligure, Pasturana, San Cristoforo, Serravalle Scrivia, Tassarolo. Con la Docg è ammessa anche la menzione del comune di provenienza (es.: Gavi del comune di Gavi).
La DOCG “Gavi” o “Cortese di Gavi” è riferita a 4 tipologie di vino bianco – Fermo, Frizzante, Spumante e Riserva.
Un territorio vasto ma che gode in ogni sua sottozona di un pedoclima molto favorevole alla viticoltura e in particolare a quella del Cortese, grazie all’influsso del mare, alla buona insolazione dei vigneti, alle discrete pendenze e, soprattutto, alla forte escursione termica giorno notte prevendemmiale. L’altitudine è dai 150m ai 450m slm ma alcuni produttori stanno testando altimetrie più importanti come risposta al global warming.
Nei ca. 1500ha vitati quasi totalmente a Cortese troviamo una grande sfaccettatura pedologica in quanto è proprio in quest’area che si incontrano la pianura e la montagna, i terreni alluvionali e gli affioramenti di epoche remote. Una macro “zonazione” pedologica potrebbe essere la seguente:
Nord: di Gavi abbiano colline più dolci e i vigneti affondano le proprie radici in terre rosse originate dalla ferrettizzazione delle ghiaie miste ad argilla degli antichi depositi alluvionali. Notevole la presenza di bosco.
Centro: la fascia di mezzo, tra Serravalle Scrivia a Gavi e San Cristoforo, gode di terreni con matrice formata da marne e arenarie. Parliamo dei terreni di Monterotondo e dei vigneti alle falde della rigogliosa foresta del monte Mesima, bacino di grande biodiversità.
Sud: i vigneti si fanno più irti e scoscesi e i terreni sono composti da marne argillose bianche con grande presenza di fossili a testimoniarne l’origine. Siamo nel “bacino terziario del Piemonte” e le formazioni geologiche più importanti, in quanto a vocazione alla viticoltura e in particolare all’allevamento del Cortese, sono le “Marne Serravalliane”.
Un’areale che esula dalla monocoltura e mostra un’integrità rara, in cui ogni produttore è stimolato a sentirsi custode di una biodiversità da preservare come patrimonio utile alla rivoluzione sostenibile che da qualche anno si può osservare in loco e sancita dalla sottoscrizione della carta del vino responsabile da parte di 100 produttori.
A supporto dei produttori anche la costante attività tecnica del Consorzio Tutela del Gavi che porta avanti con costanza e coerenza progetti agronomici ed enologici: dalla selezione clonale alle carte tematiche dell’area (assolazione, pendenza, altimetria ed esposizione), dalla regolamentazione degli atomizzatori allo studio sui lieviti autoctoni. Lo scopo è quello di aumentare la competenza e la consapevolezza tecnico agronomica dei vignaioli nel rispetto della sostenibilità ambientale e della biodiversità e di aggiornare costantemente la conoscenza tecnica enologica senza dimenticare le linee guida della tradizione.
Un’attitudine in crescita quella relativa alla sostenibilità che ho avuto modo di apprezzare e confermare anche durante il mio ultimo tour di territorio, in cui ho visitato realtà differenti unite da un approccio sempre più marcatamente rispettoso con una forte crescita di aziende biologiche o in conversione, nonché biodinamiche. Importante anche lo stimolo che la cantina cooperativa sta dando ai suoi soci, retribuendo maggiormente chi coltiva e conferisce uve bio alle quali è dedicata una produzione a sé stante.
Parlando di peculiarità organolettiche il Gavi vive, oggi più che mai, un’occasione da non lasciarsi sfuggire in quanto dotato di tutte quelle specifiche che su più fronti vengono ricercate e “richieste” ai vini bianchi: freschezza, dinamica, sapidità, con buon equilibrio fra struttura e acidità e predisposizione alla longevità. Doti che non possono e non devono prescindere identità varietale e territoriale e la versatilità in termini di abbinamento.
Ecco perché è fondamentale distinguere i Gavi dei produttori che stanno cercando di trarre il meglio dal proprio territorio e dal vitigno principe di questa zona da chi preferisce produrre vini più “ruffiani” in cui l’acidità è volutamente più bassa e il residuo zuccherino smorza notevolmente la linearità e la sapidità innate di questo vino.
Interessanti le accorte sperimentazioni in termini di macerazione (sia prefermentativa che fermentativa) volte a trarre dalle bucce del Cortese flavonoidi, tannini e precursori aromatici che se ben gestite (al riparo da ossidazioni e da estremizzazioni) possono dare origine a basi utili sia ad esprimere vini che rispondano alla particolare nicchia dei bianchi macerati che – io ne sono fautore da anni – all’utilizzo come taglio migliorativo delle masse vinificate in bianco. Un’ulteriore cambio di marcia, capace di agevolare la contemporaneità dei vini in relazione ai cambiamenti climatici in atto, è l’attuazione di una vendemmia scalare che permetta di avere la disponibilità di masse con dati analitici differenti in termini di acidità e struttura ma complementari ai fini di un equilibrio proteso alla freschezza senza perdere la componente matura atta a conferire al vino il giusto apporto di materia e profumi. Vendemmie scalari che possono essere agevolate dalla produzione di Metodo Classico, che può rappresentare ben più di una “scusa” per entrare in vigna con qualche settimana di anticipo, in quanto le poche espressioni prodotte che ho avuto modo di assaggiare mostrano una buona qualità media.
Fondamentale, ai fini della valorizzazione del Gavi e del suo intero territorio d’appartenenza, è e sarà la produzione di selezioni siano esse relative a particolari sottozone, a singoli vigneti o, addirittura, a “clos” o micro-particelle all’interno dello stesso “cru”. E’ solo così che – al netto di un lavoro consapevole in vigna e in cantina e di un “coraggioso” posizionamento – si possono e si potranno evidenziare ancor più nitidamente le peculiarità sfaccettate di un areale in cui ogni produttore può mostrare la propria singolarità con personalità, senza perdere quella che è la matrice identitaria comune.
Ecco perché confido che sia ormai lontana l’era delle forzature enologiche in cui si chiedeva al Cortese di essere qualcosa di diverso da ciò che voleva e vuole essere.
Il Cortese è un vitigno neutro e come tale spaventa molti produttori che vorrebbero dotazioni olfattive più prorompenti, ma la maggior accuratezza nella gestione dei vigneti e un approccio enologico sottratto ma tecnicamente preciso stanno evidenziando quanto il, seppur piccolo, corredo aromatico varietale possa essere spontaneamente fine ed elegante con frutto, fiore e mineralità distintivi. Lo stesso vale per la componente gustativa che deve necessariamente privilegiare freschezza, agilità, sapidità unite a una struttura ponderata (quindi non vini esili ma equilibrati), senza sfociare in interpretazioni caricaturali in cui le dolcezze tendano a omologare il sorso. Nerbo acido che va preservato anche come veicolo di longenvità.
Parliamoci chiaro, probabilmente il 99,9% delle bottiglie di Gavi immesse nel mercato verranno consumate di lì a pochi mesi o comunque entro 1 o 2 anni dalla vendita (l’ideale sarebbe vederle uscire tutte almeno dopo un anno, ma le ovvie dinamiche commerciali non lo permettono, se non nelle selezioni e nelle riserve) ma è fondamentale – a mio parere – per elevare la reputazione e la percezione di qualità di un vino come questo essere consapevoli della sua longevità potenziale e delle sue capacità evolutive.
In linea di massima lo stato dell’arte della denominazione Gavi Docg mi fa ben sperare in quanto a distanza di pochi anni ho potuto constatare ulteriori e costanti passi in avanti in termini di consapevolezza. Le chiavi di volta del futuro, però, saranno il livellamento del posizionamento verso l’alto grazie alla produzione di selezioni che abbiano il coraggio di uscire dal limbo in cui si trova gran parte del Gavi di qualità prodotto, ovvero quello dei vini dall’ottimo rapporto “qualità-prezzo” (sapete come la penso a riguardo…), unito al cambio generazionale in atto. Da non sottovalutare, anche, l’enoturismo che ha visto investire molte cantine nell’accoglienza con ottime prospettive di crescita.
In attesa di tornare sul territorio non posso che invitarvi a visitare l’areale per farvi un’idea della situazione attuale di un areale tanto sottovalutato quanto in grado di stupire.
F.S.R.
#WineIsSharing
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