Torno a trovare Giacomo Satta per riprendere da dove l’avevo lasciato qualche mese fa e addentrarmi nella sfida che in principio fu di suo padre ma che, oggi, è di sua piena competenza: il Sangiovese.
Sangiovese che a casa Satta si chiama Cavaliere dal 1990 in cui esce la sua prima annata. Un Cavaliere che non cavalca le mode, bensì il tempo con piglio decisione e fare sicuro. A dimostrazione di ciò ho avuto il piacere di fare un viaggio di calice in calice nella storia di questo vino considerato da molti controcorrente, in un’area in cui le varietà internazionali riscuotono da anni grande successo.

La verticale contemplava “anteprima” Cavaliere 2020; Cavaliere 2019; Cavaliere 2018; Cavaliere 2016; Cavaliere 2015; Cavaliere 2013; Cavaliere 2011; Cavaliere 2010; Cavaliere 2008; Cavaliere 2003; Cavaliere 1999.
Una degustazione che conferma quanto il Sangiovese possa farsi nitido e sincero traduttore di territori diversi, laddove a interpretarlo siano mani e menti rispettose e garbate ma, soprattutto, capaci di comprenderne le attitudini in quel particolare contesto pedoclimatico. Sì, perché sarebbe inutile e controproducente chiedere a questo Sangiovese di anelare ad essere ciò che non è, non può e non deve essere, ovvero un mero scimmiottamento di vini omologhi nel varietale ma nell’identità territoriale. Mi sono preso del tempo per scrivere di ogni annata assaggiata ma una cosa ve la posso già anticipare senza alcuna remora: il Cavaliere è una scommessa riuscita e il giovane “James” sta portando avanti la sfida di suo padre mettendoci del suo con la sensibilità interpretativa di chi assaggia tanto e ha parametri di raffronto non limitati o stereotipati, bensì in continua evoluzione. Andando a ritroso annate più che convincenti ci sono state ma me ne torno alla base convinto che il “nuovo corso” sia ancor più teso a massimizzare quello che è il potenziale espressivo di un Sangiovese a Bolgheri con connotazioni che sorprendono per freschezza di frutto, nerbo, profondità e persistenza saporita.
Condivido con voi le mie impressioni su ciascuna annata degustata:
“Anteprima” Cavaliere Toscana Igt 2020: il futuro è già qui! Il Sangiovese secondo Giacomo Satta, con una ponderata e sapiente gestione di una parte di vinificazione a grappolo intero, ergo con raspo (30%), come strumento per dare maggior apertura di frutto e più slancio, profondità e sapore alla sorso. Si farà… e si farà molto bene!
Cavaliere Toscana Igt 2019: il vino che, a mio parere, funge da spartiacque tra passato e futuro del Sangiovese di casa Satta, non tanto per chissà quale netto stacco con le interpretazioni precedenti ma piuttosto per la maggior disponibilità di un vino che punterà sempre di più a quella che per molti è stata, sin troppo a lungo, una chimera, ovvero una spontanea combinazione tra eleganza e agilità di beva. Grande prospettiva evolutiva.
Cavaliere Toscana Igt 2018: annata divisiva la 2018, nella quale non è difficile imbattersi in una rara dicotomia tra vini troppo diluiti o vini con accenni di “cottura”. L’equilibrio trovato dal Cavaliere è apprezzabile. Frutto giustamente maturo, speziato e balsamico. Il sorso ha buona progressione, con tannini definiti e chiusura tra terra e sale.
Cavaliere Toscana Igt 2016: annata di grande equilibrio con frutto ancora fresco, fiore, spezia e agrume in grande armonia. Sorso di buona struttura e grande slancio. Tannini tonici e finale ematico.
Cavaliere Toscana Igt 2015: frutto più maturo e balsamicità spiccata fanno da preludio al sorso ampio e succoso. Tannini soft e finale lungo e saporito.
Cavaliere Toscana Igt 2013: l’annata che ho preferito per tenuta, tonicità e profondità di sorso. Frutto ancora percettibilmente fresco, nessun accenno ossidativo, buona materia, notevole agilità e, soprattutto, grande eleganza di fondo. Tannini cesellati dalla vigna, dalla mano e dal tempo. Lungo e saporito il finale.
Cavaliere Toscana Igt 2011: giusta evoluzione per un vino ancora nel pieno delle sue forze, in grado di esprimere un frutto maturo, reso intrigante da speziatura, sentori di torrefazione e sottobosco. Buona struttura, dinamica ritmata e tannini soft.
Cavaliere Toscana Igt 2010: fiera e generosa al naso, ma ancora in trazione al sorso. Vino che ha saputo gestirsi nel tempo senza cedere ad esso. Buona integrità di sorso e notevole profondità. Buon grip tannico e chiusura tra ferro e sale.
Cavaliere Toscana Igt 2008: tratti fumé avvolgono il frutto giustamente maturo. Il sorso vanta un equilibrio raro fra struttura e acidità. Texture tannica ben delineata e finale ematico. Un Sangiovese di classe.
Cavaliere Toscana Igt 2003: l’annata non era delle migliori ma Bolgheri si dimostra un buon contesto in cui affrontare annate calde e secche, ancor più per il Sangiovese che trova equilibri inaspettati. E’ proprio quando ti aspetti cottura e stanchezza che questo vino quasi vent’enne dimostra tenuta e tonicità. Un vino saporito e lungo.
Cavaliere Toscana Igt 1999: un’annata che più delle altre fa comprendere il passaggio di consegne avvenuto di recente e che anche nel Sangiovese sta portando a interpretazioni più in linea con le esigenze dei palati odierni o, almeno, di quelli più selettivi. Eppure, un vino che mostra un aspetto non trascurabile dei vini “che furono” a quei tempi, ovvero l’ottima capacità evolutiva. Prugna, anice stellato, polvere di caffè, cioccolato e arancia candita. Buona materia, avvolgente e ancora di buon grip tannico. Finale spiccatamente umami.

Una panoramica di quello che può essere definito senza tema di smentita il Sangiovese di Bolgheri: ciò che per qualcuno può sembrare un ossimoro per me è semplicemente una delle tante anime del Sangiovese. Un’espressione di territorio che non anela ad essere null’altro che sé stessa, scevra di meri scimmiottamenti di altri “concept enoici” e che ha dalla sua una capacità di sorprendere propria di pochi.
Il Sangiovese, più di qualsiasi altri varietale tipico italico, ci permette di sondare di areale in areale, di vigna in vigna, di interpretazione in interpretazione differenti identità e questo non può che essere un valore aggiunto, un plus per chi vuole comprenderne il potenziale e l’effettiva plasticità espressiva a prescindere dagli stereotipi e dai pregiudizi. Michele Satta prima e suo figlio Giacomo poi hanno contribuito e contribuiranno a mostrare e dimostrare quanto questo straordinario varietale possa farsi, come accennato all’inizio di questo pezzo, traduttore fedele e sincero anche del territorio di Bolgheri, senza lesinare qualità ed eleganza. Il mio consiglio è di seguirne le evoluzioni, in quanto il “nuovo corso” sembra aver intrapreso una strada in grado di raggiungere picchi probabilmente mai raggiunti con questo vitigno in questo territorio.
F.S.R.
#WineIsSharing
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