Focus su Brettanomyces e lieviti indigeni con Simona Campolongo “la guru del Brett””

In molti tramite questo wine blog e i miei profili social mi hanno chiesto, negli ultimi anni, approfondimenti riguardo i difetti del vino e in particolare TCA/TBA e Brett (alias “Il Brettanomyces). Come fatto per TCA e TBA anche nel caso del Brett ho deciso di avvalermi dell’aiuto di una professionista del settore con la quale ho avuto modo di sviluppare un’intervista mirata a chiarire le dinamiche relative a questo temutissimo lievito allacciandoci, in seconda battuta, a un altro tema “caldo” dell’enologia contemporanea che la vede altrettanto coinvolta: lieviti autoctoni e lievi selezionati.
brett lieviti autoctoni
La persona che ho scelto di intervistare in merito alle due tematiche “Brettanomyces” e “Lieviti autoctoni e selezionati” è Simona Campolongo, calabrese di origine, laureata a Torino in biotecnologie industriali, con la passione per la ricerca applicata.
 
Lascio, dunque, la parola a Simona:
 
Dopo la laurea ho iniziato un dottorato in Scienze Agroalimentari studiando il famoso e temibile lievito Brettanomyces in tutti i suoi aspetti negativi, sono diventata ormai la “guru del Brett”. Nel primo anno di dottorato, in Italia, ho studiato la sua presenza in diversi vini e le differenze tra le varie metodiche per la sua rilevazione mentre nel periodo all’estero in Danimarca ho studiato la sua fisiologia e la sua risposta a vari stress tramite una noiosissima tecnica di microscopia. Subito dopo la fine del dottorato ho vinto una borsa di studio per lavorare presso l’AWRI di Adelaide, un rinomato centro di ricerca mondiale nel campo dell’enologia e della viticoltura. 
Insieme ai miei soci Fabrizio Torchio (enologo) e Chiara Pagliarani (biotecnologa agraria, esperta di fisiologia molecolare della vite) ho fondato Grape, realtà nata come spin-off dell’Università nel 2011, con lo scopo di offrire ai produttori vitivinicoli una serie di servizi avanzati.

– Quali sono i vostri principali progetti?
Abbiamo diversi progetti in campo, il core business in tutti questi anni si è incentrato sullo studio e la selezione di lieviti autoctoni, un servizio che al momento della costituzione non era stato previsto di offrire alle cantine, ma che su richiesta di quest’ultime è stato sviluppato ed è adesso il progetto di punta.
 
– Cos’è il Brettanomyces?
Il Brettanomyces bruxellensis è un lievito contaminante che conferisce cattivi odori al vino,  e ne causa notevoli deprezzamenti. 
Il lievito è difatti la causa di danni stimati per milioni di dollari in tutto il mondo e può essere presenti sia nella forma “perfetta” Dekkera, in grado di produrre spore sessuali, oppure nella forma “imperfetta” Brettanomyces, in grado di moltiplicarsi solo per via asessuata. Entrambi sono generi molto diffusi in natura e possono essere isolati sulle uve sane o danneggiate, sulle attrezzature di cantina, in mosti e vini ed in generale in ambienti di vinificazione. La presenza di Brettanomyces è stata rilevata in cantine di svariate parti del mondo: Sud Africa, Stati Uniti, Italia, Francia, Spagna, Germania, etc. Ciò dimostra che è un lievito che non ha confini geografici, quindi senza influenze dovute ai climi diversi.  
Produce cattivi odori chiamati in gergo sentori “Brett” di fenoli volatili , per la cui produzione Brettanomyces è universalmente riconosciuto e temuto. 
Queste molecole, sono prodotte tramite la degradazione enzimatica degli acidi idrossicinnamici, acido para-cumarico e ferulico, naturalmente presenti in mosti e uve ma in quantità diverse da varietà a varietà. Ecco svelato il motivo per cui in alcuni vini il sentore di Brett può essere più marcato: la quantità di etil-fenoli prodotta può essere sensibilmente più alta a causa della presenza in maggior quantità dei precursori di partenza!  
Il meccanismo di conversione coinvolge due reazioni enzimatiche che solo il lievito Brettanomyces è in grado di catalizzare con efficacia nel vino. Nella prima l’enzima cinnammato decarbossilasi (PAD)  decarbossila gli acidi idrossicinnamici nei vinil derivati corrispondenti (4-vinilguaiacolo dall’acido ferulico e 4-vinilfenolo dall’acido para-cumarico). Nella seconda reazione l’enzima vinilfenolo reduttasi (VPR) converte i vinilfenoli in etilfenoli. La sequenza nucleotidica dei geni corrispondenti a questi due enzimi è ancora oggi sconosciuta.
lievito brett

 

– Come si può rilevare il “Brett”? Si può contrastare ed eliminare?
La presenza di Brettanomyces in mosti, uve e vini, non è un processo facile da monitorare. Il produttore deve, al momento, appoggiarsi ad un laboratorio di analisi attrezzato che può effettuare tre tipi di analisi:
1. Analisi di microbiologia tradizionale: costa all’incirca tra i 20 e i 25 euro , ma i cui i risultati si ottengono all’incirca dopo 10 giorni. Il Brettanomyces è un lievito che cresce lentamente e questi tempi tecnici sono dovuti proprio a questo. 
2. Analisi tramite biologia molecolare: un tipo di analisi su cui ho lavorato ampiamente durante il dottorato, coinvolge una metodica di biologia molecolare, la Real Time PCR, i cui risultati sono disponibili in 2 o 3 giorni lavorativi ma che presenta un doppio svantaggio: 
– costa sensibilmente di più (dai 70 ai 110 euro, dipende dai laboratori);
– rileva anche eventuali cellule morte.
E’, infatti, una tecnica basata sulla rilevazione del DNA del lievito, quindi oltre al DNA di cellule vive è automatico rilevare anche il DNA di cellule morte e, pertanto, c’è il rischio sensibile di sovrastimare la contaminazione.  
3. Una terza possibilità è quella perseguita da alcuni produttori che scelgono invece di ricorrere direttamente all’analisi degli etil-fenoli, un’analisi che indica una sorta “di screen-shot”olfattivo del vino in quel momento, ma che, non offrendo indicazioni sulla presenza di eventuali cellule di Brett, non può dare indicazioni sul destino futuro e su eventuali contaminazioni. Inoltre, anche quando le concentrazioni di fenoli volatili sono basse ed inferiori alle soglie di percezione, esse mascherano il bouquet del vino, compromettendone l’espressione, la tipicità e l’intensità.
Qualora il produttore si accorga di avere in vino una contaminazione da Brettanomyces può ricorrere a diverse azioni a seconda delle necessità:
1. Filtrazione stretta per togliere le cellule del lievito, con lo svantaggio dell’appiattimento olfattivo del carattere del vino. 
2. Chitosano, preferibilmente da usare in modo preventivo, per uccidere le cellule del lievito (costa tanto). Il chitosano ha una funzione sulla fisiologia del lievito.  
3. Carbone attivo per eliminare il difetto dovuto agli etil-fenoli; metodica non costosa ma che presenta il grande svantaggio che il carbone attivo assorbe anche altre molecole olfattive che invece danno al vino un contributo positivo.


Grape sta sviluppando un nuovo progetto che si spera rivoluzionerà il mondo delle analisi relative al Brettanomyces, è in corso il deposito della domanda di brevetto, ed a breve il mondo dell’enologia potrà beneficiare di questa idea innovativa!
 
– Cosa sono i lieviti “autoctoni/indigeni”?
Da sempre il vino è prodotto tramite la fermentazione del mosto d’uva. Nei paesi con una lunga tradizione viticola si è ormai capito da tempo che affidando la fermentazione del mosto al microbiota naturale non sempre si raggiungono risultati tecnologicamente soddisfacenti, sia in termini di stabilità che di durata nel tempo del vino. Perciò, in molti casi, si preferisce ricorrere alla possibilità di guidare la fermentazione, soluzione conosciuta e perseguita sin dall’antichità. 
I lieviti starter per l’enologia si trovano ormai facilmente, sono preparati di ceppi di lievito, commercializzati principalmente sotto forma di lievito secco attivo (LSA), che in origine erano dei lieviti “autoctoni”! Le principali aziende che producono lieviti, infatti, collaborano da molti anni con centri di ricerca pubblici, che svolgono questo tipo di ricerche pluriennali allo scopo di selezionare e caratterizzare i lieviti migliori per alcune varietà d’uva e per specifiche tipologie di vino. Gli stessi lieviti poi, applicati anche su mosti diversi, possono dare risultati soddisfacenti. 
I lieviti autoctoni per enologia appartengono alla specie Saccharomyces cerevisiae , sono presenti sia in vigneto sia in cantina e si sono adattati da lungo tempo all’ambiente e alle condizioni compositive della particolare varietà di uva su cui sono cresciuti. Possono perciò costituire una soluzione ideale ed innovativa per conseguire prima, e salvaguardare poi, la qualità dei vini.

I lieviti che danno origine alla fermentazione spontanea sono invece lieviti apiculati non appartenenti al genere dei Saccharomyces. In gergo tecnico sono i lieviti “non-Saccharomyces”. I lieviti non-Saccharomyces sono protagonisti della fermentazione spontanea finchè la concentrazione di etanolo nel mosto arriva al 3-4%. A questi valori la loro crescita inizia a essere inibita dall’alcol, e vengono progressivamente soppiantati dai Saccharomyces, che portano poi a termine il processo fermentativo. Sicuramente, visto l’alternarsi di una flora microbica composita, i risultati olfattivi possono essere diversi e più complessi (non necessariamente migliori) rispetto ad una fermentazione inoculata con lieviti selezionati o autoctoni, il rischio però dell’innalzamento dell’acidità volatile oltre la soglia limite può essere davvero alto. 
L’impiego di starter di fermentazione con particolari attitudini a fermentare la varietà di uva prescelta, dotati di peculiari attività enzimatiche e differenti dinamiche di fermentazione, possono infatti costituire un intervento più specifici e mirato per puntare sulla territorialità. 
lieviti fermentazione spontanea vino

 

– In cosa consiste il vostro lavoro in merito e quali vantaggi può avere per i produttori?
Grape ha messo a servizio di cantine e produttori di vino la possibilità di svolgere progetti di Ricerca & Sviluppo (beneficiando peraltro del credito di imposta previsto dalle recenti leggi finanziarie) utilizzando le biotecnologie, particolari tecniche scientifiche che da sempre sono state appannaggio solo di laboratori specializzati, e che possono rendere il processo di selezione dei ceppi starter più veloce ed accurato. Ad esempio, quindici anni fa, prima dell’avvento delle tecniche di biologia molecolare, lo studio, condotto dall’Università di Torino, che portò alla selezione del famoso lievito per Barolo BRL97, era durato diversi anni. 
Oggi, grazie alle tecniche di biologia molecolare, basate sull’analisi del DNA, l’intero processo si é sensibilmente velocizzato ed é articolato in cinque fasi principali che consentono di arrivare ad un risultato finale sicuro e affidabile: 
a- Studio della biodiversità e caratterizzazione tecnologica dei lieviti fermentativi.
Prima vendemmia: i lieviti vengono isolati sia dalle uve, sia dal mosto in fermentazione, ottenuto dalle uve in purezza del vigneto prescelto. Le metodiche di caratterizzazione molecolare ci permettono di studiare correttamente la collezione di lieviti isolati, al fine di procedere con la selezione esclusivamente su ceppi con profili genetici diversi.
b- Caratterizzazione fisiologica e tecnologica dei lieviti isolati. Studio e selezione dei lieviti isolati mediante una serie di parametri di interesse enologico, quali ad esempio capacità fermentativa, basso tenore di zuccheri residui, bassa produzione di acidità volatile, sviluppo a basse o elevate temperature, etc. Questi sono alcuni dei parametri che vengono studiati e che normalmente si decidono insieme al produttore perché vini diversi hanno tecnologie produttive diverse (es. vini bianchi, rossi, spumanti) e pertanto richiedono soluzioni “customizzate”. 
c- Microfermentazioni sperimentali per validare i caratteri selezionati. I ceppi che nella fase precedente sono stati scelti per le loro caratteristiche fisiologiche e tecnologiche vengono valutati tramite microfermentazioni in laboratorio. Sui campioni di vino ottenuti, oltre alle analisi di routine  vengono analizzati anche parametri più fini: alcoli superiori, frazione volatile, acidi fenolici, analisi sensoriale (test descrittivi e di preferenza). Quest’ultimo aspetto, quello dell’analisi sensoriale che effettuiamo insieme al produttore è il punto cruciale del progetto, è il momento in cui la cantina realizza che il lievito può davvero avere un’influenza importante sul vino, e può farlo in prima persona, assaggiando ed annusando i vini prodotti. 
d- Scelta dei candidati e vinificazione in cantina su scala pilota. Seconda Vendemmia: Gli isolati “candidati” con le caratteristiche più interessanti vengono prodotti direttamente da Grape, tramite fermentatori e impiegati in fermentazioni in cantina utilizzando le normali tecnologie produttive di quella specifica cantina. 
e- Vinificazioni su larga scala. Terza vendemmia: Nell’ultima fase dello sviluppo di lieviti starter autoctoni, i ceppi selezionati nelle fasi precedenti vengono impiegati in cantina su scala per verificare che i ceppi prescelti siano in grado di soddisfare tutte le necessità tecnologiche e produttive.
Il principale vantaggio è quello di poter conoscere al 100% il proprio lievito di cui si avrà un report analitico completo. L’ulteriore vantaggio risiede nell’utilizzare per la vinificazione del proprio vino quello che possiamo chiamare “lievito a km ZERO”. Riusciamo, infatti, a produrre direttamente noi il lievito in pasta per i nostri clienti, diminuendo l’impronta ecologica che la produzione di lievito, la procedura di essiccamento e di confezionamento ed il suo trasporto può avere a livello mondiale.
grape start up enologia

 

Ringrazio vivamente la Dott.ssa Simona Campolongo per la disponibilità dimostratami e per l’importante apporto tecnico che ha concesso al sottoscritto e a tutti i lettori di wineblogroll.com, nonostante gli impegni.
 
Ci tengo a precisare che questo pezzo non rappresenta una mera iniziativa promozionale, bensì l’inizio di un percorso in cui cercherò di approfondire in modo razionale e distaccato alcune delle tematiche più “chiacchierate” degli ultimi anni, al fine di dare a voi addetti ai lavori e appassionati nozioni più concrete ed attendibili sulle quali basare le vostre personali considerazioni.
 
Conclusioni personali
Credo, però, che approcciare queste dinamiche e questi temi in maniera professionale e ragionata sia il modo migliore per eludere sterili diatribe e cercare, invece, di gettare le basi per un dialogo costruttivo che porti a maggior consapevolezza da parte dei produttori, dei comunicatori e dei consumatori. 
Credo fortemente che nel fare vino si debba attingere ai migliori lasciti della tradizione, non opponendosi, però, in maniera drastica alle evoluzioni dell’enologia là dove esse permettano di raggiungere risultati capaci di esprimere maggior identità con una nitidezza tecnica e non necessariamente indotta da manipolazioni chimiche.
Cercare di far passare difetti come sinonimo di personalità o utilizzare dinamiche di fermentazione più o meno spontanee come il principale veicolo dell’identità varietale e territoriale sono iniziative comunicative fuorvianti che ledono il lavoro di chi sta cercando di produrre vino in maniera sincera, barattando la mera chimica di sintesi con la conoscenza tecnico-enologica. Come lo sono le affermazioni tese a denigrare e screditare interi movimenti enoici tacciati di incuria e/o poca pulizia in maniera generica e, spesso, offensiva.
Nel caso specifico del Brett e della selezione dei lieviti la chimica può e deve entrare in gioco in termini analitici e per poter garantire al produttore di portare in bottiglia un vino che rispetti a pieno tutto il lavoro fatto in vigna in quella determinata annata.
Quindi ben vengano le fermentazioni spontanee se danno origine a vini identitari, puliti e non mettono a rischio irreparabilmente la vinificazione di uve che hanno richiesto così tanto impegno per arrivare fino alla cantina. Se, però, la scienza e l’enologia ci permettono di andare a conoscere, comprendere e selezionare i nostri stessi lieviti indigeni limitando drasticamente ogni problematica fermentativa e ogni ripercussione organolettica, perché non prenderne atto e vedere proprio in questa strada l’alternativa più sicura e espressivamente sincera a scelte chimicamente più impattanti e omologanti?
Credo che il mondo del vino dia, oggi, più che mai, la possibilità a tutti i vignaioli e agli enologi di lavorare in maniera pulita e ponderata e di scegliere la strada migliore per portare in bottiglia la propria identità, nella maniera che si ritiene più opportuna, senza abusare di metodologie e coadiuvanti enologici che rischiano di offuscare la reale rispondenza all’annata e al territorio di quello specifico varietale.
Di certo, i miei prossimi approfondimenti si sposteranno in vigna, dove invece la situazione è molto più delicata a mio modo di vedere.
 
F.S.R.
#WineIsSharing

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