Caldo e siccità spaventano i viticoltori. Come correre ai ripari in vigna? Ne parlo con esperti di agronomia del calibro di Stefano Dini, Martina Broggio, Mattia Filippi, Umberto Marchiori, Roberto Merlo, Antonio Noacco a Renato Ricciardi.
Nel mondo del vino, per fortuna, non esistono definizioni e categorie per definire le generazioni ma se nella socialità odierna l’essere nato nel 1984 mi fa ricadere per il rotto della cuffia tra i Millennials, l’aver iniziato ad approfondire la vitivinicoltura una ventina d’anni fa potrebbe farmi rientrare nella generazione enoica del “climate change“. Quest’anno più che mai stiamo vivendo una situazione estrema che pone sotto gli occhi di tutti (anche degli irragionevolmente scettici) gli impatti di un cambiamento che, per quanto qualcuno si ostini a parlare di altalenanza ed eventi a spot, sembra avere delle costanti, specie nei riguardi delle curve della temperatura media e della piovosità annue (non necessariamente minore come sommatorie, ma distribuita in maniera nettamente differente, meno dosata e con eventi calamitosi sempre più frequenti). Proprio per questo ho deciso di affrontare la tematica, seppur in maniera parziale, con alcuni professionisti di viticoltura e agronomia ai quali ho posto due domande secche che, confido, ci aiuteranno a comprendere in maniera più sfaccettata, dunque completa, ciò che sta accadendo e che potrebbe accadere nelle nostre vigne.

- Dal punto di vista agronomico, in ambito vitivinicolo, quali sono gli esiti dei cambiamenti climatici appurati negli ultimi 20 anni?
Stefano Dini – Matura Group
Prima di tutto il fatto di avere produzioni che in molti areali maturano molto prima rispetto agli anni passati. Non c’è più, soprattutto per le varietà medie o medio tardive, la possibilità di arrivare a vendemmiare con tranquillità alla fine di settembre o nella prima quindicina di ottobre. Anche nelle zone più tipiche della Toscana, a Montalcino per esempio, si è passati a vendemmiare il Sangiovese molto prima, rischiando una maturazione non perfetta, con problemi a livello fenolico, con alcol sempre molto alto, che durante la fermentazione estrae anche in modo eccessivo, e di non ottenere vini equilibrati.
Spesso non vi è più la possibilità di fare vendemmie scalari ma tutte le varietà maturano allo stesso tempo, quindi ci si trova a dover raccogliere tutta la produzione in un solo momento con difficoltà notevoli di organizzazione, tempistiche, manodopera disponibile.
La stessa cosa avviene negli areali caldi, dove però già le aziende avevano fin dall’inizio predisposto l’irrigazione e previsto tecniche agronomiche appropriate. In certe zone però, il progredire delle problematiche legate alla siccità e al riscaldamento globale, ha fatto sì che alcune varietà non si coltivassero più facilmente. Basti pensare al fatto di non piantare più Merlot nel grossetano, che mostra sempre più difficoltà a produrre in modo interessante, sia a livello qualitativo che quantitativo.
Alcune zone che qualcuno ricercava perché più magre, meno fertili, in realtà non sono più così “vocate” perché poi si hanno problemi di coltivazione. Penso ad esempio alla zona del Morellino, dove si cercavano anche zone più pietrose, più magre, per un equilibrio produttivo già nei primi anni di produzione. Negli ultimi anni invece, queste zone non sono più coltivabili se non vi è già un pozzo, se non viene progettata fin dalla fase iniziale la possibilità di accedere all’acqua.
E questo succede anche altrove. Se in Italia la limitazione principale all’impianto è il diritto di impianto, in Australia o in Cile è il diritto irriguo, la capacità che ha un’azienda di poter attingere per irrigare. Negli ultimi 20 anni si è visto sempre più prosciugare i bacini, abbassare le portate che si possono avere dai pozzi, fino tragicamente ad essere costretti ad estirpare. Addirittura in certi casi sono state utilizzate acque non idonee allo scopo irriguo, che pian piano hanno portato alla salinizzazione dei terreni. In Australia, in molte zone l’utilizzo di acque di cattiva qualità ha portato a non potere coltivare più dei terreni.
Quindi negli ultimi 20 anni si sono di fatto ridotte le superfici vocate ad una buona viticoltura, portando anche alla produzione di vini che sono completamente all’opposto rispetto alle esigenze del mercato: vini spesso alcoolici, molto concentrati, mentre il mercato sembra andare nella direzione opposta. Si cerca allora di piantare a maggiore altitudine oppure zone che prima venivano considerate non interessanti perché troppo fertili o con un eccesso idrico, invece lo diventano. Vi è la ricerca di un territorio con caratteristiche opposte rispetto a quelle che 20 anni fa si pensavano valide per una buona coltivazione.
Vi è poi l’altro estremo… grandinate, gelate… quindi l’imprenditore agricolo si trova a dover investire non avendo negli ultimi anni un bilancio stabile. Un clima quasi monsonico, con eccessi di acqua e grandine o siccità che porta l’azienda a non essere più costante nelle produzioni e dove il clima fa la differenza.
Martina Broggio
Riassumendo in una parola: imprevedibilità, alla quale si accosta anche il fatto che gli eventi climatici sono sempre più estremi e frequenti. La problematica del cambiamento climatico si riscontra sia in carenza che in eccesso idrico, con bombe d’acqua che purtroppo possono essere seguite da grandine, oppure al contrario da periodi di siccità davvero importanti (ne è un esempio diretto il 2022) dove in alcune regioni mancano ad oggi all’appello più di 500 millimetri se comparati al 2021 (parliamo della zona del Prosecco, tra le più piovose d’Italia).
In Piemonte invece da luglio 2021 a gennaio 2022 erano piovuti solo 50 mm, quindi quest’inverno molto secco ha portato a dei germoglianti molto disomogenei, in più abbiamo avuto il maggio più secco degli ultimi anni (ha sfiorato di pochissimo il 2003) e ad oggi abbiamo ancora luglio e agosto prima di arrivare alla vendemmia, è ancora lunga!
Per rendere l’idea pensate che una vite in media perde dai 4 ai 5 litri ogni ora per traspirazione, e questo rapportato per 5 mesi per 8 ore al giorno di traspirazione significa che per ottenere 65 hl di mosto per ettaro sono necessari 240 mm/ha ovvero 24.000 hl di acqua ad ettaro, in sostanza solo lo 0,2/0,5 % dell’acqua assorbita finisce nel mosto (dati da Prof. Franco Meggio – Masterclass sul suolo e sugli stress climatici – Vinidea). Di questo passo sicuramente sarà difficile produrre vino in molte zone d’Italia quest’anno.
Mattia Filippi, Umberto Marchiori, Roberto Merlo per Uva Sapiens
Quello che stiamo osservando negli ultimi 20 anni, per i dati vitivinicoli e meteoclimatici in nostro possesso, è un’intensificazione dei fenomeni estremi come gelate, grandinate, periodi di siccità, fenomeni piovosi esagerati in alcuni periodi dell’anno, ecc… Certamente ci sono tensioni e disequilibri che la natura cerca di equilibrare attraverso le forze stesse che la compongono. Al di là delle calamità naturali, che pur sono sempre più frequenti, lavorare con le piante permette di avere un alleato in più in un concetto di resilienza ed adattamento al cambiamento climatico. Nel mondo dei vegetali la vite risulta essere comunque una pianta plastica, che si adatta e resiste anche a cambiamenti repentini. Sicuramente gli effetti del cambiamento si palesano maggiormente nella produzione, che serve all’uomo a produrre vino. Ci si trova quindi sempre più spesso ad avere un equilibrio tra gli assetti di maturazione tecnologica, fisiologica e aromatica modificato e incongruente agli obiettivi enologici. Tale equilibrio era ampiamente gestibile e modificabile in maniera sinergica dai terroir vocati, dalle giuste scelte varietali e dalla conduzione agronomica dei viticoltori e degli enologi/agronomi.
Se volessimo fare un paragone con il mondo della fisica e dell’energia, potremmo affermare che oggi la viticoltura in zone vocate si sviluppa in un assetto di metastabilità, per le continue influenze dei fenomeni energetici e climatici in corso. Qualche anno fa produrre vino in zone vocate era una garanzia e quindi si poteva produrre in un contesto di forte stabilità. Certamente produrre vino in zone inadeguate e poco vocate significa oggi operare in un contesto di forte instabilità, sia per gli effetti climatici e territoriali, sia per gli input agronomici ed energetici da immettere nel sistema per arrivare a produzioni che poi risulterebbero poco sostenibili
Antonio Noacco
Sicuramente, nelle zone in cui opero (in particolare in Friuli) stiamo vivendo gli ultimi anni condizionati da un clima quasi monsonico, caratterizzato da periodi di forti ed intensi eventi piovosi, esempio la primavera 2021 caratterizzata da forti e prolungati eventi piovosi, poi autunno 2021 con pochissima pioggia, ottima annata e vendemmia posticipata con annesse caratteristiche qualitative delle uve portate in cantina.
Per quanto concerne il 2022, l’annata è antitetica, dati i pochi eventi piovosi e l’allarme è rivolto alla siccità. Prevedo un’annata con vendemmia anticipata rispetto al 2021, ad oggi si stima sia un “simil” 2017.
Dott. Renato Ricciardi
Le piante risultano molto più stressate e questo si traduce in una maggiore suscettibilità a patologie fungine nonché a insetti fitofagi che se non opportunamente gestiti posso compromettere la qualità e la quantità della produzione.
Ho notato che alcuni insetti della vite come Lobesia botrana hanno svolto delle generazioni leggermente sfasate rispetto al solito, ovideposizioni molto più scalari con quello che ne consegue in termini di interventi di difesa.
- Cambiamenti climatici = Cambiamenti agronomici? Quali sono gli interventi in campo maggiormente mutati a causa dei cambiamenti climatici e quali le operazioni che possono aiutarci a sopperire alle problematiche legate a condizioni di caldo e siccità anomale come quelle di quest’anno?
Stefano Dini – Matura Group
È fondamentale che dal punto di vista agronomico vengano fatti dei cambiamenti. Innanzitutto nella scelta dei portinnesti, che può sembrare un aspetto banale ma non lo è. Molto spesso infatti il vivaista produce portinnesti perché è abituato a quello che ha a disposizione, ossia quella determinata tipologia che ha una maggiore affinità e quindi maggiori risultati in vivaio. Spingerlo a produrre materiale di certe varietà e cloni su altri portainnesti non è così scontato.
Poi scegliere densità di impianto diverse. Se una volta, seguendo il modello francese, si prediligeva l’alta densità, considerando la qualità proporzionale alla densità, oggi non è più così. Anzi ogni varietà, ogni scelta produttiva/enologica deve tener presente proprio le esigenze idriche e quindi di spazio e sanitarie nello specifico ambiente in cui ci troviamo. Di conseguenza cambia notevolmente la densità di impianto. È logico che gli aspetti storici, culturali portino a scegliere sesti di impianto o forme di allevamento con una tradizione ormai consolidata ma oggi come oggi la componente ambientale diventa sempre più importante. Un Alberello diventa una Palmetta, una Palmetta diventa una Spalliera, un Cordone speronato diventa un Guyot e così via, spesso si tratta di un cambiamento agronomico indispensabile.
Altra cosa fondamentale è l’esposizione: se prima per una classica spalliera si cercava in tutti i modi di avere un orientamento dei filari nord-sud, ora si sta andando invece verso quello che fin dall’inizio veniva fatto nel nuovo mondo. In Australia, Cile, Argentina, se si pianta un vigneto con orientamento nord-sud, si è sicuri che da un lato l’uva sarà completamente bruciata. Si verificano fenomeni di ustione, forte disidratazione, classico colpo di sole, o comunque questo porta ad un’ustione che rovina l’epidermide della bacca e rende le uve non qualitative. Quindi, se una volta l’orientamento nord-sud era considerato la scelta per eccellenza per una corretta agronomia, oggi diventa est-ovest proprio per sfuggire a questa problematica. Addirittura in alcuni casi ritornano le forme di allevamento “espanse” come i tendoni in alcuni areali dove la meccanizzazione non è un aspetto primario del progetto. Basti pensare al Pecorino in Abruzzo, che non è facile allevare a spalliera perché è molto delicato, mentre a tendone trova una sua connotazione produttiva e qualitativa importante.
Altro concetto che prima non veniva preso in considerazione è la maggiore parsimonia nell’utilizzo dell’acqua e la ricerca di metodi di irrigazione che permettano di ottimizzarne la somministrazione, in particolare le ali gocciolanti, mentre sempre meno sono utilizzati i microaspersoni e la subirrigazione. Quest’ultima ha trovato una sua connotazione in chiave non biologica. Diventa infatti molto complicata là dove è necessario gestire il suolo nel sottofila con mezzi meccanici. Oggi vi è una doppia motivazione che determina il minore utilizzo dei diserbanti: molti sono scomparsi perché le molecole non sono più registrate; inoltre vi è una maggiore sensibilità ai temi ambientali. Molte aziende, pur non essendo in conduzione biologica, stanno riducendo in modo drastico l’utilizzo di qualsiasi tipologia di diserbo. Dall’altra parte però, se non si elimina il competitore-infestante, si hanno problemi di bilancio idrico, quindi è necessario rimuoverla meccanicamente. Tutti questi aspetti legati alla gestione del suolo a livello agronomico stanno diventando sempre più importanti.
Per quanto riguarda le tecniche utili a sopperire a queste problematiche di caldo e siccità anomali, il primo accorgimento è realizzare nuovi progetti di vigneto con un input idrico maggiore, quindi con un impianto di irrigazione, e istallarlo in quelli esistenti.
In secondo luogo migliorare la gestione del suolo: molto spesso si parla di cover crop, inerbimento, ecc. ma è importante scegliere specie che in un determinato periodo dell’anno non siano competitori della vite. Specie che nel periodo primaverile vegetano e creano biomassa, appena inizia il periodo caldo vengono gestite meccanicamente diventando esse stesse un substrato, “una spugna”, apportando una maggiore porosità al terreno per incamerare più acqua.
Altre operazioni sono legate alla gestione della chioma. Ultimamente si utilizzano prodotti che riducono la traspirazione, come il caolino che allo stesso tempo attraverso l’effetto albedo riflette la luce evitando le ustioni. Oppure le reti ombreggianti, che molto spesso fuori dall’Italia vengono utilizzate anche con effetto antifrost ritardando il germogliamento, nei colli bolognesi e in altre realtà vengono utilizzate proprio per evitare fenomeni di ustione nelle spalliere. Gestione della chioma non vuol dire solamente palizzamento ma anche ad esempio una corretta tempistica nella cimatura e nella sfogliatura; rimuovere le foglie che stanno invecchiando e che sono meno efficienti dal punto di vista di utilizzo idrico è fondamentale. Vengono utilizzati prodotti che contengono molecole che riducono gli stress idrici, ad esempio glicimbetaina. A livello commerciale esistono tantissimi prodotti di questo tipo ma già soltanto l’utilizzo dei macroelelmenti Magnesio, Potassio e Calcio in modo corretto permette una migliore risposta della pianta agli stress.
Tutto questo viene semplificato se alla base vi è una progettazione del vigneto che tiene conto di favorire lo sviluppo di radici profonde che sopperiscano ai fenomeni di stress. Quest’anno molti si stupiscono che, con un bilancio idrico molto svantaggioso per la pianta, in realtà le viti in molte zone non hanno mostrato grossi fenomeni di stress, hanno vegetato bene, anzi c’è stata un’esplosione di vegetazione. Questo perché hanno delle radici assorbenti che raggiungono profondità notevoli. Mi ricordo di aver visto in Cile, in una calicata, ossia una trincea di osservazione dell’apparato radicale profonda 6 m, che vi erano delle radici di assorbimento. La pianta riusciva a raggiungere una profondità tale da continuare ad alimentarsi a livello idrico senza stress. Un buono scasso, ossia una buona preparazione preimpianto di un terreno, è la base per avere piante che riescano meglio a sopperire a fenomeni di stress.
Attenzione invece a tutto quello che riguarda l’irrigazione, perché sbagliare metodo irriguo e fornire acque non idonee può ugualmente causare problemi.
Martina Broggio
Il problema è che il clima sta cambiando molto più velocemente di quanto lo stia facendo la tecnica viticola. Le sfogliature estreme usate in passato ora vanno assolutamente modificate, al momento gli acini sono verdi e traspirano (si raffreddano) ma dal post invaiatura le temperature sul grappolo possono salire sopra i 50 gradi degradando gli acini e qualsiasi sostanza in essi accumulata, dal colore agli aromi.
Nel 2022 gli interventi che sono cambiati maggiormente sono le irrigazioni e la gestione della chioma in maniera più ragionata, con cimature più ampie e viti più “spettinate”, andando ad esempio a ridurre la fascia della sfogliatura a 2 massimo 3 foglie oppure prediligendo la sfemminellatura (mantenendo le foglie).
Gli interventi da mettere in atto in maniera urgente sono la pacciamatura ad esempio, per limitare la perdita di umidità del suolo che in questi giorni sta raggiungendo anche 70 gradi dove lavorato. Più a lungo termine e come azione lungimirante sarà fondamentale il lavoro sul suolo e sulle radici della pianta, bisogna ripristinare l’attività microbiologica dei suoli (ridotta dall’utilizzo delle sostanze di sintesi) e questo è importante per due motivi: più struttura significa una maggiore WHC water holding capacity, che nei suoli strutturati può aumentare anche del 300% rispetto ai non strutturati. Per capirlo basta effettuare un rapido e a costo zero infiltration test per capire come il nostro terreno reagisce alle bombe d’acqua sopra descritte (vedi foto). L’altro motivo è che l’attività microbica stimola la radicazione e questo consente, a parità di volume d’acqua distribuito, una maggiore capacità della pianta di reidratarsi.
Purtroppo siamo davanti ad un breaking dogma: molti pensano ancora che per fare qualità la vite debba essere sofferente ma negli ultimi anni siamo davanti a degli stress eccessivi, che compromettono la qualità delle uve con aromi di cotto o tannini secchi, senza parlare poi nel problema quercetina.
Mattia Filippi, Umberto Marchiori, Roberto Merlo per Uva Sapiens
Con riferimento all’annata viticola in corso, occorre fare una distinzione tra Nord, Centro e Sud Italia, anche se per l’intero Paese vale una considerazione di base sul terreno, che deve essere mantenuto il più possibile in perfette condizioni chimico-fisiche per garantire adeguate riserve idriche alla pianta.
Al Nord Est, dove sono ubicate per la maggior parte le aziende vitivinicole cui facciamo assistenza tecnica, la piovosità sinora non è stata particolarmente ridotta. Tuttavia, le sporadiche grandinate, distribuite a macchia di leopardo, hanno provocato danni ingenti, che non si riflettono solo sulla produzione danneggiando i grappolini laddove già presenti, ma possono anche determinare uno sviluppo disordinato e affastellato della chioma a seguito del risveglio delle gemme pronte e della formazione di femminelle. Questo comporta la necessità di intervenire nelle fasi successive con operazioni in verde per recuperare l’equilibrio della parete fogliare, indispensabile per gestire al meglio la siccità e più in generale gli stress abiotici estivi. L’esistenza di impianti di irrigazione in molte aziende del Nord Est consente di affrontare con più armi le elevate temperature delle ultime settimane, associate all’andamento pluviometrico anomalo.
Il Centro ha subito e sta subendo forti restrizioni idriche, che hanno impattato certamente sulla viticoltura. Il mantenimento della risorsa idrica è un problema diffuso in queste regioni, dove la gestione della chioma è ancor di più la chiave di successo: mantenere una traspirazione limitata controllando il vigore delle piante è un ottimo punto di partenza, che comporta il fatto di contenere lo sviluppo vegetativo, così come le produzioni per ceppo. L’apporto idrico rimane fondamentale, ma le ridotte disponibilità che riscontriamo negli ultimi mesi ci inducono a razionalizzarne il consumo.
La scarsità di precipitazioni è forse il primo e più importante effetto del climate change nelle regioni del Sud. In realtà occorre osservare che già da decenni le regioni viticole del Sud soffrono, quale più quale meno, di scarse precipitazioni. Negli ultimi anni però si sono anche raggiunte temperature estreme, che rendono la gestione del vigneto sempre più complessa. La perdita d’acqua per traspirazione impone un’attenzione importante alla sua conservazione nel suolo attraverso il mantenimento o l’incremento della sostanza organica presente. Negli ultimi anni l’utilizzo di cover crop è aumentato notevolmente, e grazie a esso è possibile abbinare due vantaggi importanti come il contenimento delle erosioni invernali e la conservazione della sostanza organica. D’altra parte, nel corso degli anni abbiamo assistito a un ritorno alle varietà autoctone che, meglio delle internazionali, si adattano a climi siccitosi.
Una considerazione conclusiva importante ha a che vedere con la difesa del vigneto. Si tende a dire che nelle annate siccitose si riduca la diffusione delle malattie fungine, ma questo non necessariamente corrisponde al vero, soprattutto per quanto concerne l’oidio. Occorre quindi non abbassare mai la guardia se, come deve essere, l’obiettivo è portare in cantina uve perfettamente sane.
Antonio Noacco
Riguardo l’ambito agronomico, ogni annata va interpretata con grande sensibilità, d’altronde il nostro bellissimo mestiere non è altro che il nostro impegno nell’interpretare la natura e i suoi messaggi alle volte diretti e alle volte indiretti, almeno per quanto ci è dato conoscere.
Detto questo, in annate come questa, e comunque osservando il trend delle temperature in costante aumento, la gestione del verde e le corrette concimazioni sono l’elemento chiave per ottenere uve di qualità. I cambiamenti climatici, se così possiamo chiamarli, non hanno portato solo a nuove interpretazioni e gestioni delle pareti vegetative ma anche a una sempre più complessa e difficile gestione dei parassiti della vite ad esempio Planococcus ficus e Scaphoideus titanus vettori di virosi e fitoplasmosi ad oggi in costante e preoccupante aumento. Il loro contenimento è sempre più difficile per svariati motivi ad esempio la riduzione dei principi attivi a nostra disposizione e probabilmente a causa del loro ciclo sempre più complesso.
Renato Ricciardi
Una delle strategie più adottate, laddove possibile, è l’inerbimento e il sovescio che aiutano a preservare la sostanza organica presente nel suolo, importantissima per la sua struttura e per il microbioma che risulta fondamentale per creare un ambiente confortevole per l’apparato radicale delle piante.
Ringrazio Martina Broggio, Stefano Dini, i ragazzi di Uva Sapiens (Mattia Filippi, Umberto Marchiori e Roberto Merlo), Antonio Noacco e Renato Ricciardi ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa (specializzato nei principali fitofagi dei vigneti da vino), per la consueta disponibilità e per aver toccato temi cari a tutti i viticoltori italiano e non solo. Sono certo che, anche grazie al supporto e alla lungimiranza di professionisti come loro, la viticoltura italiana riuscirà ad adattarsi alle condizioni attuali e future in maniera sensibile, tecnicamente ponderata e rispettosa.
Non amo gli allarmismi, ma vorrei chiudere con uno studio sui cambiamenti condiviso ben 10 anni fa da “Conservation International”. Uno studio basato su modelli predittivi, sfociato in una mappa che evidenzia le condizioni di “vecchi” e potenzialmente nuovi areali vitivinicoli nel 2050. La speranza è, ovviamente, quella di una realtà ben diversa da qui a 38 anni, ma di certo il timore di vedere queste condizioni concretizzarsi almeno parzialmente c’è ed è fondamentale riadattare i nostri approcci agronomici agli esiti di questi cambiamenti.

F.S.R.
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