L’appassimento delle uve della Valpolicella e il sogno UNESCO

La tecnica dell’appassimento delle uve della Valpolicella punta sempre di più al riconoscimento come patrimonio culturale immateriale UNESCO. Sarebbe la prima tecnica vitivinicola al mondo a conseguirlo.

Sono passati solo pochi mesi dall’avvio, ufficializzato allo scorso Vinitaly, dell’iter di candidatura della tecnica dell’Appassimento delle uve della Valpolicella a patrimonio immateriale Unesco, ma è solo qualche giorno fa che il cammino è entrato nel vivo!
Sì, perché il 21 ottobre 2022 è la data che ricorderemo per la “chiamata all’azione” da parte degli “attori coinvolti” nel processo di candidatura e, in particolare, del Consorzio tutela vini della Valpolicella per poter rendere ancor più concreto e forte il dossier che l’Unesco potrebbe andare ad esaminare per valutare la possibilità di riconoscere patrimonio culturale immateriale dell’umanità una tecnica vitivinicola (sarebbe la prima al mondo ) come quella dell’Appassimento.

L’appassimento delle uve è, non a caso, la prima tecnica vitivinicola ad essere candidata come Patrimonio culturale dell’Umanità. Si tratta infatti di un savoir faire che ha scritto la storia ma anche l’economia del nostro territorio, ne ha plasmato i prodotti definendone la qualità, contribuendo a disegnare la geografia e l’evoluzione sociale, l’etica del lavoro e l’imprenditorialità, le festività e i ritmi stagionali. Un tassello fondamentale della nostra identità che non può essere dato per scontato, e che deve essere compreso e valorizzato anche e soprattutto dalle nuove generazioni”. Queste le fiduciose parole del Presidente del Consorzio Christian Marchesini.

Che cos’è l’appassimento?

L’Appassimento delle uve (ovviamente, non ci si riferisce a quello in pianta) è una tecnica che sembra affondare le proprie radici storico-culturali ed enoiche proprio nella Valpolicella Classica, come testimonia la vera e propria lode al vino di queste terrel all’epoca chiamato Acinatico, scritta da Cassiodoro (490-593 d.C.), ministro di Teodorico, re dei Visigoti:

“…rosso come la porpora o bianco come i gigli fragranti, nobile e denso…  vino puro dal colore regale e dal sapore speciale, cosicché tu pensi o che la porpora sia tinta dal vino stesso o che il suo limpido umore sia spremuto della porpora …la dolcezza di esso si sente con soavità incredibile, si corrobora la densità per non so qual fermezza, e s’ingrossa al tatto in modo che diresti un liquido carnoso, o bevanda da mangiare…”

Una lettera che non lascia spazio all’immaginazione, facendo un palese riferimento alla tecnica dell’appassimento e a quello che sarebbe poi divenuto l’attuale Recioto:

“L’uva scelta d’autunno nelle vigne dei pergolati domestici viene appesa capovolta e si conserva nei suoi recipienti naturali. Si appassisce, non corrompe per la vecchiaia, e trasudando gli insipidi umori si addolcisce con grande soavità. Si conserva fino al mese di dicembre, finché la stagione invernale completa l’essiccazione, e in modo mirabile in cantina si ha un vino nuovo mentre in tutte le altre si incontra un vino vecchio.”

In realtà, la coltivazione della vite in queste terre e la produzione di vino (probabilmente già con questa tecnica, va indagata nei secoli addietro, ma ciò che ci interessa è quanto la vera e propria cultura dell’appassimento si sia protratta negli anni cambiando pochissimo e segnando con le sue peculiarità non solo il gusto dei vini, bensì il paesaggio, le strutture, le vite di chi vive questi luoghi e più in generale il tempo e lo spazio.

L’Appassimento, però, non è solo un affascinante retaggio della tradizione, in quanto si tratta di una tecnica molto complessa e delicata, che parte dal vigneto per poi arrivare nei fruttai. E’ fondamentale, infatti, selezionare solo le uve più sane e perfettamente mature, fattore che implica una raccolta rigorosamente manuale e in cassetta. Si scelgono i grappoli più spargoli, al fine di permettere all’aria di circolare nei pertugi naturali tra un acino e l’altro. Per quanto concerne la disposizione dei grappoli si sono susseguiti (a volte hanno coesistito) diverse metodiche: dagli antichi picai (le lunghe cordicelle pendenti dalle travi del soffitto alle quali venivano legati i grappoli, uno per uno), l’appassimento a terra, l’appassimento in cassette in legno impilate, o ancora sulle tradizionali arele (graticci in canna, ancora oggi presenti in alcune realtà, testimonianza di uno dei fattori più significativi di questa tecnica, in quanto possedevano una duplice attitudine, ovvero quella di ospitare le foglie di gelso per l’allevamento dei bachi da seta, molto diffuso e redditizio all’epoca della Serenissima, e quella di ospitare le uve da appassire. Operazioni che si alternavano secondo i ritmi della natura in maniera perfettamente complementare, ottimizzando spazi, strumenti e lavoro, indice di una indispensabile sostenibilità).

A cosa serve l’appassimento nello specifico?

appassimento uve

Questa tecnica porta alla riduzione dell’acqua contenuta all’interno dell’acino, ergo a una maggior concentrazione degli zuccheri e di altre sostanze fondamentali per la produzione dei vini tipici di questi territori, noti per le loro peculiari doto organolettiche e per la proverbiale longevità.

Non potendo più contare sulla connessione con i vasi della pianta madre, grazie ai quali poteva attingere ad acqua e nutrienti, il metabolismo dell’acino muta. Il primo effetto del distacco dalla vite e dell’inizio dell’appassimento è la diminuzione del volume e del turgore cellulare causato dall’evaporazione dell’acqua.

Questo porta, sin da subito, a una crescita costante della concentrazione dei succhi cellulari e dei soluti.

Il passaggio da un metabolismo aerobico a quello anaerobico porta a un diverso rapporto fra glucosio e fruttosio (la glicolisi produrrà un consumo maggiore di glucosio).

Un fattore non sempre considerato a dovere, ma fondamentale per l’equilibrio gustativo e per la propensione alla longevità di questi vini è la capacità di concentrare, oltre agli zuccheri, anche l’acidità organica. E’ importante sottolineare che sia l’acido malico che l’acido tartarico saranno soggetti anche a processi metabolici e di precipitazione, mutando le caratteristiche dell’acino, aumentando il rapporto tra tartarico e malico (consumato dalla respirazione cellulare), con un relativo aumento del pH.

Durante il processo di appassimento, oltre a produrre glicerina (per trattenere acqua), l’acino produce e accumula polifenoli. Parte di essi viene poi persa a causa di processi ossidativi (sulle concentrazioni finali dei polifenoli e degli antociani incide anche la temperatura del locale di appassimento, ergo del grappolo).

Interessante valutare che i due processi sopracitati e quello dell’aumento del trans-resveratrolo all’interno degli acini siano da attribuire alla capacità dell’acino di continuare a proteggersi contro stress da disidratazione e da eventuali attacchi di patogeni.
Va da sé che la cinetica dell’appassimento delle uve è fortemente condizionata dalle condizioni in cui avviene l’appassimento stesso e dalla morfologia del grappolo (come già accennato sopra).

Ecco quindi che temperatura, umidità, pressione atmosferica e ventilazione rappresenteranno le condizioni determinanti per un corretto appassimento.

Se storicamente l’appassimento avveniva in locali che sfruttavano la loro architettura e l’esposizione alle correnti naturali, l’appassimento odierno può avvenire anche in fruttai in cui l’ambiente è condizionato con sistemi di ventilazione, di riscaldamento e di deumidificazione dell’aria. Questo aspetto è fortemente legato alla capacità della tecnica dell’appassimento di evolvere con l’evolvere della tecnologia e non della chimica. Questo maggior controllo può portare a una gestione più omogenea e oculata della disidratazione e a un contenimento di marciumi e muffe. Nonostante ciò, esistono ancora realtà fedeli all’appassimento “naturale” possibile grazie alle peculiari condizioni dei fruttai in loro dotazione.

Una tecnica onerosa sia in termini di tempo che di perdita di prodotto, (in un periodo medio di circa tre mesi le uve perdono fra il 30% e il 50% del proprio peso in base a temperatura, ventilazione e umidità relativa dei locali), che porta, però, all’aumento della qualità e della quantità di aromi, struttura e predisposizione alla longevità dei vini prodotti da appassimento.
Tutto questo si traduce nella produzione dei vini più noti della Valpolicella: Recioto, Amarone e Ripasso (per quest’ultimo in via indiretta). Vini dalla caratteristiche uniche e che mantengono una forte aderenza territoriale grazie alle varietà tipiche coinvolte come Corvina, Corvinone, Rondinella, Oseleta, Negrara, Dindarella, Croatina e Forselin (è interessante quanto la “purezza” non abbia intaccato questo territorio preservandone l’identità oltre il vitigno, nella consapevolezza di avere a disposizione una tavolozza ampelografica capace di una perfetta complementarietà, che si manifesta con costanza analitica e qualitativa anche a dispetto degli esiti dei cambiamenti climatici).

Come sostenere attivamente la candidatura della tecnica dell’appassimento delle uve della Valpolicella a patrimonio culturale immateriale UNESCO?

Fatta questa doverosa premessa sul protagonista della candidatura a bene culturale immateriale Unesco, vi riporto in maniera sintetica e indicativa alcune delle modalità di adesione alla “Call to action” indetta dal “Comitato Valpolicella”:

  • Racconta la tua storia: invia alla mail comitatovalpolicella@gmail.com una testimonianza delle passate generazioni, un aneddoto familiare o un ricordo legati all’appassimento in queste terre;
  • Scrivi una mail: invia sempre alla mail comitatovalpolicella@gmail.com il tuo supporto scrivendo “Anche io voglio sostenere la candidatura della tecnica dell’appassimento dell’uva della Valpolicella a patrimonio culturale immateriale dell’umanità da parte dell’UNESCO. Sono concento/a di condividere questo patrimonio identitario con tutto il mondo e per questo sostengo la candidatura”;
  • Fai sentire la tua voce, manda un vocale o un video breve: invia un vocale o un video di supporto alla candidatura via Whatsapp al numero 3894421311;
  • Disegna il tuo patrimonio: invia un disegno o una rappresentazione grafica coerenti con la tecnica dell’appassimento delle uve della Valpolicella e invialo alla mail precedentemente segnalata;
  • Condividi con tutti. Usa i social media: condividi sui social network un’immagine del territorio o dei locali di appassimento o ancora registra una testimonianza di supporto alla candidatura, condividendo i contenuti con l’hashtag #appassimentounesco;
  • Organizza un flash mob, una riunione o un seminario: organizza un’occasione di incontro tra più persone che abbia come soggetto l’appassimento delle uve in Valpolicella e la sua candidatura UNESCO. Documenta l’evento con un breve video e invialo alla mail comitatovalpolicella@gmail.com.

Più in generale, quello che il comitato formatosi per condurre l’appassimento sino alla candidatura e all’auspicato riconoscimento UNESCO è una movimentazione di massa a sostegno di un iter non semplice che ogni anno vede i commissari internazionali valutare solo 1/3 dei dossier pervenuti (60 su 180 ca.) e di questa piccola percentuale solo una all’anno sarà la candidatura italiana presa in esame.

Come sapete l’Italia è prima al mondo per patrimoni UNESCO, con ben 58 siti riconosciuti, ma – come descritto nel sito ufficiale Unesco – “il patrimonio culturale non è solo monumenti e collezioni di oggetti ma anche tutte le tradizioni vive trasmesse dai nostri antenati: espressioni orali, incluso il linguaggio, arti dello spettacolo, pratiche sociali, riti e feste, conoscenza e pratiche concernenti la natura e l’universo, artigianato tradizionale.

Questo patrimonio culturale immateriale è fondamentale nel mantenimento della diversità culturale di fronte alla globalizzazione e la sua comprensione aiuta il dialogo interculturale e incoraggia il rispetto reciproco dei diversi modi di vivere. La sua importanza non risiede nella manifestazione culturale in sé, bensì nella ricchezza di conoscenza e competenze che vengono trasmesse da una generazione all’altra.”

Nello specifico, l’UNESCO a riconosciuto come patrimonio culturale immateriale 631 elementi in 140 Paesi del mondo. Il patrimonio deve necessariamente essere trasmesso da generazione in generazione; deve essere costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in stretta correlazione con l’ambiente circostante e con la sua storia; deve permettere alle comunità, ai gruppi nonché alle singole persone di elaborare dinamicamente il senso di appartenenza sociale e culturale; deve promuovere il rispetto per le diversità culturali e per la creatività umana e, infine, deve diffondere l’osservanza del rispetto dei diritti umani e della sostenibilità dello sviluppo di ciascun paese.
Caratteristiche perfettamente congruenti con quelle della tecnica dell’appassimento delle uve della Valpolicella, quindi non ci resta che attendere gli esiti dell’iter di candidatura e contribuire come meglio crediamo al sostegno di quello che sarebbe un risultato storico per l’Italia del vino, che deterrebbe, così, il primo riconoscimento a livello mondiale per una tecnica vitivinicola.

unesco

In conclusione, non posso che apprezzare lo sforzo profuso dal comitato e l’attenzione con la quale il Consorzio di Tutela dei Vini della Valpolicella sta portando avanti questa candidatura. Da par mio, la speranza più concreta è quella di vedere valorizzare questo patrimonio tanto a livello culturale quanto a livello organolettico prima e commerciale poi, specie quando si parla del primo vero vino da appassimento di queste terre, vale a dire il Recioto. Vino schiavo della contestualizzazione temporale e imbrigliato dagli erronei e ridondanti paradigmi dell’abbinamento e della “meditazione” che, invece, potrebbe dare il meglio di sè nelle mani dei più abili sommelier dell’alta ristorazione con abbinamenti in contrasto, solo parzialmente esplorati, divenendo parte di percorsi degustazione nei quali spiccare per tipicità e carattere e mostrando le proprie vere qualità. Qualità che non si limitano a dolcezza e concentrazione ma che, nel Recioto, ancor più che negli altri vini che contemplano questa tecnica, sfociano in una dimensione molto distante dall’omologazione e dagli eccessi, trovando nelle migliori espressioni equilibri inediti e intriganti, in cui gli aromi giocano con freschezza ed evoluzione e le dinamiche gustative vivono della complementarietà fra acidità e residuo.


Ecco perché, nonostante temessi potesse rappresentare un cortocircuito in negativo, mi sono dovuto ricredere nel ritrovarmi ad assaggiare i numerosi Recioto condivisi dal Gruppo Giovani Produttori del Consorzio vini Valpolicella durante l’evento “CALL TO RECIOTO. La tradizione veste young! Il Recioto della nuova generazione“. Una batteria di vini tanto diversi quanto allineati nell’evidente passione infusa nella loro produzione, sintomo di una enoica congiuntura fra passato e presente, con i giovani a prendere sempre più coscienza di quanto stia a loro alimentare il fuoco e non contemplare le ceneri, rifuggendo l’anacronismo non tanto interpretativo quanto concettuale, alzando l’asticella, sperimentando, confrontandosi e aprendosi al mondo.

Di questi ragazzi vi parlerò più avanti in merito a quello che reputo essere il biglietto da visita di questo areale che può e deve essere valorizzato parallelamente ai vini da appassimento, evidenziando la propria capacità di tradurre in maniera fedele e sincera il territorio, in piena concordanza con le esigenze dei palati odierni (anche di quelli più esigenti) in termini di freschezza, agilità di beva e sapore, senza mai risultate scontati o privi di personalità, il tutto mostrando una spontanea attitudine nel rispondere ai cambiamenti climatici come pochi altri vini sanno fare. Per quanto concerne quest’ultima osservazione, ho già scritto in passato di quanto l’uvaggio (o in alcuni casi il vinaggio) plurivarietale e, laddove resiste, il sistema di allevamento a pergola possano essere fattori determinanti per il contenimento degli esiti dei cambiamenti climatici nella loro totalità, al netto dell’interpretazione agronomica ed enologica individuale. Ovviamente, parlo dei Valpolicella sia nella sua versione “classica” (non mi riferisco all’accezione zonale del termine) che in quella Superiore. Credo fortemente che, vini da appassimento da un lato e vini freschi e agili dall’altro, possano rappresentare i due pilastri di un areale che ha nell’attitudine tecnica e nella vocazione pedoclimatica zonale una combinazione rara nel mondo del vino italiano e internazionale odierno.

F.S.R.

#WineIsSharing

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