L’Opera in Rosso Terre di Pisa Sangiovese Doc 2019 di Podere la Chiesa è il miglior vino mai prodotto da questa realtà dacché conosco i vini di Maurizio e Palma
“Lì il Sangiovese in purezza bono non s’è mai fatto!” questa è una frase che riecheggia nella mia mente ogni volta che mi approccio a uno degli areali a cui ho dedicato più tempo e km negli ultimi anni, ovvero le Terre di Pisa. Una frase che non vuole tanto screditare l’areale “pisano” quanto sottolineare quanto le zone “classiche” del Sangiovese siano altre, sul fatto che poi, di certo, non fossero “in purezza”, data la base ampelografica “storica” di alcune di esse (com’era ovvio che fosse!) è un altro discorso.
Faccio questa premessa perché, in realtà, fu proprio quella frase a spingermi ad approfondire l’areale che fa capo alla giovane Doc Terre di Pisa (2011), in quanto curioso di comprenderne le motivazioni e speranzoso di confutarne la veridicità.
Devo ammettere che trattandosi di un contesto in cui si alternano varietà tipiche e vitigni alloctoni con buona costanza (e spesso altrettanto buona complementarietà) non è stato facile trovare molte espressioni di Sangiovese in purezza e non sempre le interpretazioni del vitigno principe dell’enologia toscana erano in linea con quella speranza mista ad aspettativa che continuava a spingermi a credere che prima o poi sarei tornato da chi era stato così tranchant con in mano una bottiglia di Terre di Pisa Sangiovese Doc degno di farlo ricredere!

Beh, in realtà, negli ultimi gli anni, ho trovato più di un Sangiovese capace di stupirmi per eleganza e compostezza ma è solo qualche mese fa che ho trovato l’espressione che cercavo da tempo, quella in grado di definire il potenziale di una realtà e di una varietà innestate in un territorio dotato di una propria specifica identità. Parlo di un vino che non mi aveva mai particolarmente convinto o meglio, lo aveva fatto parzialmente, in quanto consapevole che ci fossero ancora enormi margini di miglioramento possibili solo con l’acquisizione di una maggior consapevolezza dell’obiettivo enologico atto a tradurre vigne di indiscussa vocazione. Quel vino è l’Opera in Rosso di Podere la Chiesa e l’annata meritevole di questo pezzo è la 2019, assaggiata in anteprima senza alcuna pretesa e rimasta nitida nella mia mente a distanza di mesi. Sì, perché il primo assaggio è relativo a quest’estate e se ne scrivo solo ora è perché, da prassi, cerco sempre di riassaggiare i vini che mi colpiscono in particolari occasioni, a distanza di tempo (ancor più se sono anteprime) per comprendere se le prime impressioni siano state condizionate e/o fuorviate dal contesto.

Per quanto concerne l’Opera in Rosso 2019 Terre di Pisa Sangiovese Doc, in realtà, di assaggi ce ne sono voluti tre, perché tale era lo stupore e il piacere provato, nell’incontrare nel mio calice un vino in grado di ricalcare esattamente ciò che aspettavo da anni in termini interpretativi che stentavo a crederci. Il perché dell’esaltazione di questa referenza (in oltre 2000 vaneggiamenti enoici scritti – social a parte -, credo si continuo sulle dita di una mano i pezzi dedicati a un unico vino) non è appannaggio dell’azienda che lo produce, bensì di un intero territorio, in quanto l’Opera in Rosso non è la sola declinazione di Sangiovese valida (Fibbiano, Ghizzano, Castelvecchio e Badia di Morrona ne producono di ottimi) e, soprattutto, non è l’unico vino degno di rendere onore a un territorio sin troppo spesso sottovalutato, probabilmente per la varietà di proposte con il quale si presenta sui mercati e nei calici. Fattore che, però, non deve necessariamente essere un minus, laddove il comun denominatore da preservare e valorizzare resta la territorialità. Sì, perché, pur trattando in questo pezzo di un elogio al Sangiovese in purezza (chi mi conosce sa quanto io sia riluttante nei confronti di questo termine), è solo bypassando il varietale e dando maggior importanza al territorio e al terroir nella sua completezza, come si confà ai grandi vini. Ecco perché di questo Sangiovese ho apprezzato particolarmente la palese volontà di non scimmiottare gli ovvi riferimenti nell’immaginario enoico collettivo (ergo, nell’aspettativa, ogni qualvolta ci si ritrovi nel calice un Sangiovese) e di continuare, invece, nella strada intrapresa con la prima annata (2010) e maturata di vendemmia e vendemmia, di vinificazione in vinificazione. Un percorso volto a valorizzare i connotati dei Sangiovese di queste terre, andandone a smussare le ruvidità a esaltarne il nerbo, la materia e la mineralità di cui sono naturalmente dotati. Nello specifico, le uve che contribuiscono alla produzione della manciata di bottiglie prodotte di Opera in Rosso provengono da vigne di ca. 30 anni del Podere la Chiesa, nell’omonima località, con esposizione a sud-ovest su un terreno argilloso ricco di conchiglie fossili, tipico di queste zone. La zona gode fortunatamente di una posizione ideale, aperta sui quattro punti cardinali, accarezzata da una brezza proveniente dal mar Tirreno che garantisce sollievo anche in annate calde e rende salubre il microclima tenendo a bada l’umidità. Nonostante ciò è fondamentale la conduzione agronomica sia in quanto a gestione della parete fogliare che nei riguardi delle lavorazioni del terreno, ancor più con questa “sovra-esposizione”. Il Sangiovese atto a divenire Opera in Rosso fermenta spontaneamente in acciaio a temperatura controllata, macerazione non prolungata e affina in tonneau da 500l di Vosges e in botticelle da 1000l di Slavonia.

Un vino classico nelle forme e contemporaneo nell’esprimersi con estrema armonia tra la più opportuna maturità di frutto e la freschezza di un fiore nitido come mai prima d’ora (merito anche dell’annata) in questo vino; la spezia varietale e quella dovuta all’affinamento sembrano confondersi in un intrigante complemento olfattivo che fa da preludio a un sorso fiero, ampio a centro bocca, eppure teso e vibrante, tonico e longilineo nella sua fisicità. Trama tannica ben definita, ancora in quel benefico limbo che da un lato fa del grip uno strumento a tavola e dall’altro fa lavorare di prospettiva, come si confà ai grandi vini base Sangiovese (e non solo). Chiude tra ferro e sale, saporito, umami e decisamente lungo. Bravi Maurizio e Palma!

Eleganza, agilità e profondità. Doti proprie di un vino che, a mio parere, dimostra che anche nelle Terre di Pisa il Sangiovese “bono”… “Si – può – fare!”
F.S.R.
#WineIsSharing
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.