Villa Mongalli e l’elogio della pazienza in cantina – Distintive le interpretazioni di Sagrantino e Trebbiano Spoletino

Oggi vi porto a Bevagna, in Umbria, per approfondire la filosofia e il terroir, in senso stretto e in senso lato, di una delle cantine più interessanti dell’areale del Sagrantino: Villa Mongalli.

bevagna vigne villa mongalli


Non ho mai nascosto il mio rapporto conflittuale con il Sagrantino e, altresì, la mia grande fiducia per le prospettive di quello che, ormai, ha dismesso la casacca dell’outsider iniziando a brillare di luce propria con maggior consapevolezza e concretezza, ovvero il Trebbiano Spoletino. Eppure, nella dicotomia, oggi ancor più enfatizzata e divisiva, fra chi vorrebbe un Sagrantino più “pronto e agile” e chi, invece, ne vorrebbe esaltare quelle doti intrinseche capaci di emergere solo dopo lunghi affinamenti in legno e in bottiglia, io mi trovo a comprendere entrambi gli estremi e, forse, a capire meno il “vorrei man posso” di chi sosta nel mezzo. Sì, perché è possibile pensare – con l’evoluzione tecnica e tecnologica – a un Sagrantino meno ostico e più votato a mostrare una freschezza e una dinamica di beva non più ostacolata dalla sua proverbiale trama tannica ma è, altrettanto, comprensibile e lodevole volerne rispettare con garbo e pazienza la sua naturale predisposizione alla lenta evoluzione, concedendo al tempo di smussare gli spigoli del vitigno più tannico al mondo.
Mentre mi risulta più complesso comprendere chi immette prematuramente sul mercato vini che non solo non hanno ancora addomesticato la propria scalpitante tannicità ma ancor meno hanno raggiunto quell’armonia olfattiva e strutturale che predispone all’eleganza.
Faccio questa premesse perché Pierpaolo Menghini, nella sua azienda vitivinicola di famiglia Villa Mongalli, ha creduto, sin dal principio, in un Sagrantino che andasse oltre i disciplinari nelle rese e nei tempi di uscita. Estremi che non ha, però, mai voluto far pesare sul consumatore, bensì si è caricato, con non pochi sacrifici, sulle spalle, in particolare, in termini di stoccaggio. Lo ha fatto e lo fa uscendo molto più tardi della maggior parte dei produttori locali (immaginate l’impegno iniziale nell’attendere e nel custodire questi vini in cantina), nella convinzione che il tempo sia il miglior “coadiuvante enologico” per il Sagrantino.

Nei 15 ettari di proprietà (con impianti iniziati nel 2001), con altitudini fra i 350 e i 400 metri s.l.m. Pierpaolo e la sua famiglia coltivano in prevalenza Sagrantino (che occupa più della metà del parco vigne aziendale), poi Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot, Petit Verdot e due ettari di Trebbiano Spoletino, varietà a cui Villa Mongalli tiene molto e nella quale è stata fra le prime a credere (impianto del 2009).
L’altitudine, le esposizioni e la pedologia dei vigneti aziendali vantano peculiarità atipiche per la zona, tanto da permettere a Villa Mongalli di spingere le proprie vendemmie più avanti come epoca di raccolta e di ottenere maturità fenoliche e aromatiche che siano più in linea con quelle tecnologiche che in altre zone dell’areale. Questo, unitamente a una gestione delle rese ponderata in base ai “cru” ma sempre orientata a cifre molto contenute (nel Sagrantino andiamo dai 50q/ha ca. sino ai 25q/ha), porta vini molto concentrati ma equilibrati nel rapporto fra materia, nerbo acido e tannini. Una filosofia che parte dalla vigna per poi proseguire in cantina, dove si vinificano tutte le uve separatamente e si cerca di distinguere anche le singole parcelle, in modo da poter andare ad esaltare con grande sensibilità interpretativa le specifiche pedoclimatiche di ciascuna vigna. Importante sottolineare che i vini, seppur a lungo affinamento, prevedono un utilizzo dei solfiti è ridotto al minimo, in virtù di vinificazioni accorte e controllate e, per quanto concerne il Sagrantino, dell’importante quota polifenolica.
Riguardo ai cru di Sagrantino, nello specifico, ne vengono prodotti tre con le seguenti peculiarità:

Pozzo del Curato: siamo nella parte più bassa (che risponde molto bene alle annate calde e siccitose) impiantato su un terreno meno sciolto, ricco potassio. Qui le rese sono di 50q/ha (parte più bassa). Nell’annata 2012, degustata recentemente, evidenti i frutti di bosco, intrigante la speziatura pepata. Più agile il sorso, dotato di minor concentrazione, con tannini per nulla sgarbati. Chiude ematico.


Della Cima: vigna situata nella parte più alta del parco aziendale, con un terreno sciolto, argilloso, ricco di magnesio. Qui le rese si aggirano attorno ai 25q/ha. Ne scaturiscono vini che, come nell’annata 2010, risultano ricchi nei piccoli frutti rossi, profondi nel sottobosco e nel cuoio, con un notevole bilanciamento fra struttura e acidità e tannini netti e ben definiti. Chiude saporito.


Colcimino: si tratta di una parcella a ca. 1,5km dall’azienda, guardando verso Montefalco, su un piccolo colle, con terreno non sciolto, dotato di grande equilibrio di microelementi. Il Sagrantino che vi si produce (a stupirmi particolarmente è stata l’annata 2007) è potente ma, al contempo, suadente nel frutto giustamente maturo e negli accenni terziari di cuoio e tabacco, rinfrescati da sfumate note balsamiche. Il sorso è integro, fiero, profondo e i tannini ben polimerizzati. La chiusura è umami.

N.B.: le annate prese in considerazione sono estrapolate tra gli assaggi fatti durante le mie ultime due visite all’azienda, nelle quali ho avuto modo di approfondire la storia produttiva di Villa Mongalli attraverso profonde verticali di ogni referenza.

Distintivo anche il Montefalco Rosso “Le Grazie” un vero e proprio compendio della base ampelografica aziendale, che nell’annata 2016 esprime la capacità di questo territorio e della mano di Pierpaolo e del suo enologo Emiliano Falsini, di connotare in maniera nitida ogni vino. Un vino ricco ma al contempo fresco, materico ma in grado di distendersi con buona agilità e profondità. La trama tannica è cesellata e il finale sanguigno invoglia al prossimo sorso.

In fine, il Trebbiano Spoletino nelle due interpretazioni proposte da Villa Mongalli:

Calicanto: solo acciaio per esaltare l’identità varietale che, come nella 2021, si manifesta nella sua energica freschezza e nella sua spiccata mineralità. Frutto giallo, fresco, erbe officinali, agrume e tratti iodati per un Trebbiano Spoletino agile e dinamico ma non esile, grazie all’apporto materico delle fecce fini. Sapidissimo il finale.

Minganna: nell’idea di voler proporre due espressioni differenti del Trebbiano Spoletino non poteva mancarne una in cui la varietà dimostrasse la sua attitudine a mantenere salda la propria identità anche in legno, persino dopo un anno di botte di rovere di Slavonia. La 2019 si presenta come un vino ricco nel frutto, con note fumé ben integrate, salvia limonata e lievi note di resina. Il sorso è ampio, consistente ma è l’acidità a tendere il corpo tanto da conferirgli notevole spinta e allungo. La chiusura è persistente nelle percezioni minerali saline.

Villa Mongalli è una realtà che non ama stare sotto le luci dei riflettori ma meriterebbe quelle della ribalta, in quanto portatrice di una grande onestà intellettuale ed enoica, nonché di una caparbietà non scontata. Non amo personificare i vini ma è difficile non notare quanto la personalità di Pierpaolo e le idee portate avanti con grande coerenza dalla sua famiglia e dalla sua azienda si rispecchino in ogni referenza prodotta e, in particolare, nei Sagrantino.
In un’epoca in cui tutto corre più in fretta di quanto vorremmo Villa Mongalli rappresenta un elogio dell’attesa e della pazienza, nonché del rispetto per la materia prima e per il consumatore che andrà a godere di vini che usciranno dalla cantina solo e soltanto quanto ritenuti idonei a una beva armonica ed elegante, ma non per questo senza un’ulteriore prospettiva evolutiva.


F.S.R.

#WineIsSharing

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