Doc Roma- Una mera trovata commerciale o una reale possibilità di rilancio per il Lazio del vino?

Una Doc giovanissima dalla storia antichissima. La Doc Roma vuole emanciparsi dal ruolo di denominazione a trazione commerciale puntando a innalzare la percezione dei propri vini attraverso una viticoltura attenta e virtuosa e un approccio interpretativo sempre più sensibile e identitario. Le chiavi? Posizionamento ed enoturismo.

Pur essendo il fulcro storico delle viticoltura italiana, nonché uno degli areali più vocati in quanto a condizioni pedoclimatiche, fertilità dei suoli, varietà e duttilità ampelografica e variabilità altimetrica, quella del Lazio rischia, spesso, di essere percepita come una ragione poco appetibile per appassionati e addetti ai lavori. Eppure, è proprio qui che un manipolo di virtuose e lungimiranti realtà vitivinicole hanno pensato di rievocare i fasti enoici dell’antica Roma, attraverso un’operazione che sembra assurdo non sia stata realizzata prima. Parlo della creazione della DOC Roma, denominazioni d’origine che non deve far pensare a una mera trovata commerciale, in quanto prega di valori territoriali di sicuro interesse.
La DOC Roma si estende su un’area caratterizzata da una grande varietà di territori. Le colline e i monti che circondano la città di Roma offrono diverse tipologie di suolo e microclimi, che conferiscono originalità e peculiarità ai vini prodotti. Si tratta di una vasta area geografica sita nella parte centrale della regione, che comprende i territori litoranei, la Sabina romana, i Colli Albani, i Colli Prenestini e parte della campagna romana in provincia di Roma.
La formazione dell’area circoscritta alla produzione di vini Roma Doc risale al Quaternario (o Neozoico) e si divide in due unità geologiche: le aree pianeggianti della valle del Tevere e dell’Aniene, in cui si trovano i sedimenti marini costituiti da un substrato di sedimenti alluvionali. L’area interna determinata dalle eruzioni del Vulcano laziale, risalenti alla fine del Pliocene, nella quale i terreni sono composti da vari tipi di tufo a cui si sono sovrapposti ceneri e lapilli depositati in strati di notevole spessore e cementati in misura diversa. In generale si tratta di suoli molto drenanti, particolarmente adatti alla coltura del vigneto.
L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 0 e i 600 m s.l.m., con pendenza variabile; l’esposizione generale è orientata verso ovest, sudovest e sud. Pendenze ed esposizione sono due elementi fondamentali alla determinazione di un clima arioso e luminoso, garanzia di uno sviluppo sano e ricco delle uve che concorrono alla produzione dei vini Roma Doc. Il clima è di tipo temperato-mediterraneo ed è caratterizzato da precipitazioni medie più copiose nelle zone più alte. Le temperature sono più alte nei mesi luglio, agosto e più basse da novembre ad aprile, con escursioni termiche importanti nelle zone collinari. Fattori questi che determinano lo sviluppo degli aromi del vino e che fanno della zona delimitata alla produzione di vini Roma Doc un territorio altamente vocato alla produzione di vini di pregio.


Nella DOC Roma, i vitigni autoctoni e internazionali si fondono armoniosamente per produrre vini di grande fascino. Tra i vitigni tipici a bacca bianca spicca la Malvasia Puntinata (o del Lazio), ma anche la Malvasia di Candia, il Trebbiano Verde (Verdicchio), il Bellone (Cacchione nel nettunese), il Bombino, il Greco b., il Trebbiano giallo e le internazionali viognier, sauvignon e chardonnay. Mentre tra le varietà a bacca nera, oltre ai tipici Montepulciano, Sangiovese e Cesanese (di Affile e “comune”), i produttori possono contare su una buona disponibilità di Syrah, Cabernet Sauvignon, Merlot e altre varietà internazionali.

Se questa è la base ampelografica territoriale in grandi linee, è importante, però, conoscere le dinamiche relative ai disciplinare di produzione delle referenze in denominazione:

  • Bianco e “Romanella” spumante:
    Malvasia del Lazio non meno del 50%
    Bellone, Bombino, Greco b., Trebbiano giallo, Trebbiano verde da soli o congiuntamente per
    almeno il 35%
    Possono concorrere altri vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione per la Regione Lazio sino a
    un massimo del 15%.
  • Rosso, rosato:
    Montepulciano non meno del 50%
    Cesanese comune, Cesanese di Affile, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Sirah da
    soli o congiuntamente per almeno il 35%
    Possono concorrere altri vitigni a bacca rossa idonei alla coltivazione per la Regione Lazio sino a un
    massimo del 15%.
    La denominazione di origine, “Roma”, con la specificazione di uno dei seguenti vitigni:
  • Malvasia puntinata
  • Bellone
    è riservata ai vini bianchi ottenuti da uve provenienti da vigneti costituiti per almeno l’85% dai
    corrispondenti vitigni. Possono concorrere altri vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione per la
    Regione Lazio sino a un massimo del 15%.

Possono fregiarsi, quindi, della denominazione “Roma Doc” sette tipologie di vino bianco (“bianco”, “Classico bianco”, “Bellone”, “Classico Bellone”, “Malvasia puntinata”, “Classico Malvasia puntinata”, “Romanella spumante”); due tipologie di vino rosato (“rosato”, “Classico rosato”) e quattro tipologie di vino rosso (“rosso”, “Classico rosso”, “rosso Riserva”, “Classico rosso Riserva). La specificazione “classico” è consentita per i vini della zona di origine più antica, ovvero la più vicina al territorio urbano della Capitale, ad esclusione della tipologia Romanella “spumante” e la versione amabile.

Da par mio ho voluto approfondire le dinamiche territoriali partendo dai vigneti, per poi passare alla degustazione di oltre 60 referenze suddivise equamente fra bianchi e rossi, con una piccola parentesi in “rosa” (che confido prende sempre più piede in un’area che ha tutte le carte in regola ampelografiche, pedoclimatiche, tecniche e commerciali per fare dei Rosati una produzione vincente sia a livello locale che internazionale).
Ecco quindi che il mio focus sull’areale o, per meglio dire, sugli areali della Doc Roma è stato rappresentato da tre giorni intensi e decisamente costruttivi che mi hanno permesso di comprendere quali siano le proiezioni future della denominazione. Una DOC che sta dimostrando di essere ben più di una mera trovata commerciale e di avere molti valori intrinseci da poter comunicare, dalla vigna al bicchiere, consci del peso del nome riportato in etichetta. Fondamentale nella comunicazione di questi valori saranno i giovani produttori e vignaioli che, fortunatamente, in quest’area non mancano e sembrano pronti ad agevolare un ricambio generazionale capace di attingere al meglio ci ciò che è stato, scevro da retaggi culturali arcaici che rischierebbero di frenarne la crescita, con una visione più ampia e attuale del mondo del vino in senso stretto e in senso lato.

Per quanto riguarda la degustazione dei vini della denominazione, è palese che sia la strada bianchista quella più concreta e già ben delineata, con una sempre più evidente convergenza interpretativa, specie quando si parla di Malvasia Puntinata (senza dimenticare Bellone e Trebbiano Verde), mentre per i rossi la variegata tavolozza ampelografica può e deve divenire un vantaggio solo e soltanto anteponendo l’identità territoriale alle dinamiche varietali.
Come già accennato, nonostante la produzione sia ancora risicata, sarà interessante esplorare il potenziale dei rosati che per vocazione territoriale e vitigni disponibili (in particolare Montepulciano, Cesanese e Syrah) possono sicuramente rappresentare un’opportunità per i produttori locali. In ultimo, ma non di certo per importanza, lo stato dei vigneti che, nonostante le difficoltà del finale di primavera, ha evidenziato una gestione agronomica accorta ed efficace con un virtuoso contenimento della peronospora (molti dei vigneti visitati erano in bio). Un territorio capace di coniugare numeri e qualità, valori e attitudine commerciale, attraverso una gestione virtuosa a 360° e un rinnovato orgoglio che si percepisce in ogni singolo produttore, motore primario per svincolarsi da preconcetti e cadute di stile ormai relegate al passato.
In conclusione quello della DOC Roma è un territorio vitivinicolo che merita di essere visitato e apprezzato per la sua storia, la sua cultura e i suoi vini degni compagni delle eccellenze gastronomiche locali ma anche capaci di grande versatilità in termini di abbinamento a livello nazionale e internazionale. Quella che si respira, oggi, nelle realtà del territorio è una giusta commistione di tradizione e innovazione, volta a valorizzare in maniera nitida, pulita e determinata le personalità distintive di ogni zona e di ogni varietà in maniera individuale o negli equilibrati blend di territorio. Credo che l’aspetto meramente commerciale e di “marketing” legato all’utilizzo del nome della città eterna in etichetta non possa e non debba diventare un limite o un freno per la ricerca della qualità e per la possibilità di anelare a una percezione più alta dei vini locali. Proprio per questo sarà fondamentale avere una scala di valori più orientata verso l’alto, con selezioni e “riserve” che ricalchino un posizionamento più gratificante per i produttori e per la denominazione stessa, che altrimenti rischierebbe di cadere nella “sindrome del turista”, nota per provocare una stasi nei territori che ne sono “afflitti”. Per intenderci, se si vende tutto troppo facilmente ma solo a un target parzialmente o totalmente “errato” e livellato verso il basso in termini di contezza enoica e di percezione della qualità, non si sente l’esigenza di migliorare e di alzare l’asticella sia in termini qualitativi che di posizionamento.

E’ proprio l’enoturismo, infatti, a rappresentare un’opportunità per la valorizzazione diretta di un’area così ricca di storia e cultura, nella quale i vigneti coesistono con testimonianze archeologiche, come le antiche rovine romane, i castelli medievali e le ville rinascimentali. Uno scenario di sicuro impatto, anche per un viaggiatore avvezzo alla bellezza dei contesti vitivinicoli quale sono, ma non deve diventare un vincolo troppo forte con il passato.
La DOC Roma, infatti, può fare di tale bellezza e suggestione un’arma vincente per l’enoturismo di qualità, accogliendo i visitatori con esperienze di livello che non sfocino nella banalità e nella ridondanza, bensì offrano molteplici opportunità sia in termini di visite in cantine che di degustazioni guidate. Di certo avere Roma come riferimento principale non può che aiutare in questi termini ma non sempre la facilità di accesso a una grande mole di visitatori si rivela necessariamente un volano per l’innalzamento della qualità.

Sono certo che i produttori del consorzio di tutela vini doc Roma nato da pochi anni (2011) ma già decisamente attivo nelle dinamiche di divulgazione e promozione territoriali non cadranno in questo tranello, orientando la propria produzione a livelli sempre più alti, con un occhio di riguardo verso la sostenibilità e la tutela del patrimonio paesaggistico e di biodiversità che queste aree possiedono, nonostante la vicinanza con la capitale. Dopo questo viaggio e gli assaggi fatti, non posso che confermare la sensazione di una crescita graduale ma fondamentale della consapevolezza nelle proprie potenzialità e nell’interpretazione di vini che possono raggiungere apici qualitativi degni di nota, da valutare senza alcun preconcetto. Io tornerò presto, per dei focus mirati sulla pedologia delle aree vulcaniche, sul mesoclima di alcune “sottozone” e sulla predisposizione di alcune varietà alla produzione di vini altamente contemporanei, freschi, agili e di notevole luminosità e finezza.

F.S.R.

#WineIsSharing

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