L’uvaggio tipico “friulano” come chiave per valorizzare l’identità territoriale dei vini del Collio e non solo!

L’uvaggio e/o il vinaggio “classico” del Friuli e, in particolare, del Collio fa dell’incontro fra Friulano, Ribolla Gialla e Malvasia Istriana una chiave di lettura tanto tradizionale quanto contemporanea per valorizzare l’identità del territorio.

Il Friuli Venezia Giulia è una delle regioni vitivinicole più importanti d’Italia per storicità, apici qualitativi raggiunti e per la preparazione tecnica diffusa, dalla vigna alla bottiglia.

Una regione con areali diversi fra loro, per pedologia, micro-climi e altimetrie e con basi ampelografiche a dir poco ampie, in cui vitigni tipici e varietà alloctone convivono senza pestarsi i piedi. Eppure, proprio questa varietà di possibilità, offerte e, conseguentemente, di interpretazioni rende molto difficile (fatta eccezione per alcune particolari zone legate a una singola varietà) trovare delle identità definite e riconoscibili in cui territorio, vitigni e uomo si fondano in maniera armonica, senza storture di sorta. Basta aprire una brochure o un sito di una realtà di alcune realtà regionali per comprendere quanto la possibilità di andare ad attingere a zone diverse in funzione di uve differenti, con spiccata vocazione, abbia spinto gli abili produttori di molte delle denominazioni locali a impiantare e a realizzare tante (forse troppe?!?) referenze, per lo più in purezza e in differenti declinazioni. Referenze che se da un lato confermano la versatilità e la qualità del lavoro fatto da produttori locali permettendo di accontentare una platea di buyers e consumatori più ampia, dall’altro possono creare confusione in termini di identità e necessitano di molte energie in campagna, in cantina e dal punto di vista commerciale per essere prodotte con tale qualità.

Come già ampiamente discusso con alcuni produttori e consorzi e come descritto nel mio articolo relativo alla complementarietà varietale, credo che una delle soluzioni, se non “La Soluzione”, possa essere rappresentata dall’uvaggio (qualora si disponesse di vecchi vigneti o si decidesse di attuare una gestione agronomica orientata alla possibilità di poter raccogliere le uve contemporaneamente e, quindi, di poterle cofermentare) o il vinaggio (nel caso di vigneti specializzati di più recente concezione che renderebbero più plausibile la raccolta (specie se in zone differenti) e la vinificazione separata, per poi passare, successivamente, all’assemblaggio, taglio o blend, che dir si voglia, ricercando l’equilibrio sulla base delle percentuali “tradizionali” e dell’annata.

Nulla di nuovo, se non fosse che molti produttori hanno smesso di produrre questi vini “classici” in favore della purezza, o relegato l’uvaggio o il vinaggio di territorio a vino di seconda fascia, come a voler dichiarare si tratti di un vino di ripiego, in quanto le migliori uve sono state destinate alle etichette monovarietali.

Eppure, c’è una denominazione che questo concetto lo aveva e lo ha tutt’ora in disciplinare seppur con un’apertura, forse, troppo ampia alle varietà “internazionali” (non tanto per la loro “non tipicità”, dato che in questo territorio gli alloctoni si sono adattati, talvolta, tanto quanto i vitigni tipici/storici locali) creando una varietà di interpretazioni favorite in termini aromatici e di equilibrio (con più “colori sulla tavolozza” ognuno può trovare la propria cifra stilistica e il proprio gusto in maniera sicuramente più caratterizzata) ma non in termini di identità e riconducibilità territoriale. Parlo, ovviamente, del Collio e del Collio Bianco Doc. Tipologia che, oggi, è possibile produrre da questi vitigni: Chardonnay, Malvasia Istriana, Picolit, Pinot bianco, Pinot grigio, Riesling italico, Riesling renano, Ribolla Gialla, Sauvignon, Friulano e con un massimo 15% degli aromatici Taminer e Muller Thurgau. Capite bene che, a prescindere dall’indubbia qualità raggiunta da molti dei vini che portano in etichetta questa DOC, non è semplice mantenere e dimostrare un’aderenza territoriale che possa essere diffusa e condivisa in maniera equa e coerente, ma si lascia molto più spazio al virtuosismo del singolo. Proprio per questo stanno nascendo gruppi di produttori che sentono forte la necessità di distinguere il proprio Collio Bianco da “uve autoctone” da quello “generico”.

Una delle caratteristiche distintive del Collio Bianco è la pratica dell’uvaggio di vigna, una tecnica di coltivazione tradizionale che prevede la coplantazione di diverse varietà di uve nello stesso appezzamento di terreno. Questa pratica è stata preservata nei vecchi vigneti e riadattata ai giorni nostri distinguendo le varietà per filare o per parcella.

Per quanto riguarda la base ampelografica, nonostante le esigenze del passato fossero più orientate a distribuire il rischio e all’ottenimento di una produzione il più costante possibile per portare a casa quello che era a tutti gli effetti un alimento, è difficile – con cognizione odierna – pensare a un trio più complementare e potenzialmente armonico di quello dato da Friulano, Ribolla Gialla e Malvasia. Il Friulano: conosciuto anche come Tocai Friulano in passato (sappiamo tutti com’è andata a finire ma io, onestamente, non me ne sono mai rammaricato così tanto, visto che il nome odierno è un inno alla riconducibilità territoriale), è un vitigno capace di produrre vini bianchi secchi e freschi con una nota distintiva di mandorla amara e una moderata acidità. Più che la base è il pilastro dell’uvaggio o del vinaggio (con le dovute differenze) di territorio, attorno e sopra al quale si costruisce la complessità, il piglio, lo slancio e la prospettiva del vino che era tipico, classico e che può e deve tornare a essere rappresentativo, potendo contare su un’identità fortemente contemporanea. La Ribolla Gialla: altra varietà storica, la più acida delle tre ma anche più tannica. Un profilo organolettico in che può apportare al compendio territoriale quella sferzata di freschezza, agile e vibrante, e quella tessitura polifenolica e minerale che occorrono per rendere ancor più completa la personalità di questi vini. La Malvasia Istriana: non la “solita Malvasia”, tanto che tra tutte le genetiche appartenenti alla grande famiglia dell’uva originaria – probabilmente – della città greca di “Monemvasía”, è quella meno aromatica, più fine e minerale. Nel Collio Bianco, la Malvasia Istriana dona ai vini un carattere speziato, fruttato con sentori di pesca e fiori bianchi ma, anche volume e profondità. Se con la macerazione la Ribolla esprime la sua caratteristica tessitura tannica, nel caso della Malvasia ricorrere a ponderate macerazioni prefermentative o fermentative più incidere positivamente sull’esposizione terpenica e sull’espressività aromatica varietale.

La combinazione di queste tre varietà autoctone dà vita a vini bianchi eccezionali che esprimono appieno la tipicità del territorio del Collio e, più in generale, della regione, con le dovute differenze ed eccezioni. Per quanto riguarda la scelta in termini di vinificazione, l’uvaggio può vivere una seconda gioventù, portando quello che era un concetto di impianto (difficile da replicare ex-novo oggi, ma non impossibile e interessante se si pensa a quanto si potrebbe fare con contezza e obiettivi odierni, adottando i giusti portainnesti e le più opportune accortezze agronomiche, finalizzate a orientare le uve a una raccolta coeva) con obiettivi sicuramente differenti verso un più contemporaneo approccio alla complementarietà varietale in coplantazione, il vinaggio può contare sulla preparazione e l’esperienza di produttori ed enologi che hanno affinato l’arte dell’assemblaggio, bilanciando le caratteristiche uniche di ciascuna varietà per creare vini armonici, eleganti e dal profilo gustativo complesso.

Il Collio Bianco rappresenta una strada, non esclusiva, per permettere al Collio (lo stesso concetto può essere allargato ad altre denominazioni regionali) di mostrarsi più coeso, fondendo tradizione e innovazione per creare vini bianchi di assoluta qualità. L’incontro tra le varietà autoctone Friulano, Ribolla Gialla e Malvasia Istriana rende i vini del Collio Bianco tra i più riconoscibili e identitari, fra le espressioni non in purezza prodotte in Italia e, di certo, la più caratteristica tra quelle in bianco. Per questo, mi chiedo se non sia il caso di creare un’accezione della tipologia che permetta questo distinguo non esclusivo e/o qualitativo (le versioni che contemplano altre varietà possono convivere con questa “tipologia”, tanto che alcuni dei produttori che hanno deciso di produrre un Collio Bianco da uvaggio o vinaggio “classico” ne producono anche una versione da blend con internazionali) a livello ufficiale che permetta di riportare in etichetta termini quali, che so, “tradizionale”, “storico”, “tipico” o “classico” (ovviamente alcuni di questi termini sono normati e non possono essere utilizzati in etichetta se non in base a particolari requisiti e per alcuni disciplinari di produzione. Vedi menzione “classico”.).
Per la terra dei “super whites” che tanto successo hanno avuto e che, purtroppo, oggi non conservano l’appeal di un tempo (anche a causa del cambiamento climatico che qui, più che in altri territori, ha portato a gradazioni importanti e maggiori difficoltà nel produrre vini più freschi, agili e fini), poter contare su un’idea di vino con maggiori possibilità di equilibrio del singolo vitigno, con un’identità netta e distinguibile nonostante le diverse interpretazioni e, soprattutto, con un piglio capace di attingere dal passato per esprimere grande contemporaneità, è un’occasione da non perdere. In particolar modo, in un periodo in cui a livello nazionale e internazionale si stanno evidenziando una ricerca e un interesse sempre più orientati al territorio e non più così fortemente legata al varietale in purezza (che continua a rappresentare una scelta commerciale vincente su molti mercati ma che non è più una soluzione obbligata).

I vini che ho avuto modo di assaggiare negli ultimi anni, prodotti da Friulano, Ribolla e Malvasia restano, ad oggi, alcune delle espressioni del Collio che di più ho apprezzato e confido di potermene ritrovare nel calice sempre di più nelle annate a venire. Vini che non richiedono un allineamento totale sulle percentuali e che lasciano un buon margine di manovra ai singoli produttori per delineare le propria personalità. Un modo per rendere contemporanea la tradizione, grazie alla maggior consapevolezza tecnica e a una conoscenza delle varietà, della pedologia e dei micro-climi locali più approfondita di quella di un tempo. Il fatto che molti giovani produttori si stiano adoperando in tal senso fa ben sperare! Staremo a vedere, ma io sono fiducioso!

F.S.R.

#WineIsSharing

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