Il mondo del vino è fatto di viaggi dentro, fuori e attorno ad un bicchiere e molti di questi viaggi hanno come meta degli incontri più o meno inaspettati.
E’ proprio in uno di questi viaggi che ho avuto modo di incontrare la persona che ospito oggi in questo Wine Blog: Matteo Bernardi.
Matteo è il sommelier de Le Calandre, ristorante della famiglia Alajmo Sarmeola di Rubano (Pd) tre stelle Michelin da 16 anni e tra i “World’s 50 Best Restaurants” (31° posto nel 2019).
A colpirmi sin da subito è stato quel giusto e raro “blend” di garbo e ironia che si traducono in un approccio al suo lavoro dinamico e vivo, mai noioso o pedante.
Quando mi trovo sulla stessa lunghezza d’onda con persone con le quali condivido questa grande passione che è il vino, non posso che lasciar spazio alle loro parole.
Eccovi la mia chiacchierata con Matteo Bernardi Sommelier de Le Calandre:
Cosa significa essere sommelier e cosa esserlo in un grande ristorante come Le Calandre?
Essere Sommelier significa essere curiosi, avere la voglia di scoprire sempre gusti nuovi. Essere sommelier a Le Calandre, non è molto diverso bisogna solo avere molta curiosità e soprattutto bisogna avere l’umiltà di saper apprendere ogni giorno qualcosa in più, significa non sentirsi mai arrivati, ma sempre al punto di partenza.
Sommelier lo si diventa, e non di certo con il diploma. Ricordo il responsabile del corso Ais alla prima lezione: “Alla fine di questo corso avrete un diploma, ma non sarete sommelier… per esserlo dovrete bere tanto” noi ridemmo, ma aveva davvero ragione.
Essere sommelier ti “obbliga” a vedere il vino come un lavoro, ma riesci a far combaciare con l’aspetto professionale anche la passione per questo meraviglioso mondo?
Nel momento in cui il tuo lavoro é la tua passione diventa tutto più semplice. Quando sono seduto al ristorante si abbassano le barriere, e semplicemente ordino quello che mi va di assaggiare oppure mi lascio trasportare… la differenza è la consapevolezza!
Quali sono gli aspetti del tuo lavoro che ami di più e quali quelli che ti mettono più alla prova?
Del mio lavoro amo profondamente le sfide; ogni tavolo è un ristorante a se, quindi bisogna captare ogni indizio che i commensali mandano per cercare di dar loro quello che cercano. E poi c’è la parte di ricerca che è affascinante, che ti permette di viaggiare, magari restando nella stessa stanza.
Allo stesso tempo queste sono anche le cose che più mi mettono alla prova, perché richiedono sforzi importanti oltre che ad un dispendio di tempo non indifferente.
Essere Sommelier, specie in un ristorante come Le Calandre, significa anche avere una buona dose di empatia e captare in pochi istanti gusti e personalità dei clienti. Ti senti un po’ psicologo durante il servizio?
Come dicevo poco fa ogni tavolo è un ristorante a sé, e di conseguenza chiunque lavori in sala dev’essere un po’ psicologo, dal maître al commis di sala.
E’ la parte più divertente ma anche la più faticosa (sotto il punto di vista dello sforzo mentale) del nostro lavoro, cioè quella di anticipare le esigenze dell’ospite.
L’atmosfera in sala de Le Calandre è leggendaria. Come la definiresti dal punto di vista di chi è parte integrante di questa atmosfera?
A Le Calandre l’ingranaggio della sala gira in perfetta sincronia con quello della cucina; la filosofia della Famiglia Alajmo, messa magistralmente in atto da Andrea Coppetta Calzavara, è quella di trattare l’ospite come vorremmo essere trattati noi; una frase semplice che però racchiude un mondo di gesti, frasi, atteggiamenti che hanno un solo scopo, quello di far sentire il cliente a casa propria.
Cosa non dovrebbe mai mancare nella carta dei vini di un ristorante italiano?
La ricerca.
Sembra scontato ma non c’è nulla di peggio che trovare l’omologazione nelle carte dei vini.
Mentre in quella di uno stellato?
La ricerca e dev’essere la stessa ricerca che lo chef fa in cucina. Fondamentale se si vuole raggiungere l’eccellenza.
Come selezioni un vino da mettere in carta? Valuti il vino solo in base alle sue peculiarità organolettiche o reputi altrettanto importante la storia del produttore, le tradizioni e la cultura del territorio in cui nasce e/o il tuo legame con quello stesso vino?
Partendo dal presupposto che la scelta del vino è figlia di un lavoro di squadra, perché chiunque può proporre un vino; un vino entra in carta portando con se il bagaglio di cultura che contiene.
Se considerassimo il vino solamente come l’insieme di sensazioni date da componenti e reazioni chimiche, non staremmo qui a parlare (e molto probabilmente avremmo anche sbagliato mestiere); il Vino è carico di storie, legate alle persone, alla terra al tempo ed è tutto questo che noi vendiamo.
Quanto reputi importante l’abbinamento vino-cibo e quanto si può osare ancora? Il tuo abbinamento più “azzardato”?
L’abbinamento è molto importante perché vini diversi possono far cambiare la percezione dei piatti che si stanno degustando; ogni tanto mi diverto ad abbinare due vini totalmente diversi allo stesso piatto, per far vedere come due abbinamenti si possano considerare perfetti sotto punti di vista diversi. È una cosa che scombina gli schemi mentali che molti si fanno.
Moeche in tempura con un Nebbiolo giovane può essere un abbinamento divertente.
Quali sono i vini e i viaggi enoici ai quali sei più legato?
Può sembrare scontato, ma il Piemonte è una terra a cui mi sento legato, non fosse altro perché è stata la prima che ho visitato, enoicamente parlando. Alla fine però in ogni regione si possono raccogliere testimonianze di una cultura infinita, com’è quella del vino.
In un’era in cui alcuni valori cardine dell’educazione sembrano venir meno, quanto pensi siano importanti le doti dell’eleganza, del savoir faire e l’educazione stessa? La sala può essere un veicolo per questi valori?
La sala può rappresentare un mezzo, sicuramente valido per raggiungere questo scopo, ma non può certo essere l’unico. In sala si arriva già grandi, e capita spesso di dover essere genitori prima che colleghi.
Come definiresti il tuo rapporto con i fratelli Alajmo?
Loro sono trio che si completa a vicenda, tre fratelli molto diversi tra loro ma che hanno saputo lavorare insieme (ognuno mettendo le proprie capacità) per raggiungere i loro obiettivi; sono una grande Famiglia. Lavorare per loro è prima di tutto sposare il loro progetto, e quindi un po’ entrare a far parte di questa grande Famiglia
Concludiamo con un consiglio a tutti i giovani Sommelier che sognano di poter lavorare in un ristorante come Le Calandre.
L’unico consiglio che mi permetto di dare è quello di essere curiosi, di studiare sui libri ma soprattutto di parlare di vino con chi il vino lo fa. Sono convinto che il vino sia lo specchio di chi lo fa, e solo conoscendo chi si sporca le mani ogni giorno in campagna si può capire realmente che cosa c’è dentro quel bicchiere.
Ringrazio Matteo Bernardi per il piacevolissimo scambio di battute e la grande umiltà con la quale porta avanti il suo lavoro in sala e fuori dalla sala de Le Calandre. Per me è sempre un piacere dare risalto a chi riesce a comunicare il vino attraverso il lavoro in sala in contesto che, per quanto possa sembrare privilegiato, è intriso di impegno, ricerca e sacrificio molto più di quanto si possa pensare.
F.S.R.
#WineIsSharing
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