11 areali vitivinicoli da ri-scoprire

Alla luce dei viaggi fatti negli ultimi 12 mesi ho pensato di condividere con voi le mie personali valutazioni su quelli che sono gli areali vitivinicoli italiani più meritevoli di un focus ad hoc. Parlo di areali che per vari motivi hanno avuto delle flessioni negative negli ultimi anni e che hanno, a mio modo di vedere, subito gli esiti di una una percezione negativa prodotta da una comunicazione fuorviante e dalla mancanza di un ricambio generazionale importa. E’ proprio grazie all’acquisizione di una maggior consapevolezza e di una rinnovata volontà di dimostrare il proprio valore, nonché al fermento di giovani vignaioli e produttori lungimiranti, che questi territori, oggi, possono proporre spunti davvero interessanti per chi ama le dinamiche agronomiche ed enologiche, nonché per l’assaggio di vini sempre più validi.
Il mio invito è, ovviamente, ad approfondire i singoli areali recandovi in loco, visitando vigne e cantine, ma gli eventi enoici in programma sul tutto il territorio nazionale possono rappresentare valide occasioni per iniziare ad assaggiare i vini più rappresentativi di questi territori, conoscendo direttamente i produttori e programmando i vostri tour enoici per i prossimi mesi.

Eccovi i territori vitivinicoli da ri-scoprire

Val di Cembra
Uno degli areali più belli e suggestivi d’Italia. Un’enclave vitivinicola in cui centinaia di km di muretti a secco disegnano il profilo di vigne che alle più consuete forme di allevamento alternano la tradizionale pergola trentina.
Altitudine, terreno ricco di calcare attivo, grandi escursioni termiche giorno-notte, sono solo alcune delle peculiarità dei vigneti della Val di Cembra, in grado di dar vita a vini bianchi dalla componente olfattiva di grande impatto ed armonia, ma anche dalla freschezza e dalla mineralità sapida uniche.
Inutile ricordare che questo è uno degli areali più importanti per la produzione di Metodo Classico sia da autoctoni che da Chardonnay e Pinot Nero (rientra nella denominazione Trento Doc). A fare da eccellenti portabandiera di questa terra a me tanto cara ci sono i Cembrani Doc, un’associazione di produttori uniti dalla voglia di far conoscere la Val di Cembra attraverso vini e distillati di grande identità e qualità.
 
Montecucco 

In un paese ad alta densità vitivinicola come l’Italia è facile imbattersi in quelle che possono essere definite “terre di mezzo”, ovvero areali compresi e, a volte, compressi fra altri più noti territori a trazione enoica. Eppure, come spesso accade, nel vino come nella vita, è tutta una questione di tempismo e di congiunzioni “astrali” che portano alcune zone, ovviamente vocate, a divenire più note di altre.
Il Montecucco è, a mio modo di vedere, la “terra di mezzo” per eccellenza! Stretto fra le possenti braccia dei due “grandi fratelli” Brunello di Montalcino e Morellino di Scansano l’areale del Montecucco ha sempre fatto fatica a mostrare e dimostrare la sua indubbia vocazione, ma negli ultimi anni, grazie a un sempre più nutrito manipolo di produttori la musica sta cambiando palesemente!Il Montecucco vanta un pedoclima che definire adatto alla viticoltura sarebbe un eufemismo, in quanto tra i pochissimi in Italia a vantare peculiarità così idonee inserite in un contesto di biodiversità unica e di sapere e consapevolezza agronomica così radicati. Se la viticoltura è sempre stata presente in quest’area, con grande saggezza e rispetto, ciò che è mancato negli anni addietro è stato un approccio tecnico enologico che andasse ad enfatizzare in maniera nitida e sincera quelle che sono le peculiarità di questo areale potenzialmente secondo a nessuno. Oggi, ci siamo! E’ arrivato il momento del Montecucco! 
 
Terre di Pisa

La Toscana è senza tema di smentita la regione con il “brand” più forte sotto ogni punto di vista, ma ancor più se parliamo di vino, eppure c’è un areale che ci ha messo anni per riuscire a ritagliarsi lo spazio che merita e per costituire la propria denominazione: le Terre di Pisa. 
Questo è, sicuramente, uno degli areali che ho avuto modo di approfondire di più nell’ultimo lustro di scorribande enoiche, ma la sua ricchezza di sottozone e di conseguenti diversità espressive mi spinge a tornarvi di continuo, mosso sempre da grande curiosità. Delle Terre di Pisa fanno parte i micro areali di San Miniato nella Valdera, dei Monti Pisani, delle Colline Pisane, di Volterra nell’Alta Val di Cecina e della costa con Riparbella e il Montescudaio. Dall’entroterra alla costa, dall’alta collina al mare, questo macro areale, tra i meno conosciuti nella generosa e affollata Toscana del vino, rappresenta il focus ideale per chi ama scoprire e, ancor prima, cercare nuove realtà da vivere, conoscere e raccontare. 

Il mio consiglio è quello di prendere come riferimento un comun denominatore varietale come il Sangiovese per rendervi conto di quanto ogni singola sottozona possa incidere sulla produzione dei vini di questa denominazione. Troverete vini con uno spettro organolettico identitario e profondamente correlato alle specificità pedoclimatiche dei vigneti. Questo grazie, anche, ad un approccio che per la maggior parte delle aziende vinicole incluse nell’areale, è più che rispettoso in vigna e in cantina, tanto da far pensare che si possa arrivare presto ad un distretto unito non solo da dinamiche territoriali, ma anche da quelle dell’ecosostenibilità. 
Nelle Terre di Pisa troverete vigneti storici con vitigni solo da poco riscoperti da abili e coscienziosi vignaioli, nonché rarità come dei ceppi a piede franco di Tempranillo con una storia che non potrà che appassionarvi. 
 
Canavese – Carema & Erbaluce

L’anfiteatro morenico di Ivrea rappresenta una delle aree vitivinicole più interessanti del nord Italia e dell’intera penisola. E’ in questo areale che nascono due denominazioni con oltre 50 anni di storia ufficiale e molti secoli di grande viticoltura alle spalle: Erbaluce e Carema. Unitamente alla Doc Canavese la Docg Erbaluce di Caluso e la Doc Carema offrono uno spaccato di una viticoltura di alta qualità forte di un pedoclima ideale. Potrete spaziare da grandi bianchi, spumanti e passiti prodotti dal vitigno Erbaluce ai rossi di Carema base Nebbiolo. In particolare, troverete molto suggestiva la viticoltura eroica, oggi fortemente a rischio, sviluppatasi sulla montagna di Carema. 
Terrazzamenti scavati nella roccia, definiti da imponenti muri a secco, in cui le viti di Nebbiolo vengono ancora allevate con l’antica forma della topia (o topiun), tradizionali pergole sorrette da pilastri in pietra e calce dalla forma tronco-conica chiamati pilun che, oltre a rendere ancor più suggestivo il panorama vitivinicolo, hanno un effetto termoregolatore, immagazzinando calore di giorno e rilasciandolo di notte.Oltre al Canavese, consiglio di dedicare qualche assaggio anche ai vini delle altre denominazioni dell’Alto Piemonte, ovvero: Lessona, Bramaterra, Ghemme, Gattinara e Boca. 
 
Colli Orientali del Friuli

Dal Monte Bernadia al fiume Judrio, l’areale dei Colli Orientali comprende la fascia collinare della provincia di Udine con oltre 2000ha di terreni vitati. Da anni una delle mie mete fisse nei periodi salienti dell’annata, in quanto terra dalla rara ricchezza ampelografica, in cui varietali autoctoni (Refosco DPR, Pignolo, Schioppettino, Tazzelenghe, Friulano, Malvasia, Ribolla Gialla, Picolit, Verduzzo e altri vitigni “minori”) e alloctoni (Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Carmenere, Pinot Nero, Pinot Grigio, Sauvignon, Chardonnay ecc…) convivono in armonia lasciandosi allevare e vinificare con un livello di consapevolezza tecnica secondo a nessuno. 
E’ proprio il connubio fra il radicato rispetto della tradizione, trasmesso di generazione in generazione, e la profonda preparazione agronomica ed enologica dei vignaioli a rendere questo areale una tappa fondamentale per chi “sa di non sapere”. Per me, da sempre, una scuola di vita e di vino che non potevo non consigliarvi, specie in un momento di così grande fermento tra i giovani viticoltori locali. Saranno proprio i giovani produttori dei Colli Orientali a stupirvi con la loro totale abnegazione al far vigna e al fare vino, senza pregiudizio alcuno. La continua sperimentazione e la volontà di molti di lavorare sempre più in sottrazione rende ogni cantina di questa zona un’occasione di confronto propedeutica alla crescita della propria preparazione in termini agronomici, enologici e di degustazione. 
 
Conero

Sovrastato dall’imponente blocco di calcare chiamato Monte Conero, questo piccolo areale che ricade nella provincia di Ancona rappresenta un vero e proprio cru della viticoltura marchigiana.
Un suolo povero di sostanza organica ma molto ricco di calcare attivo unito al microclima marino, in cui l’esposizione solare e le brezze marine si compensano vicendevolmente permettendo ottima maturazione e grande escursione termica, rendono questo areale ideale alla viticoltura di qualità.Vigne incastonate in un contesto naturale unico nel suo genere in cui gli occhi e il cuore vi sapranno già anticipare molto di ciò che andrete a ritrovare nei vostri calici di Rosso Conero Doc e Conero Docg, ma anche di IGT bianchi in cui acidità e sapidità vi stupiranno!Non lasciatevi fuorviate dalle denominazioni, però! In questo territorio si stanno producendo anche degli ottimi bianchi, spesso IGT, sia da vitigni autoctoni che da alloctoni o da Incroci come il noto Incrocio Bruni 54.Che il periodo migliore per visitare il Conero sia l’estate credo lo sappiate già, ma vale la pena fare un salto in questo paradiso della natura in ogni periodo dell’anno.
 
Oltrepò Pavese
L’Oltrepò Pavese è, senza tema di smentita, tra le più importanti terre del vino italiane. Una provincia a forma di grappolo che ha da tempo immemore la viticoltura nel proprio DNA. Eppure, questo è un territorio colpito, negli ultimi lustri, da un’ondata di “autolesionismo”, che ha avuto la forza di depauperare ogni fonte di interesse per molti appassionati e non solo.Allora, perché ne sto scrivendo? Ovvio! Perché nei miei ultimi viaggio ho trovato un Oltrepò vivo che ha voglia di dimostrare il reale valore delle sue produzioni di nicchia e la continua crescita in termini di rispetto del territorio ad opera delle piccole aziende emergenti.Ho avuto modo di incontrare in vigna e in cantina produttori giovani e meno giovani, convenzionali, biologici e biodinamici, micro-aziende ed aziende più grandi, tutte unite nel voler far conoscere la propria terra e le sue innate potenzialità, ma ancxhe e la qualità del lavoro fatto in campo e in cantina negli ultimi anni. E’ in atto una vera e propria rinascita su tutti i livelli. Una terra antica che sa rinnovarsi, grazie a un manipolo di produttori che non ha mai smesso di anelare la qualità, senza ungere gli ingranaggi di dinamiche malate e senza prostrarsi passivamente ad un mercato cattivo demiurgo.Potrete scoprire vini tipici del territorio come Bonarda, Buttafuoco, Cruasé e Sangue di Giuda prodotti con vitigni autoctoni come Barbera, Croatina, Uva Rara, Ughetta (o Vespolina), Moscato, Riesling Italico, ma troverete anche ottime interpretazioni di varietali alloctoni che in Oltrepò trovano un habitat ideale come il Riesling Renano e il Pinot Nero. 
 
Mandrolisai

Il Mandrolisai è uno degli areali più storicamente vocati della Sardegna, posto al centro esatto dell’isol. Tra le particolarità di questo micro-areale ci sono le altitudini dei vigneti (per lo più coltivarti ancora con il tradizionale sistema dell’alberello), il nome della denominazione che si identifica con il territorio (che rappresenta un unicum nella Sardegna delle Doc “varietali”) e la natura del vino stesso che essendo un uvaggio di più vitigni autoctoni non ha eguali in questa regione. 
I varietali che concorrono alla produzione del Mandrolisai Doc sono il Bovale, il Cannonau e il/la Monica di Sardegna. Si tratta di un vero e proprio uvaggio in quanto l’assemblaggio delle uve viene fatto direttamente in vigna (proprio come accadeva storicamente nel Chianti per intenderci). Il vitigno preponderante nella produzione del Mandrolisai è il Bovale Sardo (localmente chiamato muristellu) e non mancano vigneti centenari ad alberello che vi lasceranno senza fiato. Il pedoclima dell’area, la natura geologica dei terreni e la possibilità di spingersi con la viticoltura fino a sfiorare i 1000mt slm rendono il Mandrolisai la zona capace di dar vita ai vini più eleganti, slanciati e minerali di tutta la Sardegna, scomodando paragoni importanti che vedono questo areale come il potenziale nuovo “Etna” in termini di vocazione e unicità. 
 
Soave

Uno degli areali vitivinicoli italiani con più storia alle spalle, vocato alla viticoltura di qualità come pochi altri al mondo e dotato di una serie di caratteristiche peculiari che lo rendono un territorio imperdibile per gli amanti della vigna e del vino. 
Sia che si tratti della zona Classica tra Soave e Monteforte sia che vi riferiate alle micro aree della zona allargata sotto camminando tra i vigneti vi renderete conto della prima e più importante ricchezza del Soave: i terreni. Dai terreni vulcanici a quelli calcarei, dai tufacei agli argillosi, suoli solitamente poveri in sostanza organica ma ricchi di minerali e microelementi, dove la Garganega e il Trebbiano di Soave trovano il loro habitat ideale. Forte è la presenza di vigneti allevati ancora con il sistema tradizionale della pergola che ha permesso a svariati ceppi di raggiungere età che arrivano a sfiorare i 200 anni. Importante è, per ogni vignaiolo, saper bilanciare e contenere la vigoria produttiva dei vitigni tipici locali, ma questo ampio range di azione permette ai produttori di Soave di poter gestire ogni annata con grande equilibrio. Mai come in questo preciso periodo storico potete trovare nel Soave spunti di ricerca enoica sia in termini agronomici che enologici: l’inserimento nel disciplinare delle UGA (unità geografiche aggiuntive) che fungeranno da veri e propri Cru; l’obbligo di imbottigliato in zona che mira a garantire la certezza della tracciabilità di ogni singola bottiglia; vigne storiche e vigne eroiche finalmente riconosciute nell’ambito del testo unico del vino; maggiori tutele riguardo la biodiversità, la lotta al cambiamento climatico e all’erosione progressiva dei suoli in forte pendenza. Tutte peculiarità che hanno permesso ai vigneti del Soave di candidarsi al GIAHS, programma internazionale gestito dalla FAO che certifica come patrimonio dell’umanità i paesaggi agricoli che sostentano l’uomo. Pe quanto concerne il vino, il Soave rappresenta un motivo di interesse per tutti quegli appassionati che cercano vini bianchi completi che, nonostante la moderata aromaticità, sanno far valere la loro complessità e un’eleganza fine. Vini dotati capaci di bilanciare corpo e nerbo, dotati di una spina dorsale fresca e minerale che dona grande dinamica e di un nitida sapidità che da inerzia alla beva.
 
Roero

Negli ultimi anni sono tornato a dedicarmi in maniera approfondita e costante all’areale del Roero e il merito è tutto dei vignaioli, spesso giovanissimi, che hanno saputo dare un nuovo slancio a questa denominazione. Parliamo di un areale piuttosto vasto e variegato che si sviluppa sulla riva sinistra del Tanaro albese, tra Langhe e Monferrato.
Il Roero ha vissuto per anni all’ombra delle più blasonate denominazioni del Barolo e del Barbaresco, mostrando una sorta di latente complesso di inferiorità che si traduceva in poca fiducia nei propri mezzi e scarso appeal nei confronti di appassionati, media e addetti ai lavori. Eppure, il Roero, a differenza delle zone viticole confinanti dispone di un paesaggio agricolo più variegato e integro che vede una sana alternanza fra boschi di castagni secolari, frutteti e seminativo. A rendere unico il territorio del Roero è la presenza delle Rocche, rilievi scoscesi che tagliano il territorio da sud-ovest a nord-est, da Pocapaglia a Montà, dividendo i suoli continentali, a base di ghiaie e argille La zona della DOCG Roero comprende per intero il territorio amministrativo dei comuni di Canale, Corneliano d’Alba, Piobesi d’Alba e Vezza d’Alba, e in parte di quelli di Baldissero d’Alba, Castagnito, Castellinaldo, Govone, Guarene, Magliano Alfieri, Montà, Montaldo Roero, Monteu Roero, Monticello d’Alba, Pocapaglia, Priocca, S. Vittoria d’Alba, S. Stefano Roero, Sommariva Perno.Inoltre, l’areale del Roero è uno dei pochissimi ad aver dimostrato una pari vocazione alla coltivazione di uve a bacca bianca e di quelle a bacca rossa, vantando due Docg: Roero Docg e Roero Arneis Docg.Se l’Arneis sta tornando a credere in vinificazioni votate all’esaltazione di una personalità maggior e ad una più spiccata identità territoriale con l’utilizzo delle MGA e della menzione Riserva entrata in vigore da pochissimo, ciò che oggi può rappresentare una leva importante e non più un freno sono i rossi base Nebbiolo. Rossi che non possono continuare ad essere i “fratelli minori” dei pari varietale di Langa, in quanto capaci di esprimere un’indiscussa complessità con la proverbiale profondità del nebbiolo. Il tutto con lo slancio fresco e la finezza che le sabbie sanno conferire a questi vini. Vini che ben si contestualizzano all’interno di un panorama enoico che vede in continua crescita la richiesta di espressioni dalla palese identità territoriale e varietale capaci di mostra eleganza e grande agilità di beva, senza dover necessariamente attendere lustri in bottiglia ma, al contempo, senza precludere una buona longevità.
 
Gavi

Dopo qualche anno di latitanza dovuta a dinamiche agronomiche e scelte consortili che mi hanno tenuto lontano da questo areale, sono tornato nel Gavi. Parliamo di un territorio che vanta una storica vocazione vitivinicola testimoniata da un documento conservato nell’Archivio di Stato di Genova, datato 3 giugno 972 in cui si parla dell’affitto da parte del vescovo di Genova a due cittadini gaviesi di vigne in località Mariana.
La denominazione Gavi Docg che comprende i territori di 11 comuni della Provincia di Alessandria: Bosio, Capriata d’Orba, Carrosio, Francavilla Bisio, Gavi, Novi Ligure, Parodi Ligure, Pasturana, San Cristoforo, Serravalle Scrivia, Tassarolo.Un territorio vasto ma che gode in ogni sua sottozona di un pedoclima molto favorevole alla viticoltura e in particolare a quella del Cortese, grazie all’influsso del mare, alla buona insolazione dei vigneti, alle discrete pendenze e, soprattutto, alla forte escursione termica giorno notte pre-vendemmiale.Ciò che mi ha colpito di più, però, non è solo la bellezza dei paesaggi vitivinicoli e la loro vocazione – di questo ne eravamo già tutti al corrente! – bensì è stata la piccola grande rivoluzione in atto in queste zone in termini di sostenibilità e rispetto, partendo proprio dalla vigna.Ho avuto modo di passare qualche ora con il giovane neo-presidente del Consorzio di Tutela del Gavi Roberto Ghio, vignaiolo dalle idee molto chiare nei riguardi della propria responsabilità nei confronti del territorio e del Gavi in senso stretto e in senso lato, e sono bastati pochi istanti per comprendere quanto fossimo sulla stessa lunghezza d’onda. Istanti in cui Roberto ha parlato di biodiversità e di responsabilità dei vignaioli e dei produttori che devono necessariamente essere e sentirsi custodi di un territorio che ha dato loro tanto e potrà dare ancora molto se e solo se preservato in modo oculato e consapevole. Qui non c’è una monocoltura e seguire i principi dell’agricoltura biologica nello specifico piuttosto che “rispettosa” in senso più generico non è difficile quanto in altri areali ormai succubi dell’impianto sfrenato e della poco lungimiranza di chi sta chiedendo davvero troppo ai propri terreni e ai propri contesti vitivinicoli con il rischio di ritrovarsi a non poter più gestire la coltivazione della vite in maniera sostenibile e di non poter continuare a produrre qualità senza un ancor più incidente intervento umano, a discapito dell’identità territoriale.Identità che a Gavi è quella di una terra di confine, dove montagne e mare si osservano e si ammirano, giocando con i propri influssi sui vigneti. I venti del Mar Ligure e la neve dell’Appennino, gli inverni freddi e le estati calde e ventilate, l’altitudine dei pendii e l’esposizione, i terreni marnosi, calcarei e argillosi sono i “segni particolari” che danno un’idea del potenziale e della vocazione di questo areale, che proprio grazie a queste caratteristiche riesce a rispondere ai cambiamenti climatici in maniera molto più efficace di altri.E’ fondamentale a tal proposito partire proprio dalla rivoluzione sostenibile e responsabile che il Consorzio sta attuando e che molti produttori stanno facendo propria sentendo forte l’attaccamento alla propria terra e manifestando, di annata dopo annata, la volontà di tornare a farla esprimere al meglio nelle proprie bottiglie. Parliamo di ca. 1500ha vitati per 13mln di bottiglie prodotte, nulla in confronto alle macro-produzioni italiche ma, al contempo, numeri importanti per una nicchia di eccellenza che può tornare a far parlare di sé come di uno dei più grandi bianchi italiani, riportando l’attenzione sulle piccole realtà e sulle produzioni oculate e rispettose di chi ha a cuore questa terra e questa denominazione appena ventenne.E’ palese quanto per il Gavi, la tendenza verso la freschezza, la beva, la sapidità della curva attuale dei palati e delle preferenze globali sia un’opportunità da cogliere per far valere le proprie peculiarità in termini di acidità e mineralità insite a livello varietale nel Cortese e da sempre distintive del vino ivi prodotto. Ecco perché è fondamentale distinguere i Gavi dei produttori che stanno cercando di trarre il meglio dal proprio territorio e dal vitigno principe di questa zona da chi preferisce produrre vini più “ruffiani” in cui l’acidità è volutamente più bassa e il residuo zuccherino smorza notevolmente la linearità e la sapidità innate di questo vino.Nelle realtà che ho avuto modo di visitare (delle quali vi parlerò sicuramente nelle prossime settimane in maniera più approfondita) ho riscontrato una notevole crescita in termini di qualità e la voglia di far comprendere quanto il Gavi non abbia bisogno di forzature organolettiche a partire dalla componente aromatica che può e sa essere spontaneamente fine ed elegante là dove non se ne cerchi di deviare la naturale espressività e lo stesso accade al sorso, dove la sua proverbiale acidità ( a testimonianza di quanto sia importante per i produttori stessi, nel disciplinare della Riserva a spiccare è l’obbligo di avere un’acidità minima di 1g/l più alta del “base”) unita all’ampiezza che è capace di raggiungere con la dovuta esposizione e la piena maturazione e all’inconfondibile sapidità finale ne fanno un vino in grado di stupire oggi e di farlo ancor di più con qualche anno di bottiglia.

Parliamoci chiaro, probabilmente il 99,9% delle bottiglie di Gavi immesse nel mercato verranno consumate di lì a pochi mesi o comunque entro 1 o 2 anni dalla vendita, ma è fondamentale – a mio parere – per elevare la reputazione e la percezione di qualità di un vino come questo essere consapevoli della sua longevità potenziale e delle sue capacità evolutive.

A spingermi ulteriormente a credere in una visione più sostenibile e responsabile dell’intero areale è stata, senza ombra di dubbio, l’iniziativa svoltasi a maggio proprio a Gavi che a portato alla firma della Carta del Vino Responsabile di Gavi.

Eccovi i principi della Carta controfirmata da oltre 100 tra produttori ed esponenti del panorama del vino nazionale della comunicazione e della Responsabilità sociale di Impresa:

1) SPOSARE E PROMUOVERE I GIUSTI VALORI – Credere nella qualità, l’etica, la tutela dell’ambiente e dei lavoratori. Adottare un Codice Etico, Carta dei Valori, Codice di comportamento; 

2) TUTELARE LA TERRA – Ecological footprint e interventi per ridurre il consumo di suolo associato alla propria attività e Agricoltura che tutela la naturale fertilità della terra. Biologico e biodinamico;

3) SALVAGUARDARE L’ACQUA – Water footprint e interventi per ridurre consumo di acqua diretta e indiretta, sia in vigna che nelle fasi di imbottigliamento e trasporto;

4) CONTRASTARE I CAMBIAMENTI CLIMATICI – Carbon Footprint e interventi per la riduzione dell’emissione di gas serra. Utilizzo di energie rinnovabili riducendo il consumo di combustibili fossili. Ottimizzare trasporti e loro emissioni;

5) IMPEGNARSI PER LA SOSTENIBILITÀ – Bilancio di Sostenibilità, Report ambientale / integrato;

6) PROTEGGERE E VALORIZZARE LA BIODIVERSITÀ – Praticare un’agricoltura che tuteli gli ecosistemi e attuare interventi a protezione degli insetti utili, in particolare delle api;

7) RISPARMIARE LE RISORSE NATURALI – Recupero e riciclo di sottoprodotti. Eco Packaging e allestimenti con materiali di riciclo;

8) CREDERE NELLE PERSONE – Welfare aziendale, salute sicurezza e benessere dei lavoratori. Sostegno all’occupazione giovanile e all’inclusione sociale;

9) PROMUOVERE LA CULTURA E LE ARTI – Promuovere o condividere Progetti culturali e sociali a favore del Territorio;

10) CREARE VALORE SOCIALE ED ECONOMICO PER IL TERRITORIO – Valorizzare il Paesaggio. Wine System: Enoturismo e Accoglienza integrati con il Territorio.
 

Una carta intrisa di valori che rischiamo di dimenticare o che qualcuno ha voluto mettere da parte, ma dei quali il vino è messaggero e può tornare ad essere fautore.

Non a caso il laboratorio che ha portato alla “stipula” di questo contratto con e tra uomini e terra ha avuto come sede Gavi, che da anni punta a far valere la propria attenzione nei confronti del territorio a 360° attraverso la viticoltura e il vino.
 

Concludo citando le parole di uno dei firmatari della carta, nonché una delle persone che stimo di più nel mondo del vino e mentore di chiunque ami la viticoltura rispettosa:
“La terra è un organismo fertile e l’uomo vi lascia una traccia evidente del suo passaggio. Il terreno è forse il patrimonio nazionale più importante e l’uomo dovrebbe essere orgoglioso e parsimonioso nel suo utilizzo. Per millenni, la viticoltura è stata di tipo artigianale, molto contadina, rispettosa del terreno, dei tempi agricoli, riguardosa della complessità straordinaria della biodiversità italiana.
A partire dagli anni ’50 è stata introdotta la meccanizzazione pesante che ha cambiato, accelerandoli, i tempi dell’agricoltura. Negli anni ’60, ’70, ’80 sono stati introdotti gli agro-farmaci e sono aumentate enormemente le produzioni. Si tratta di una fase storica importante, che ha portato ricchezza e benefici alle imprese.Oggi però il terreno, in parte anche per la perdita di suolo a causa dell’erosione, richiede interventi diversi, mirati, per continuare ad essere il capitale e la ricchezza che ha sostenuto l’agricoltura per secoli: la preparazione del terreno, la sua gestione, la qualità biologica sono parametri importanti, misurabili, che permettono scelte gestionali specifiche e che devono servire per interventi privati e pubblici più sistemici.” Lorenzo Corino (Ricercatore, Agronomo e Autore).
 
 
F.S.R.
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