Vuoi per una questione di numeri, vuoi per i miei ultimi 8 anni toscani, ma se c’è un vitigno che ho imparato a conoscere in maniera più approfondita e da molte delle sue sfaccettature questo è, senza tema di smentita, il Sangiovese o Sangioveto o Sangiocheto. Eppure, proprio come con le persone, non c’è errore più grave di peccare di ingenuità, credendo di aver già capito tutto, di aver già conosciuto completamente qualcuno e qualcosa, come nel caso del più coltivato varietale rosso italiano.
Devo ammettere che, ad oggi, sono ancora molto più ingenuo con le persone che con il vino, tanto che le delusioni più grandi siano pervenute proprio dalla sfera umana, piuttosto che da quella enoica ed a supporto di questo stà la mia continua ricerca riguardo il Sangiovese. Una ricerca che, durante le scorse settimane, mi ha portato a sentire la necessità di tornare in Romagna, perché molto colpito dalla continua crescita della nouvelle vague di produttori e vignaioli romagnoli e sempre più convinto della grandezza del Sangiovese di queste terre, che vanta una diversità di fondo da quello toscano, ma che proprio come il fratello dell’Oltrappennino possiede una sfaccettata identità territoriale, oggi evidenziata dalle MGA (menzioni geografiche aggiuntive).
Il mio ultimo viaggio in Romagna mi ha portato da una giovanissima produttrice, che avevo avuto modo di incontrare all’evento Sangiovese Purosangue e che, sin dalle prime battute, mi aveva spiazzato con una serie di interessanti contrasti, che si fanno equilibrio ed armonia dentro ed intorno al Vino.
Parlo di Chiara Condello, dell’Azienda Condé, Cantina di Predappio con 77ha di cui quasi la totalità coltivati a Sangiovese, voluta e costituita nel 2001 da suo padre Francesco Condello ed oggi totalmente nelle mani di questa vignaiola trentenne.
Ho usato il termine “contrasti”, in quanto Chiara ha trasformato la fortuna in lavoro e non in ozio, scegliendo una strada, di certo, non tra le più facili, seppur avesse intrapreso un percorso di studi coronato con la laurea alla Bocconi in Economia ed un Master in International Management.
Contrasti che potrebbero farsi pregiudizio, perché parliamo di un’azienda medio-grande, nata apparentemente dal “nulla” o perché Chiara è dotata di un’eleganza e di una raffinatezza che potrebbero collidere con la figura “ideale” della vignaiola, perché sopra al luogo in cui lei lavora e si fa il mazzo – la cantina – c’è un Wine Resort che strizza l’occhio al lusso e può far pensare al Vino come un complemento e come un’attività satellite dell’azienda.
Beh, se c’è un nemico dell’uomo e, quindi, anche del vino, questo è il pregiudizio e sono bastati pochi istanti per comprendere quanto tutto il contorno, tutti i dettagli sopracitati, fossero ben scissi dall’attitudine di Chiara e dalla sua volontà di fare Vino e di farlo nel modo più rispettoso possibile.
Chiara entra a pieno regime nella gestione di cantina e vigna solo nel 2015, pur avendo già iniziato a dire la sua nel 2013, ma ci sono voluti pochi mesi per rivoluzionare l’azienda, decidendo di affidarsi al Maestro Federico Staderini per la consulenza enologica e di convertire tutti i vigneti in bio, come primo step. Un approccio, quello al biologico, che non è solo pedissequo rispetto della certificazione, bensì vuole andare più a fondo e prodursi in tecniche il meno invasive possibile sia in vigna ed in cantina. Scelte importanti e di rottura col passato, che danno l’idea di quanto Chiara voglia perseguire un concetto di qualità che vada oltre la precisione enologica e la piacevolezza organolettica, come, ad esempio, la volontà di condurre tutte le fermentazioni spontaneamente e di raccogliere le uve con maggior criterio in termini di epoca di maturazione e di selezione.
Dopo un tour dei bellissimi vigneti, dai quali è già più che intuibile il potenziale dei terreni e delle esposizioni diverse e complementari, inizia la seconda tornata di contrasti, quella che contrappone in senso positivo e costruttivo assaggi da vasca e da botte pre-Chiara a quelli gestiti dal duo Condello/Staderini.
Vini puliti, impeccabili tutti quelli assaggiati, ma per uno che, come me, cerca identità territoriale e sincera personalità è chiaro, come il sole che si faceva strada fra le densa nebbia di quel giorno a Predappio, che in passato alla territorialità erano state anteposte una qualità enologica ed una costanza produttiva che, non mi sento di criticare dopo qualche semplice assaggio, ma che di certo trovo meno nelle mie corde di quanto stia cercando di fare la nuova gestione.
Predappio rappresenta il Sangiovese in maniera egregia, un Sangiovese che è profondamente legato alla storia di questa terra, da oltre 2000 anni e che ancora oggi gode di caratteristiche ben delineate che vedono nell’azienda Condé una sorta di prisma, capace di esprimere ogni colore del suo carattere in modo lineare, dall’impressionante mineralità marina dei vigneti impiantati in quella che è a tutti gli effetti la cresta di un reef, che franando ha depositato lungo tutto il versante della collina materiale roccioso carico di calcare attivo.

Avete presente quando da piccolini mettevate una conchiglia o un bicchiere all’orecchio convinti di sentire il rumore del mare? Beh, io quel giorno il mare l’ho sentito, ma portando il calice al naso! Un calice del Vino che sarà, ma che già è di Chiara. Le Lucciole, il prolungamento della sua personalità, l’estensione della sua attitudine al vero ed al puro. Un Sangiovese che ricorda le ostriche, sì… sa di conchiglia, di mare ed ha la dinamica delle onde, spinte dalla potenza impalpabile del vento. Un sogno atto a divenire realtà, che in quella botte grande respira a pieni polmoni, pronto per stupire, pronto per rappresentare il nuovo corso, la nuova vita dell’azienda Condé, in maniera sincera ed elegante. Bisognerà attendere ancora un po’ per questa luminosa 2015, ma intanto varrà la pena seguire Chiara Condello che, coadiuvata dalla saggezza di Federico Staderini, non si sta limitando a fare vini ben fatti, bensì vuole sperimentare e comprendere a pieno il potenziale delle proprie vigne, dei propri terreni, di esposizioni così diverse e complementari, come in un enorme mosaico in cui ogni tessera è rappresentata da una delle 52 particelle vinificate separatamente ed assemblate con equilibrio e sapienza in concordanza con l’annata. Da seguire la vinificazione coi raspi, delicata e rischiosa, ma capace, se ben dosata, di donare eleganza e balsamicità al vino, creando nuovo equilibri tannici ed aromatici.

Chiara poteva fare il suo “compitino”, produrre in modo convenzionale, senza prendersi troppi rischi, assumendo un enologo meno illuminato, di quelli che fanno anch’essi solo ciò che venga loro commissionato – con tutto il rispetto per chi, comunque, dovrà pur campare -, ma ha scelto di percorrere una strada irta di rischi ed erta come le salite che portano alla cime dei suoi vigneti, ma proprio come la vista che si ha da là sù, è la capacità di guardare oltre che può portare a creare qualcosa di grande ed io, peccherò pure di ottimismo, ma credo che Le Lucciole sarà l’espressione di una Predappio in purezza.
Interessante la degustazione comparativa fra il passato della Condé, sicuramente molto corretto e coerente, ma carente in quanto ad identità ed il presente/futuro rappresentato dalla prima vinificazione nella quale Chiara Condello ha potuto intervenire, quanto meno concettualmente, dando vita già, con questo mono-vigneto Raggio Brusa, ad un’espressione meno standardizzata e più profonda del Sangiovese di Predappio e del suo Sangiovese.
Utilizzai già in passato la metafora della ballerina di danza classica, che pur apparendo così elegante e leggiadra, così sorridente e vitale, cela in ogni suo gesto grande esperienza, rigoroso equilibrio ed integra struttura, nonché una forza nel fare e nell’essere inesauribile, ma è con i Sangiovese di Chiara che ho avuto modo di comprendere a pieno quella mia stessa metafora, tanto sono armonicamente eleganti, leggiadri nella beva e potenti nei muscoli e nello scheletro.
E’ palese che, fino al suo arrivo in azienda, il trend fosse differente, ma io ho conosciuto lei ed è a lei ed in lei che sto credendo oggi ed in previsione di un domani che tutte le vasche e le botti hanno disegnato come più che positivo.
Inoltre, devo ringraziare questa giovane vignaiola per avermi consigliato di assaggiare i vini della “Barolo Girl”, Giulia Negri, della quale scrissi tempo fa. Due ragazze, due grandissime amiche, unite da un percorso parallelo che, ad un certo punto delle loro vite, converge verso il vino e verso la realizzazione di un sogno comune, quello di esprimere l’identità delle proprie terre, la Romagna e le Langhe, e della propria personalità attraverso il frutto del loro lavoro, con rispetto e lungimiranza, ma anche fatica e costanza.
Io non posso che confidare nell’avvento di giovani come Chiara Condello, come Giulia Negri e come tanti altri vignaioli che, nonostante le difficoltà e l’incertezza, hanno scelto la terra ed il vino come loro futuro.
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