Il Castello di Roncade – Una cantina tra suggestioni storiche ed emozioni enoiche

Il mio incessante girovagar enoico mi porta, spesso, in luogo a dir poco suggestivi, pregni di storia e densi di valori che trascendono la sola produzione vitivinicola.
Questa volta sono a pochi
chilometri da Treviso e più precisamente dentro le mura merlettate
di quello che viene chiamato da tutti Castello di Roncade. Un
“castello non castello” che riserva una sorpresa una volta
varcato il maestoso ingresso: Villa Giustinian.

cantina castello di roncade
Una villa padronale di
rara eleganza, circondata da un ampio giardino sorvegliato da un
imponente esercito di soldati veneziani, gli Schiavoni. Un luogo che
gioca con i nostri sensi, che stupisce con l’unicità dei dettagli
che lo contraddistinguono: mura fatte erigere per mero vezzo estetico
a parvenza di fortezza in tempi in cui il valore e il potere di una
famiglia si misuravano anche in questi termini; un giardino ricco di
piante esotiche e di sculture possenti a voler confermare la valenza
di chi ha realizzato questa struttura; un legame forte con la terra e
con l’agricoltura tanto da non aver distanza alcuna nei confronti dei
campi che si trovano sul “retro” della Villa.
Non mi dilungherò troppo
nel ripercorrere le vicende storiche legate a questa meravigliosa
opera architettonica (vi invito, comunque, ad approfondire tramite le molteplici pubblicazioni sul tema) ma mi soffermerò su ciò che interessa a noi,
amanti della vigna e del vino, ovvero sul rapporto fra il Castello di
Roncade e la viticoltura.

castello roncade treviso
E’ grazie al Barone Tito
Ciani Bassetti che, nel 1930, il Castello di Roncade inizia la sua
attività vinicola con costanza e dedizione, puntando sulla qualità
sin dal principio, in una terra di grande vocazione grazie al pedoclima favorevole e alla grande presenza di caranto a pochi centimetri di profondità.
Oggi è il suo
discendente il Barone Vincenzo Ciani Bassetti a condurre la cantina del
Castello con l’aiuto di suo figlio Claudio.
Questo legame profondo
fra il “Castello”, oggi dimora della famiglia, è la terra in cui
è incastonato è palese e la passione di padre e figlio per il vino
lo è altrettanto.

Se ho deciso di
condividere con voi le mie impressioni riguardo questa realtà, però,
non è per la sua storia o per la passione dei proprietari nei
confronti del buon bere e della produzione di vini d’eccellenza,
bensì l’ho fatto perché il Castello di Roncade nella sua interezza,
nell’insieme delle sue peculiarità, dei suoi vini e delle persone
che lo hanno reso ciò che è oggi, è stato capace di stupirmi e non
c’è nutrimento migliore per l’anima di un cercatore enoico, curioso
e assetato di nuove emozioni dello stupore!
Elemento che ha, di
certo, contribuito a veicolare lo stupore è stato l’evento
organizzato dall’enologo Umberto Trombelli che ha voluto mostrare “in
chiaro” una delle fasi più interessanti e, al contempo, delicate
della produzione di un vino, ancor più se parliamo del vino di punta
dell’azienda: il taglio.
Un momento che si è
dimostrato ancor più interessante e coinvolgente grazie al confronto
che è scaturito in fase di assaggio e di assemblaggio delle varie
particelle di vigna vinificate separatamente.

umberto trombelli enologo

Assistere alla
nascita della nuova annata del Villa Giustinian ha colpito molto me e
tutti gli astanti ma, soprattutto, ha messo in risalto la volontà
della cantina del Castello di Roncade di voler puntare con costanza e
rigore alla qualità. Qualità che si esprime tanto nei vitigni
internazionali quanto nel vitigno autoctono principe della zona,
ovvero il Raboso, che entra in gioco anche in questo blend di stampo
bordolese quasi a voler rimarcare le sue radici e il suo forte senso
di appartenenza al territorio.

Quando il territorio è
capace di emergere e di fare da amalgama e da abile e sensibile
direttore d’orchestra in un taglio di questo genere quel territorio
gode di una grande vocazione. Così è stato e così, credo, sarà
quando l’anno prossimo avremo modo di assaggiare il vino finito a
compimento del suo affinamento in vetro.
Passiamo ora ai vini che
hanno già compiuto il loro percorso di affinamento e che ho avuto
modo di assaggiare negli ultimi giorni:
vini castello roncade raboso


Bianco dell’Arnasa –
Chardonnay Doc Venezia 2015 – Castello di Roncade
: uno Chardonnay
sui generis di quelli che piacciono a me per armonia e slancio. Un
vino che non eccede in opulenza e nelle pesanti note lattiche e
burrose di alcune interpretazioni di questo varietale tanto caro agli
amici borgognoni. Al frutto integro si alternano folate balsamiche e
lievi ma intriganti sfumature di spezia. Il sorso è pieno ma
longilineo, dall’incedere dritto e dal piglio sicuro. Il finale
sapido rende il sorso inerziale invogliando alla beva. Uno Chardonnay
territoriale, luminoso e per nulla noioso.


Raboso dell’Arnasa –
Raboso del Piace Doc 2014 – Castello di Roncade
: il Raboso del Piave è
un vitigno scorbutico, spigoloso per tannino e acidità, ha bisogno
di essere domato ma, al contempo, di non essere surclassato dal legno
e da una mano poco garbata. Insomma, è uno di quei vitigni capaci di
dare origine a vini completamente squilibrati o a grandi espressioni
varietali e territoriali in cui ogni ogni spigolatura viene educata
ma non levigata del tutto, proprio come in questo caso! Il Raboso
dell’Arnasa ha mantenuto fede al suo varietale sin dal primo naso,
passando a ribadire la sua fedeltà attraverso un sorso slanciato,
profondo, minerale/ferroso. La trama tannica è fitta, presente ma
mai eccessiva. Il vetro ne sta domando le ultime asperità per
renderlo ancor più accessibile ai palati meno avvezzi, ma io lo
apprezzo così, vivo, dinamico, instancabile come il Raboso e pochi
altri vitigni sanno essere.



Villa Giustinian – Veneto IGT Rosso 2015 – Castello di Roncade: è il vino che rappresenta di più le aspirazioni aziendali, ma anche in questo caso, ciò che apprezzo di più è l’esser riusciti a non scadere nella mera omologazione che, sin troppo spesso, il taglio bordolese infonde in vini di vari areali italici. Non un ostentato esercizio di stile, bensì un’interpretazione ponderata di vitigni impiantati con cognizione di causa in terreni altamente vocati alla coltivazione di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Carmenere, Merlot, Malbec. In questo caso entrano nel blend Cabernet Sauvignon, Carmenere, Merlot e un piccolo saldo di Raboso passito con una già notevole armonia, senza accenni di stanchezza e un suadente gioco fra frutto, spezia, balsamicità e i primi accenni terziari.
E’ ancora una volta il sorso a delineare il profilo di questo vino che entra ampio ed educato ma non si perde nell’oblio dell’eccessiva morbidezza, mantenendo, altresì, una discreta acidità e un affondo ematico e tannico davvero acuto. Un vino cesellato ma non costruito, piacevole ma non “piacione”, elegante ma non esile. Un bel compendio di ciò che questa cantina e le sue vigne sanno e possono essere.

Una realtà che suggestiona con l’apparire della sua struttura, che emoziona con la sua storia e che stupisce con il suo farsi vino in un territorio che vale la pena valorizzare data la sua innata vocazione.


F.S.R.
#WineIsSharing

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