Giovani Vignaioli “Under 35” da seguire

Il 2019 è iniziato e con esso inizia un nuovo anno di viaggi, ricerca e – speriamo – scoperte per il sottoscritto.
Se nulla cambierà per quanto concerne la comunicazione enoica tramite questo WineBlog e i miei canali social, questo inizio 2019 sarà, invece, foriero di novità per quanto riguarda l’utilizzo di altre forme comunicative. In questo momento di crisi profonda della comunicazione enoica sui social il mio obiettivo è quello di cercare di arrivare in modi ancor più diretti, da un lato, e “tradizionali”, dall’altro a tutti coloro che, da anni, seguono con passione e il giusto senso critico ciò che faccio.
Una delle novità sarà rappresentata da alcune pubblicazioni su ebook e, successivamente, cartacee.
Faccio questa premessa perché il pezzo che segue è tratto da un piccolo “Memorandum enoico” dei miei ultimi scritti al quale sto lavorando da qualche mese e che confido di pubblicare a breve.

Ho scelto di citare alcuni dei giovani vignaioli e  alcune delle giovani vignaiole che di più mi hanno trasmesso quel giusto “blend” di passione e competenza imprescindibile per portare avanti questo, tanto meraviglioso quanto arduo, lavoro al meglio.

Giovani Vignaioli “Under 35” da seguire
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giovani vignaioli
Mario è un giovanissimo agronomi che da soli 3 anni ha preso le redini dell’azienda di famiglia dando vita alle prime referenze imbottigliate base Cannonau, Vermentino e Moscato (dal 2017). Ho imparato a conoscere questo giovane vignaiolo di annata in annata, di viaggio in viaggio, di chiacchierata in chiacchierata, ma ho creduto nelle potenzialità delle sue vigne ancor prima di incrociare il suo sguardo e di stringergli la mano, assaggiando le primissime bottiglie prodotte. Oggi questa piccolissima azienda a conduzione familiare rappresenta per me ciò che vorrei dalla Sardegna del vino, in termini di voglia di mettersi in gioco, di fiducia nei propri mezzi e, soprattutto, di capacità di comunicare attraverso il lavoro e il frutto di tale lavoro la propria terra e le sue infinite risorse vitivinicole e umane. 
Giovanissima vignaiola, innamoratasi del far vino in quel di Borgogna per poi tornare al suo Sangiovese e a Predappio, dove nascono i suoi due vini “Chiara Condello” e “Le Lucciole”. Fondamentale anche il suo contributo nell’azienda Condé fondata da suo padre, che con l’avvento di Chiara è sempre più orientata alla produzione di vini identitari ed eleganti, frutto di una conduzione agronomica rispettosa ed accorta. 
Probabilmente l’enfant prodige del vino friulano. In pochi anni (insieme al fratello Michele) ha portato l’azienda di famiglia a livelli qualitativi straordinari con il giusto “blend” di lungimiranza e rispetto della tradizione. Oltre alle sue eccellenti “riserve” di Sauvignon, Pinot Grigio (Ramato) e Pignolo, ha lanciato da poco un Friulano e una Malvasia figli di singole particelle. Due veri e propri “clos” che hanno innalzato ancor di più l’asticella qualitativa per Cristian stesso e per gli altri eccellenti giovani produttori friulani. 

L’ho definita in tempi non sospetti la “Barolo Girl” e oggi Giulia Negri rappresenta una delle realtà più interessanti della nouvelle vague barolista. Il suo Cru Serradenari è tra i più alti (se non il più alto) della denominazione e da origine a Baroli di raro slancio e affilata finezza. Ha carattere da vendere e negli ultimi anni ha dimostrato di non essere solo una “bella storia da raccontare”, bensì una valida e competente vignaiola.

La novità che mi ha colpito nei miei ultimi viaggi in Langa! Un giovane vignaiolo dalle idee chiare tanto in vigna quanto in cantina. L’obiettivo è quello di produrre vini dalla spiccata identità territoriale attraverso un approccio rispetto e ponderato, preferendo l’eleganza alle sovrastrutture. Il suo Barolo ha la stoffa per diventare un riferimento per chi è alla ricerca di nomi nuovi. 
Conosciuta quando l’azienda ancora non portava il suo nome e già questo la dica lunga sull’escalation di questa ancor giovanissima produttriche della Valpolicella. Tra tutti i citati è, sicuramente, quella che ha saputo coniugare al meglio comunicazione e qualità dei vini prodotti, ritagliandosi una nicchia importante nel complesso e competitivo panorama dell’Amarone. 

Andai a trovarlo quando era poco più che ventenne e a colpirmi furono, sin da subito, passione e voglia di fare. Con la giusta dose di impegna e quell’umiltà giusta, che non lesina consapevolezza nei propri mezzi, è riuscito a crescere e proporre vini sempre più nitidi e contemporanei da uve autoctone come la Croatina, la Barbera e il Riesling Italico. 

Insieme a suo padre Pierluigi, Marika gestisce la piccolissima azienda di famiglia a Castelplanio, nel pieno della zona classica del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Una delle primissime realtà che ho avuto modo di raccontare nel mio Wine Blog e che ho visto crescere in qualità e notorietà proprio grazie al grande impegno e alla caparbietà di Marika. Il loro Verdicchio è espressione di un fare saggio ma mai anacronistico, capace di restare saldamente ancorato alle radici guardando al futuro con coraggio e ricerca dell’unicità.
Quando assaggiati le sue prime annate, ormai più di 3 anni fa, non avevo ancora avuto modo di conoscere Sonia ma i suoi vini parlavano di un microcosmo unico nel suo genere per identità di terroir, in cui vigne e vignaiolo vibravano alla stessa identica frequenza. Una volta conosciuta questa giovane vignaiola, neo mamma, ho capito che era la sua sensibilità a renderla una sorta di Diapason tramite il quale accordare quel meraviglioso strumento naturale che è l’Etna con la sue vigne. Vigne nelle quali Sonia alleva Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Grecanico Dorato dando origine a vini capaci di coniugare potenza e luce, forza e bellezza proprio come solo il Mongibello sa fare. 

Due fratelli trapiantati nel Vulture dalla toscanissima Montepulciano. Figli d’arte che hanno accettato la sfida “Aglianico” a tal punto da far propria una terra e un vino che oggi sanno interpretare con grande rispetto e consapevolezza. Una delle primissime aziende a parlare di Cru in questo areale e una delle poche a non aver mai desistito nel credere nelle potenzialità dell’Aglianico del Vulture. Oggi i loro vini rappresentano le singole sfumature di un territorio meraviglioso che può dare origine a vini tanto potenti quanto eleganti, tanto ricchi quanto slanciati e minerali. 
Seppur giovanissima, Giulia ha già dimostrato di poter fare dei suoi studi di enologia uno dei viatici migliori all’espressione più profonda della sua personalità. Siamo a Bolgheri, ma non aspettatevi i “soliti” tagli bordolesi! Giulia, con l’aiuto di suo padre, alleva Aleatico, Petit Manseng e varietali autoctoni dai quali produce un bianco da uve rosse vinificate in bianco, un Rosato e un passito. Ciò che mi ha colpito di più, però, è stata la sua volontà di restaurare una vecchia vigna di autoctone e la sua atavica necessità di reimpiantare Sangiovese per provare a dar vita a vini tipici in un areale molto più orientato agli internazionali. 

Ho creduto sin dai primi anni della Doc nell’areale dell’Orcia e nel potenziale di vigna di questo territorio ma ancor di più o creduto nel capitale umano di questa zona. Giulitta e suo padre Luca sono stati sin dai miei primi approcci all’Orcia Doc dei riferimenti per me che non ho mai voluto soltanto assaggiare ottimi vini, bensì ero alla ricerca di motivazioni e di obiettivi, di storie di vino e di vita che potessero far accendere l’interruttore della fiducia nei confronti di questa “terra di mezzo” fra più note e blasonate sorelle. Giulitta è entrata in azienda a pieno regime negli ultimi anni e sta già dimostrando quanto la sua personalità possa incidere sulla crescita di questa piccola grande realtà che da anni produce vini di assoluta qualità da uve Sangiovese e da alloctoni trattati rifuggendo ogni forma di omologazione. Ne è una dimostrazione il loro Bianco da uve Marsanne e Roussanne, unico per espressività. 
Tommaso è uno dei più giovani vignaioli di Montalcino, è arrivato da “fuori”, ma non ci ha messo molto ad ambientarsi. Trovare la strada più opportuna per interpretare le vigne della piccola e suggestiva azienda vitivinicola che conduce con suo zio era, però, non è stato altrettanto semplice. 
Eppure, da quando l’ho conosciuto, qualche annetto fa, di passi il giovane Tommaso ne ha fatti sia in termini di maturità che di approccio dalla vigna alla cantina. Oggi i vini del Castello Tricerchi hanno trovato un nuovo equilibrio anche grazie alle scelte adottate da quello che da outsider si sta trasformando in una delle realtà ilcinesi più interessanti da seguire. 

Due giovanissimi fratelli che hanno dato seguito alla coraggiosa scelta dei genitori: produrre Spumanti metodo classico da vitigni autoctoni nelle terre di Pisa. 
Una sfida che ha portato questa piccola realtà familiare, dapprima, a stuzzicare la curiosità di molti appassionati di metodo classico e, successivamente, a stupire con vini dall’inattesa finezza e con un’identità territoriale che, seppur senza termini di paragone, è capace di allienearsi con i più “consueti” spumanti da metodo tradizionale. Il segreto di Marco e Sara è, infatti, esser riusciti a portare nel calice spumanti unici che, da un lato, non siano un mero scimmiottamento dei “classici” e, dall’altro, riescano ad avere un equilibrio e un’eleganza tali da non farli rimpiangere. 
La più giovane di questo “team” (insieme a Giulia Scalzini) di astri nascenti del vino italiano, Michela ha saputo stupirmi in più occasioni attraverso la sua capacità di trasmettere passione e conoscenza in maniera estremamente naturale, mai forzata! Questo perché Michela è nata e cresciuta dentro e intorno al vino, camminando fra le vigne, raccogliendone il frutto sin da bambina, imparando a conoscere ogni particella dei terreni di famiglia e delle sue Langhe. In pochissimo tempo è diventato il volto fresco e pulito di una realtà che produce ottimi vini, a partire dai due cru di Barberesco Basarin e Sanadaive. 

La storia dell’azienda agricola D’Onghia è legata indissolubilmente a quella del suo territorio, ma se Petracavallo esiste è grazie alla voglia di mettersi in gioco di un giovane, che in questo territorio ha deciso di credere con tutto se stesso, convincendo il proprio padre ad accettare la sfida della produzione di vino e dell’imbottigliamento.
Quella di Vito è, in parte, la storia di molti ragazzi italiani che decidono di lasciare la propria terra per cercare di crearsi un futuro all’estero. Ciò che differenzia Vito da molti di quei ragazzi è che, nonostante tutto e tutti, lui ha deciso di tornare a casa, spinto da un ritrovato senso d’appartenenza a quei luoghi ed alle sue radici. I suoi vini sono frutto della più sincera artigianalità.
Ci tengo a precisare che l’Italia del vino, oggi, è piena di giovani vignaioli che si stanno mettendo in gioco sia prendendo in mano le redini dell’azienda di famiglia che investendo autonomamente sul proprio sogno di fare vino e se c’è una cosa che ho potuto apprezzare in questi ultimi anni è il grande rispetto e la profonda umiltà che contraddistinguono molti di questi – me lo auguro – futuri grandi del vino italiano.

Collaborando con una manifestazione totalmente incentrata sui giovani vignaioli di piccole cantine come l’Only Wine Festival, ogni anno ho modo di focalizzare la mia attenzione nella selezione di queste realtà e capita sempre più spesso di trovare dietro a questi giovani e giovanissimi dei vini di grande prospettiva, come nel caso dei produttori che ho citato poc’anzi. Quindi, non posso che essere positivo riguardo il futuro di queste realtà forti di un approccio umile e rispettoso e, al contempo, fresco,prospettico e lungimirante.


F.S.R.
#WineIsSharing

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