Al ritorno dal mio ennesimo viaggio torno a parlarvi di una delle regioni che di più hanno segnato il mio cammino enoico: il Piemonte.
Una regione che è, senza tema di smentita, un riferimento assoluto quando si parla di denominazioni in Italia, in quanto è l’unica a vantare un folto elenco di DOC e DOCG privo di IGT. Eppure quando parliamo di vino piemontese la mente del neofita e quella del più erudito appassionato si comportano quasi allo stesso modo, focalizzandosi su pochi noti territori, lasciando, sin troppo spesso, in disparte alcuni dei micro-areali più interessanti dell’intero panorama vitivinicolo italiano.
E’ questo il caso di quell’interessantissimo caleidoscopio di unicità denominato “Alto Piemonte” o l'”Altro-Piemonte”, come qualcuno (compreso il correttore del mio smartphone) suole chiamarlo con un divertente ma esaustivo gioco di parole.
Sì, perché l’Alto Piemonte vanta denominazioni assolutamente non speculari a quelle di Langa, Roero e del Monferrato. Denominazioni uniche in cui il monovarietale (concezione vitivinicola e enologica più “moderna”) è poco presente e, oltre ai blend di vitigni tipici, si pratica ancora qualche uvaggio classico da vigna. Micro areali che meritano grande attenzione e che si stanno dimostrando decisamente contemporanei nella capacità dei propri vigneti di rispondere ai cambiamenti climatici e dei propri vini di coniugare eleganza, dinamica di beva e forte identità territoriale. Ecco quindi che ho deciso di approfondire sul campo e in campo i territori di Gattinara (Docg), Ghemme (Docg), Lessona (Doc), Bramaterra (Doc), Boca (Doc), Sizzano (Doc), Fara (Doc), Valli Ossolane (Doc) e le più recenti Doc Coste della Sesia e Colline Novaresi.

Più ad ovest ci sarebbero Canavese Doc, Carema Doc ed Erbaluce di Caluso Docg che, però, sono fuori dal consorzio costituitosi a tutela del Nebbioli dell’Alto Piemonte avendo un loro consorzio di riferimento (Il Consorzio di tutela e Valorizzazione Vini DOCG Caluso, Carema e Canavese DOC) quindi non vengono inclusi, per convenzione, nell’Alto Piemonte, ma a mio parere è opportuno quanto meno menzionarli, tanto che nel mio ultimo viaggio ho fortemente voluto la presenza di vignaioli di queste denominazioni nella serata di condivisione e confronto.
Un territorio, quello dell’Alto Piemonte, che vanta natali “esplosivi” data la sua origine vulcanica data oltre 280 milioni di anni fa, nell’epoca in cui il supervulcano ivi presente esplode con una potenza tale da modificare per molti anni il clima del pianeta.
La sua enorme caldera coincide con le attuali valli dei fiumi Sesia e Sessera, tra le province di Novara, Vercelli e Biella proprio in Alto Piemonte. Un ulteriore accadimento fondamentale per definire le dinamiche geologiche e orografiche del territorio è quello relativo allo scontro, ca. 50 milioni di anni fa, fra la Placca Africana e quella Europea che da origine alle Alpi e porta in superficie l’intera struttura sommersa dell’antico supervulcano, portandolo ad assumere un profilo orizzontale.
Due importanti geologi datano l’origine delle colline moreniche che costeggiano il corso del Sesia a 2 milioni di anni fa, grazie al deposito lasciato dai ghiacci e il dilavamento alluvionale del Monte Rosa.
Come accaduto a molti areali vitivinicoli italiani storicamente vocati e, quindi, molto vitati anche l’Alto Piemonte ha vissuto, purtroppo, gli esiti nefasti della fillossera prima e dell’esodo dalle campagne poi. E’ così che dai 40.000 ettari vitati di fine ‘800 siamo passati a 600 ettari del dopoguerra, in un’area che da sola allevava più dell’intero patrimonio viticolo attuale del Piemonte.
Oggi la superficie totale a vigneto dell’Alto Piemonte (compresi i e poco più di 6ha iscritti a Carema Doc) non arriva a 400ha.
Negli ultimi anni l’Alto Piemonte sta vivendo una sorta di Rinascimento sostenuto da storiche realtà dalla rinnovata lungimiranza e soprattutto da giovani vignaioli/e che hanno compreso l’impressionante potenziale di questi territori nella produzione di grandi vini e in particolare di eccellenti Nebbiolo. Vini che guardano all’integrità della tradizione risultando assolutamente attuali, grazie alla capacità di raggiungere complessità e finezza e di mantenere un grande equilibrio fra struttura e slancio acido. Una beva tanto agile quanto per nulla scontata, grazie alla naturale vocazione di questi territori all’eleganza luminosa e fresca dei vini del nord e alla mineralità a tratti più vulcanica a tratti pià marina in base alle diverse matrici dei terreni delle singolo zone.
Una conduzione agronomica più savia e una maggior consapevolezza enologica, unitamente ai cambiamenti climatici (che come accennato prima qui stanno avendo esiti generalmente positivi) stanno dando origine ad una serie di produzioni di grande qualità e contemporaneità, capaci di destare l’interesse di appassionati e media italiani e non solo.
Quello che poteva sembrare un difetto oggi è un valore aggiunto nei confronti delle stesse Langhe, ovvero la sporadicità dei vigneti, contestualizzati in un paesaggio agricolo in cui il bosco è tornato ad essere una presenza dominante e non vige la monocoltura. Una biodiversità che fa il pari con la ricchezza di varietà di interpretazioni agronomiche che regalano suggestioni uniche come le forme di allevamento a Topia o Topiùn (presenti principalmente a Carema e nelle Valli Ossolane) e la Maggiorina di Boca (presente anche a Ghemme, Gattinara e Bramaterra), in molti casi disposti sugli “antichi” terrazzamenti. Un paesaggio agricolo in cui l’antropizzazione ha vissuto fasi contrastanti ma che, oggi, vanta potenzialità indiscusse, nonostante le difficoltà di una viticoltura, spesso, ai limiti dell’eroico.
Altra peculiarità dell’Alto Piemonte da rimarcare è sicuramente quella relativa al pedoclima che vede gran parte dei suoi vigneti godere della protezione delle Alpi e delle correnti fresche montane che portano sollievo estivo alle viti e le mantengono sane. Quello che potrebbe rappresentare un problema è la piovosità, sicuramente molto più alta che nel basso piemonte, ma i terreni molto drenanti aiutano a mantenere in equilibrio le piante di varietali per lo più autoctoni, tra i quali spiccano cloni e biotipi di Nebbiolo qui chiamati Spanna, Picotendro e Prunent.
Nebbioli che in queste particolari condizioni pedoclimatiche vedono il loro ciclo vegetativo, già molto lungo, dilatarsi ulteriormente posticipando la vendemmia anche di 2 o 3 settimane prendendo come termine di paragone ciò che avviene nelle Langhe.
L’aver adagiato i vigneti con esposizioni (sud) ponderate capaci di godere di un lungo irradiamento e le forti escursioni termiche giorno-notte, oltre alla possibilità che le viti hanno di affondare le proprie radici in terreni sciolti, ricchi di scheletro, molto poveri di sostanza organica ma ricchi di minerali fondamentali e con acidità molto alta, sono tutti fattori determinanti per la qualità delle uve atte alla produzione dei vini dell’Alto Piemonte e in particolare dei Nebbioli.
Questo arcipelago di micro-denominazioni nel mare magnum del panorama vitivinicolo italiano, però, non può essere compreso se non recandosi sul posto, saggiando la moltitudine di composizioni dei terreni che potranno essere: vulcanici, disfacimenti granitici, morene di antichi ghiacciai, sabbiosi, ricchi di porfido, più o meno argillosi e limosi, carichi di calcare e ciottoli con quote di minerali e di scheletro. Più nello specifico potremmo dividere il territorio in 4 aree con Ghemme, Sizzano e Fara che vedono le loro viti affondare le proprie radici in terreni prevalentemente di origine morenica, con ciottoli affioranti e grande substrato minerale simili a quelli di Carema; Boca con terreni molto acidi, vulcanici, con una matrice di porfido importante e molto ricchi di scheletro; Gattinara troverete un terreno più fine, povero di sostanza organica e ricco di roccia; Bramaterra e Lessona con zone simili a quelle di Gattinara di matrice vulcanica e altre con più alta percentuale di argillosa e sabbia, in alcuni casi molto ricchi di calcare e di fossili marini, oltre al ricorrente porfido; nella Valdossola troveremo per lo più terreni formatisi da antichi depositi alluvionali divisi in zone più con alta componente argillosa e zone più ricche di scheletro, sabbia e limo. Insomma, anche in termini di suoli e sottosuoli l’Alto Piemonte offre uno spettro ampio e variegato di opportunità.
Ribadendo che per conoscere territori come questi è fondamentale recarsi sul posto per vedere vivere vigneti e cantine confrontandosi con i singoli vignaioli per poi assaggiare i loro vini e comprenderne a pieno l’entità, l’essenza, la complessità, sono certo che la vostra curiosità potrà essere stimolata da vettori liquidi rappresentati dai vini delle seguenti realtà che vi consiglio di assaggiare:
Gattinara: Cantina Delsignore, Vegis Stefano, Azienda Franchino, Patriarca, il Chiosso.
Realtà che si stanno distinguendo per la costanza e la concretezza dei propri vini in una terra in cui si producono da sempre grandi vini ma che deve necessariamente cogliere questo momento per premere sull’acceleratore e mostrare la forza espressiva e l’eleganza dei suoi vini. Vini sempre più forti di una carica espressiva giocata sull’armonia fra frutto, fiore e note minerali che con l’evoluzione si fanno balsamiche. Classe innata!
Ghemme: Pietraforata, Mirù, Platinetti.
Piccole cantine che mostrano e dimostrano tutta l’agilità e la finezza di Ghemme senza scadere in interpretazioni troppo esili e magre. L’andamento climatico attuale ha portato, anche in questo areale, cambiamenti che permettono di ritrovare nel calice vini dalla più definita struttura materica e dalla trama tannica sottile. Vini fini e saporiti.
Boca: Poderi ai Valloni, Conti, Barbaglia.
Il territorio in cui Maggiorina è più diffusa, cosa che permette di prendere coscienza di quanto anche sistemi di allevamento arcaici possano risultare idonei alla situazione climatica attuale permettendo (al netto della difficoltà di gestione) un maggior equilibrio della pianta e condizioni di ombreggiamento ideali in annate molto calde. I vini di quest’area vantano una spiccata identità territoriale che trascende la purezza, data dalla prevalenza di uvaggi o di blend delle uve tipiche (Spanna dal 70% al 90%, Uva Rara e Vespolina a dividersi il restante 30%-10%). Trovo molto interessanti le declinazioni con un equilibrio estrattivo tangibile, che non eccedano in forzate sovrastrutture.
Bramaterra & Lessona: Noah, La Psigula, Roccia Rossa, La Palazzina, Pietro Cassina.
Vini fieri, slanciati e sanguigni, in cui è possibile percepire il carattere territoriale in maniera nitida a prescindere dalla singola interpretazione. Notevole il potenziale in termini di longevità. Due fra i territori in cui ho trovato il piglio più contemporaneo nell’interpretazione dei vini.
Fara & Sizzano: Francesca Castaldi, Cantina Comero, Az. Agr. Dei Cavallini, Paride Chiovini.
Le piccole e virtuose aziende di queste due Doc riescono a spalmare la propria identità su più vini, sperimentando con meno vincoli delle altre denominazioni. Reputo molto interessante la varietà interpretativa e, quindi, espressiva trovata e percepita in queste zone.
Valli Ossolane: Edoardo Patrone, Cantine Garrone, Ca da l’Era.
Tra antiche pergole e nuovi impianti i vini che di più incarnano la montagna sono quelli delle Valli Ossolane e le 3 aziende in questione hanno dimostrato grande rispetto nei confronti dell’essenza di queste aree. Vini freschi, tesi, vibranti ma che non lesinano materia. Tannini fini e apprezzabile dinamica di beva.
Molte di queste realtà producono anche vini che ricadono nelle denominazioni Coste della Sesia e Colline Novaresi e una in particolare produce solo vini Coste della Sesia trovandosi in un punto altamente vocato ma fuori dalle denominazioni: Cascina Preziosa. Segnalo anche la Cantina Enrico Crola che produce solo Colline Noraveresi Doc e l’Az. Agr. Francesco Brigatti anch’essa principalmente dedita alla produzione di Colline Novaresi Doc ma dispone anche di un Ghemme molto valido
Per quanto concerne il Canavese (Carema e Erbaluce) le realtà che ho avuto modo di conoscere e di apprezzare sono: SorPasso, Az. Agr. San Martin, Monte Maletto di Gian Marco Viano e l’Az. Agr. Favaro Benito, Az. Agr. Ilaria Salvetti e Az. Agr. La Campore. In particolare, ci tengo a sottolineare la valenza assoluta del vitigno Erbaluce (a mio parere fra i 3 migliori vitigni a bacca bianca italici) che rappresenta, insieme al Verdicchio, un esempio assoluto di versatilità (è possibile produrre grandi metodo classico, agili bianchi freschi e grandi bianchi da invecchiamento, nonché noto per le vendemmie tardive e i passiti) e di contemporaneità del suo potenziale interpretativo. Sui rossi di Carema non posso far altro che continuare a ripetere ciò che sostengo da anni, ovvero che siamo di fronte ad un territorio capace di esprimere nel calice un connubio raro fra la freschezza e la finezza della montagna e la forza del sole. Parliamo di vini un tempo considerati nervosi e spigolosi ma che godono dei vantaggi dei cambiamenti climatici odierni smussando quegli spigoli e trovando maggior armonia ed equilibrio fra struttura, acidità e tannino.
In conclusione, per quanto possa essere difficile in termini di comunicazione e di massa critica creare un’attenzione costante e profonda su un territorio così frastagliato e ricco di diversità pedoclimatiche e varietali (basti pensare ai vari cloni di Nebbiolo e alla presenza in uvaggio e/o in blend di altre uve tra le quali spiccano le autoctone Vespolina, Uva Rara e Croatina), quando mi chiedono quali siano i territori da ri-scoprire in Italia l’Alto Piemonte è il primo macro-areale a balenarmi nella mente. Questo grazie alla grande armonia che vige fra natura e uomo, fra vigna e vignaioli capace di dar vita a vini di grande qualità e che hanno la loro arma vincente nella contemporaneità di un gusto e di un’eleganza senza tempo. Vini in grado di stupire con la loro austerità ma anche di emozionare per la loro fine complessità espressiva, vini in grado di mostrare sicurezza e nerbo sottendendo un’agilità di beva dinamica e vibrante. Anime diverse unite dal comun denominatore della longevità.
Se avevo dei dubbi riguardo la possibile unità di intenti fra i produttori delle varie denominazioni ho capito, durante la mia recente full immersion dalla vigna al bicchiere, che ora più che mai ci sono i presupposti per presentarsi congiunti e coesi nella valorizzazione di un territorio straordinario che deve necessariamente fare della diversità un valore aggiunto ma senza commettere l’errore di creare inutili fazioni. Il complesso di inferiorità che la Langa sembrava indurre nei confronti di alcuni sta scemando e la sensibilità delle nuove generazioni e dei viticoltori più saggi e illuminati nei confronti di una rivalutazione del posizionamento commerciale rappresenta la chiave di volta per l’elevazione della percezione di un Alto Piemonte ricco di unicità in cui manca solo una serie di vini che a scaffale e nelle carte dei migliori ristoranti italiani e del mondo siano in grado di giocarsela con le più note referenze premium e super-premium. I vini ci sono già, la consapevolezza cresce di giorno in giorno, ora manca solo quell’iniezione di fiducia nei propri mezzi che permetta di fare il salto.
Io ci credo e molti dei produttori (ca. 30) presenti alla cena organizzata in occasione del mio tour nelle terre dell’Alto Piemonte si sono dimostrati ricettivi e pronti ad un netto e coeso cambio di marcia.
Io ci credo e molti dei produttori (ca. 30) presenti alla cena organizzata in occasione del mio tour nelle terre dell’Alto Piemonte si sono dimostrati ricettivi e pronti ad un netto e coeso cambio di marcia.
Non mi resta che consigliarvi di fare un salto in Alto Piemonte, per prendere coscienza della bellezza dei suoi suggestivi vigneti e per comprendere a pieno le potenzialità delle sue virtuose cantine.
F.S.R.
#WineIsSharing
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