Tra vini e produttori della Doc Orcia è un po’ come sentirsi a casa

Tra vini e produttori della Doc Orcia è un po’ come sentirsi a casa… e che casa!


Ci sono terre che ti entrano nel cuore per la loro bellezza, ce ne sono altre in cui ti senti a casa grazie al contesto umano che si crea quando le vivi anche solo per qualche giorno, ma poi ci sono terre che riescono a coniugare entrambe le cose, aggiungendo a queste importanti peculiarità ciò che per me non può che fare la differenza: il Vino.

La Val d’Orcia è, forse, la terra che più di tutte sia stata in grado di miscelare bellezza, ospitalità, qualità umane dei suoi abitanti ed una sempre più qualificata produzione di Vino che di anno in anno, ormai, si può constatare partecipando all’Orcia Wine Festival.
Un evento enoico raccolto, di quelli con pochi produttori, ma una location meravigliosa, con degustazioni guidate e banchi d’assaggio nei quali è possibile, finalmente, avere un confronto diretto e spontaneo con piccoli, ma preparatissimi, produttori, con il giusto tempo a disposizione.

Ormai, posso asserire con certezza di aver creduto sin dal primo calice di Orcia Doc in questa giovanissima (2000) denominazione ed in particolare di aver inquadrato alcune aziende come riferimenti per un movimento che deve, sicuramente, acquisire ancora una sua identità ed una più evidente linea di riconoscibilità all’interno del panorama enoico locale e nazionale, ma che sta, giustamente, dando la priorità a proporre la massima espressione di ciò che è la propria singola azienda, con picchi notevoli e situazioni in via di assestamento da considerare come un punto di partenza per le prossime annate.

A colpirmi tra le Cantine presenti, fra nuove annate e Vini che avevo già avuto modo di incontrare nel mio calice, ci terrei a citare alcune realtà:

Poggio Grande: Luca Zamperini continua a dimostrarsi un punto di riferimento in termini di qualità e lungimiranza. La personalità dei suoi Vini è sempre più delineata, ma ciò che si palesa in ogni singola etichetta della sua linea, è la volontà sincera di portare imbottiglia prima e nel calice poi un Vino pulito, mai scomposto, ma sempre specchio dell’annata e là dove si possa osare (vedi il Tagete 2013) di sperimentare e mettere la creatività al servizio dell’enologia e viceversa, con risultati clamorosi.
Sempre più convinto che la sua Syrah sia una di quelle che di più siano in grado di strimpellare in modo romantico, ma sapiente, le corde del mio cuore, ho notato una crescente espressione territoriale nei suoi rossi sia con il Sangiovese che con il Cabernet Sauvignon. Le vigne crescono, fanno esperienza, maturano in quanto a consapevolezza e quel bellissimo equilibrio fra beva e complessità cresce con esse.

Marco Capitoni: il suo è un territorio diverso, siamo a Pienza, ed è sempre gratificante per lui e per chi come me ama la territorialità rendersi conto anche solo a primo naso di quanto, ad esempio, l’espressione delle sue vigne di sangiovese sia diversa da praticamente tutte le altre. Marco è una persona che sa guardare oltre il Vino e vive nel desiderio di migliorarsi e non fermare mai mente, cuore e mani e quest’anno a portato in degustazione un sangiovese in anfora (6 mesi) che, a mio parere, dovrebbe essere il biglietto da visita di chiunque faccia sangiovese, tanto è la purezza e tanta la sincerità di un Vino di questo genere. Espressione vera e sincera di un vitigno, di una vigna, di un territorio e della personalità di un produttore, che gioca tutto sugli equilibri fra corpo, freschezza e mineralità, con note varietali spiccate alle quali ci stiano disabituando per via dei lunghi affinamenti, che restano una via giusta e comprensibile per la produzione di Vini di maggior spessore e longevità, ma che incidono molto su sentori tipici di un varietale come il sangiovese.
Davvero bello rendersi conto di quanto un uva possa dare con il minimo apporto umano, ma lasciata libera di esprimere la sua schietta identità.

Podere Albiano: altra realtà scoperta da circa un anno, ma che mi ha già dimostrato un crescendo di prospettive, con il Sangiovese Trìbolo che si conferma una delle migliori espressioni dell’intera denominazione, con un’armonia fra personalità ed eleganza che anelano ad ideali aspettative più consone a Brunello e Nobile. Sempre un piacere consigliare degli assaggi ed avere riscontro più che positivo sia da winelovers “occasionali” che da tecnici quali enologi e sommelier e devo ammettere che con Podere Albiano ho avuto consensi all’unanimità su tutta la linea, persino sul packaging di gran lunga il più riconoscibile ed identificativo della manifestazione.


Campotondo: la nuova annata dello Chardonnay Tavoleto è una buona conferma, che con qualche mesetto di bottiglia non potrà che dare ulteriori soddisfazioni, mentre sui rossi, ho già scritto molto, ma ogni occasione è buona per confutare le mie impressioni di un tempo, prima fra tutti la sensazione che sia il Tocco che il Banditone siano Vini dal potenziale d’invecchiamento davvero disarmante e che la loro evoluzione regali sfumature davvero intriganti di mese in mese. Il sangiovese in purezza Mezzodì, invece, esprime un concentrato di territorio e forza vitale, dando alla viticoltura di alta collina (810mslm) una prospettiva diversa, grazie all’allevamento ad alberello che riesce a compensare in materia e struttura ed a favorire un grado di freschezza equilibratissimo. Una famiglia ed una realtà tutta da scoprire, in un luogo davvero suggestivo.


E’ vero, di queste aziende vi avevo già parlato, ma trovo fondamentali eventi come l’Orcia Wine Festival, proprio per confermare le proprie impressioni riguardo Vini e Cantine, a distanza di un anno, con annate difficili come la 2014 a fare da ago della bilancia ed una 2015 da valutare insieme ai singoli produttori con i Vini già imbottigliati e quelli che riposano ancora in vasca o botte.
Ad ogni evento, però, non manco di andare alla ricerca di cantine nuove in termini di assaggi e di confidare nella possibilità di trovare in queste realtà a me sconosciute o poco conosciute qualcosa capace di sorprendermi… e così è stato con il Podere Forte!
Un mondo ed un modo di fare Vino, forse, materialmente distante da quello delle micro-cantine tutte a conduzione iper-familiare di cui vi ho parlato prima e che sapete essere le realtà che prediligo in termini emozionali ed umani, ma al contempo un mondo ed un modo di vedere il Vino di grande rispetto ed attenzione.
Cantina straordinariamente bilanciata fra tecnologie moderne, strutture essenziali e concettualità spinta verso la qualità più naturale possibile. Vini biodinamici, ma che a prescindere dalla certificazione, sono in grado di raggiungere un livello di eccellenza che, in particolare nel Petrucci Sangiovese (nato dalla propagazione di un’univa vite madre maritata ad una quercia all’interno del podere), esprime al meglio le potenzialità raggiungibili da questo territorio, che nulla hanno da che invidiare alle “grandi sorelle” che lo cingono in un simbolico abbraccio, tanto dolce quanto limitante, a volte. In linea di massima, sia il Petrucci che il Guardavigna (sorprendente la 2009 per tenuta in freschezza e profondità) sono quei Vini che dopo un evento di questo genere, ti fanno ben sperare in una denominazione che ha bisogno, anche, di traini come il Podere Forte per potersi far conoscere come terra di eccellenza e di grande vocazione e non come realtà disomogenea e, purtroppo, in alcuni casi, ancora leggermente “depotenziata”.

In ultimo mi riservo di approfondire la conoscenza dei Vini della Cantina le Buche che, in alcuni casi, mi hanno colpito molto, vedi il Rosato di Syrah Zelia 2014 e il bianco classico toscano base Trebbiano e Malvasia Coreno 2014, ma che ha una linea talmente diversa dalle altre aziende per quanto concerne i rossi, che vorrei decontestualizzarla per potermi fare un’idea più veritiera ed incondizionata a riguardo. Poi… da quando ho saputo che hanno una vigna vecchia di Verdicchio con la quale stanno producendo in purezza da qualche anno, la curiosità sale, senza pregiudizio alcuno, ma con grande attenzione a ciò che quest’azienda vuole esprimere in un contesto come la Val d’Orcia.



Non posso che concludere con un plauso a Donatella Cinelli Colombini, che oltre a portare avanti il bellissimo progetto tutto al femminile “Casato prime Donne” dando vita ai Vini della sua Fattoria del Colle di Trequanda, è presidente del Consorzio Vino Orcia, ed ha contribuito a creare presupposti concreti per dare sempre più visibilità alla denominazione. Ringrazio egualmente tutti i produttori presenti per il grande lavoro che stanno facendo e la passione che mettono ogni giorno nel ricercare un’identità territoriale, senza dimenticare la propria personalità e la voglia di unicità che, qui, più che in molte altre zone, è di casa.
La Val d’Orcia non è solo uno dei luoghi dai paesaggi più belli e suggestivi del mondo, ma anche e sempre più terra di Vini d’eccellenza.

F.S.R.
#WineIsSharing

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