Il Ruché – Mistero e realtà, passato e futuro di un Vino unico

“Se a Castagnole Monferrato qualcuno vi offre il Ruché è perché ha piacere di voi”

Vi avevo già parlato durante gli ultimi mesi di questo vitigno poco conosciuto, ma dai tratti storico-culturali e, soprattutto, espressivi in termini organolettici, davvero interessanti, ma oggi condivido con voi una vera e propria full immersion nel mondo Ruché.
Ci sono periodi densi di appuntamenti e per chi non ha il dono dell’ubiquità, come me, non è facile scegliere un evento enoico piuttosto dell’altro, ma sempre più spesso il mio istinto mi spinge verso le realtà che hanno davvero bisogno di visibilità, ma che molto umilmente, attendono che qualcuno si accorga di loro senza forzare troppo la mano ed è propri questo che mi ha spinto a partecipare alla 9° edizione della Festa del Ruché a Castagnole Monferrato.
foto ruché festa castagnole

Se
oggi possiamo bere Ruché, però, dobbiamo ringraziare la
lungimiranza e la grande personalità di un uomo di Chiesa,
Don
Giacomo Cauda
,
parroco di
Castagnole
Monferrato
,
uno di quei preti contadini che portavano avanti il lavoro negli
orti, nei campi e nei vigneti con dedizione e fatica.

E’
proprio a questo parroco viticoltore che dobbiamo la scoperta, o
meglio, la riscoperta, del

Ruchè
.
Nel 1964 quando arriva a Castagnole Monferrato, don Cauda prende in
mano il beneficio parrocchiale dove, tra quelle poche viti, incontra
un vitigno a bacca rossa diverso, con quell’alone di mistero capace
di incuriosire anche un uomo di fede.

Una
volta vinificato, quel varietale, mostrò subito le proprie
peculiarità con un buon corpo, una componente aromatica impattante,
ed intrigante, con fiore, frutto e spezia in grande armonia.

Da
lì, con un po’ di titubanza iniziale, non passò molto tempo per
vedere quelle viti di ruché propagarsi nei vigneti dove fino a poco
prima a spopolare erano barbera e nebbiolo, ma soprattutto a veder
nascere nuovi appezzamenti dove mettere a dimora le viti di questo
raro vitigno, nella speranza di dar seguito all’opera intuitiva del
parroco Cauda.

Oggi i produttori di Ruché sono
abbastanza da produrre circa 700.000 bottiglie, ma non tutti erano
presenti alla manifestazione che ha visto coinvolti solo gli aderenti
all’associazione che si è presa carico dell’opera di promozione di
questa denominazione e di questo Vino in Italia e nel mondo.

Assaggi ed impressioni sul Ruché

Devo ammettere che sin dalla cena di
gala, durante la quale era possibile abbinare a proprio piacimento i
Ruché dei produttori presenti, ai piatti del simpatico e davvero
umile, nonché eccellente, Chef Walter Ferretto, tutte le mie
preoccupazioni riguardo una potenziale disomogeneità sono venute
meno e questo ha reso molto più positivo l’approccio ai banchi
d’assaggio del giorno dopo.

vino ruché
Banchi d’assaggio attraverso i quali ho
potuto avere conferme, prime fra tutte quelle avute dai Ruché di
Cantine Sant’Agata
, che con le sue tre declinazioni rappresenta ad
oggi il punto di riferimento per chi voglia comprendere a pieno le
potenzialità di questo vitigno.
Una versione solo acciaio (Na’ Vota
2015
) che lascia massima libertà di espressione al varietale in
termini di aromaticità e freschezza, una versione affinata che
conferisce a questo vitigno così gioviale una maggior complessità e
profondità (Pro Nobis 2013) ed un’interpretazione un po’ fuori dagli
schemi, ma non troppo, rappresentata dal Genesi che si rifà alla
tecnica della sforzatura tipica, come dice il nome stesso, degli
Sfursat della Valtellina, e che avvicina questo Vino ad un Amarone in
termini di appassimento e quindi materia, profondità e lunghezza.
Ciò che colpisce di più di questo Vino è la sua capacità di
invecchiamento, che cozza un po’ con quanto ci si possa aspettare da
un Ruché in termini di longevità a causa della non troppo elevata
ricchezza dell’uva in quanto a tannini e acidità. Ho assaggiato una
2007 che brillava ancora in tagliente freschezza ed una 2003 che era
all’apice del suo percorso evolutivo, con davvero tanta tanta roba da
sentire e da gustare.
Tra le conferme non posso che
annoverare anche i Vini di Luca Ferraris, che con il suo Clasìc
porta eleganza in un contesto dove, forse, la finezza non solo sia
molto difficile da trovare, ma forse non è neanche una prerogativa
del produttore e del vitigno stesso, quindi tanto di cappello a chi
riesce ad ingentilire un’uva che lo stesso Veronelli definì
“scalpitante” e che io ho definito più volte irriverente.

Tra le novità citerei la Cantina
Poggio Ridente
, che interpreta da oltre 12 anni, ovvero dai suoi
albori, questo vitigno attraverso una viticoltura sostenibile e
biologica, dimostrando che nonostante i problemi derivanti dalla
grande suscettibilità di questo varietale ad alcune patologie della
vite, si possono fare grandi Vini anche senza ricorrere ad una
viticoltura troppo invasiva.
Una 2014 tutta giocata sui tipici aromi
floreali di rosa e fragola, con i frutti di bosco a predisporre il
palato ad una freschezza spiccata, che coadiuva il sorso con
inerziale facilità.
Probabilmente è in questa
interpretazione solo acciaio, con un’attenzione così grande al
lavoro in vigna ed alla pulizia in cantina, che il varietale emerge
con maggior franchezza e sincerità. Un bel riferimento, se pur
espressione di un terroir, quello di Cocconato, molto differente da
quelli degli altri produttori.
Tra gli incontro più piacevoli non
posso che annoverare, poi, quello con il giovane produttore
dell’ancor più giovane Cantina Bosco, che nonostante sia alla prima
annata presentata (2015), gode di un’ossimorica realtà, ovvero quel
bellissimo contrasto fra la gioventù di azienda e produttore e la
presenza nei propri vigneti di quelle che, con buone probabilità,
sono tra le più vecchie viti di Ruchè ancora esistenti, con piante
di oltre 20 anni. Davvero un bell’inizio con pulizia e grande
identità. L’esperienza delle viti si sente e credo darà ottimi
frutti anche in termini di longevità e profondità espressiva.

Se poi volete comprendere quanto possa
arrivare ad essere fine, elegante ed oserei dire femminile il Ruché,
non c’è altro luogo se non il Bricco della Rosa dove Felix Binggeli, uno svizzero ex commerciante di Vino, ha iniziato a produrre quel
Ruché del quale si era tanto invaghito sin dal primo sorso.
Un’espressione educata, ma spontanea,
proprio come lui… quell’eleganza tipica delle ballerine di danza
classica, capaci di grandi evoluzioni e sforzi fisici, nonché di
altrettanta ed attenta concentrazione, mantenendo sempre il sorriso
sulle labbra e non manifestando mai l’entità del proprio sacrificio.
Un Ruché, la sua 2014 Bricco della Rosa della Cascina Terra Felice,
che cambia le regole “del gioco” e diventa un riferimento
per tutti in termini di potenziale finezza e di armonia.

Tra le note positive inserirei anche Crivelli, una certezza mi confermano anche gli altri produttori ed il vigna del parroco di Francesco Borgognone, che viene proprio dalla celebre vigna di Don Cauda.

La Festa del Ruché

La Festa del Ruché è stata, dunque, una vera e propria festa del Vino, nella quale buon bere ed una rivisitazione in chiave gourmet della cucina popolare e dello street food, hanno incontrato una grande affluenza di persone davvero appassionate e, soprattutto, giovani. Location perfetta quella della Tenuta La Mercantile, che sale affrescate e bellissimi giardini all’italiana, ha fatto da tela ad un dipinto sempre meno astratto e sempre più realista come quello del Ruché.
Una formula che ha fatto tornare il Vino ad un contesto umano più easy, meno impostato e settario, abbracciando categorie e generazioni diverse, tutte unite dalla passione per il Vino.

Il Ruché e le patologie della vite

Ci tengo a concludere ponendo l’attenzione su un argomento che la maggior parte di chi beve Vino non prende quasi mai in considerazione quando si appresta ad acquistare una bottiglie ovvero le patologie della vite, che nel caso specifico del Ruché si esprimono in percentuali altissime ed in forme davvero difficili da curare se non impossibili, come la flavescenza dorata ed il così detto legno nero. Con una moria di piante che, in alcuni vigneti, arriva a circa il 30% (poco meno di una pianta su tre) fare Ruché non è solo complesso, ma sempre più dispendioso e problematico ed è per questo che, anch’io che sono da sempre molto perplesso riguardo gli OGM, ho apprezzato molto l’intervento del Prof. Attilio Scienza, che ha illustrato quella che potrebbe essere la salvezza di vitigni rari e “cagionevoli” come il Ruché, in territori così colpiti da queste vere e proprie piaghe.
Il futuro sembra essere quello di innestare dei segmenti di DNA nelle piante, capaci di rendere la vite stessa immune e resistente a quelle patologie, senza andare a sostituirle con vitigni resistenti creati in laboratorio e mantenendo il corredo genetico e quindi aromatico e gustativo dell’uva e del Vino che ne verrà prodotto.
A volte la scienza fa paura, specie se abbinata alla Natura, ma Mendel e Darwin hanno rivoluzionato il mondo con le loro idee e se oggi abbiamo il 90% dei vitigni autoctoni italiani (ed Europei) è proprio grazie ai loro studi che ci hanno permesso di innestare le nostre varietà su portainnesti americani in modo da conferire la loro immunità alla fillossera all’intera pianta. Quindi, è il caso di riflettere… ovviamente confidando che tutto venga portato avanti senza doppi fini ed abusi, mantenendo intatto il corredo genetico di varietali unici come quelli che si sono stabiliti ed adattati al nostro paese.
A prescindere da ciò che accadrà, volevo comunque rimarcare, se mai ce ne fosse bisogno, quanto poca sia la considerazione che diamo al lavoro ed al dispendio fisico, psicologico ed economico di cui produce Vino, quando acquistiamo una bottiglia.

F.S.R.
#WineIsSharing

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