“Se a Castagnole Monferrato qualcuno vi offre il Ruché è perché ha piacere di voi”
Se
oggi possiamo bere Ruché, però, dobbiamo ringraziare la
lungimiranza e la grande personalità di un uomo di Chiesa, Don
Giacomo Cauda,
parroco di Castagnole
Monferrato,
uno di quei preti contadini che portavano avanti il lavoro negli
orti, nei campi e nei vigneti con dedizione e fatica.
E’
proprio a questo parroco viticoltore che dobbiamo la scoperta, o
meglio, la riscoperta, del
Ruchè.
Nel 1964 quando arriva a Castagnole Monferrato, don Cauda prende in
mano il beneficio parrocchiale dove, tra quelle poche viti, incontra
un vitigno a bacca rossa diverso, con quell’alone di mistero capace
di incuriosire anche un uomo di fede.
Una
volta vinificato, quel varietale, mostrò subito le proprie
peculiarità con un buon corpo, una componente aromatica impattante,
ed intrigante, con fiore, frutto e spezia in grande armonia.
Da
lì, con un po’ di titubanza iniziale, non passò molto tempo per
vedere quelle viti di ruché propagarsi nei vigneti dove fino a poco
prima a spopolare erano barbera e nebbiolo, ma soprattutto a veder
nascere nuovi appezzamenti dove mettere a dimora le viti di questo
raro vitigno, nella speranza di dar seguito all’opera intuitiva del
parroco Cauda.
Oggi i produttori di Ruché sono
abbastanza da produrre circa 700.000 bottiglie, ma non tutti erano
presenti alla manifestazione che ha visto coinvolti solo gli aderenti
all’associazione che si è presa carico dell’opera di promozione di
questa denominazione e di questo Vino in Italia e nel mondo.
Assaggi ed impressioni sul Ruché
gala, durante la quale era possibile abbinare a proprio piacimento i
Ruché dei produttori presenti, ai piatti del simpatico e davvero
umile, nonché eccellente, Chef Walter Ferretto, tutte le mie
preoccupazioni riguardo una potenziale disomogeneità sono venute
meno e questo ha reso molto più positivo l’approccio ai banchi
d’assaggio del giorno dopo.
potuto avere conferme, prime fra tutte quelle avute dai Ruché di
Cantine Sant’Agata, che con le sue tre declinazioni rappresenta ad
oggi il punto di riferimento per chi voglia comprendere a pieno le
potenzialità di questo vitigno.
2015) che lascia massima libertà di espressione al varietale in
termini di aromaticità e freschezza, una versione affinata che
conferisce a questo vitigno così gioviale una maggior complessità e
profondità (Pro Nobis 2013) ed un’interpretazione un po’ fuori dagli
schemi, ma non troppo, rappresentata dal Genesi che si rifà alla
tecnica della sforzatura tipica, come dice il nome stesso, degli
Sfursat della Valtellina, e che avvicina questo Vino ad un Amarone in
termini di appassimento e quindi materia, profondità e lunghezza.
Ciò che colpisce di più di questo Vino è la sua capacità di
invecchiamento, che cozza un po’ con quanto ci si possa aspettare da
un Ruché in termini di longevità a causa della non troppo elevata
ricchezza dell’uva in quanto a tannini e acidità. Ho assaggiato una
2007 che brillava ancora in tagliente freschezza ed una 2003 che era
all’apice del suo percorso evolutivo, con davvero tanta tanta roba da
sentire e da gustare.
annoverare anche i Vini di Luca Ferraris, che con il suo Clasìc
porta eleganza in un contesto dove, forse, la finezza non solo sia
molto difficile da trovare, ma forse non è neanche una prerogativa
del produttore e del vitigno stesso, quindi tanto di cappello a chi
riesce ad ingentilire un’uva che lo stesso Veronelli definì
“scalpitante” e che io ho definito più volte irriverente.
Poggio Ridente, che interpreta da oltre 12 anni, ovvero dai suoi
albori, questo vitigno attraverso una viticoltura sostenibile e
biologica, dimostrando che nonostante i problemi derivanti dalla
grande suscettibilità di questo varietale ad alcune patologie della
vite, si possono fare grandi Vini anche senza ricorrere ad una
viticoltura troppo invasiva.
floreali di rosa e fragola, con i frutti di bosco a predisporre il
palato ad una freschezza spiccata, che coadiuva il sorso con
inerziale facilità.
interpretazione solo acciaio, con un’attenzione così grande al
lavoro in vigna ed alla pulizia in cantina, che il varietale emerge
con maggior franchezza e sincerità. Un bel riferimento, se pur
espressione di un terroir, quello di Cocconato, molto differente da
quelli degli altri produttori.
posso che annoverare, poi, quello con il giovane produttore
dell’ancor più giovane Cantina Bosco, che nonostante sia alla prima
annata presentata (2015), gode di un’ossimorica realtà, ovvero quel
bellissimo contrasto fra la gioventù di azienda e produttore e la
presenza nei propri vigneti di quelle che, con buone probabilità,
sono tra le più vecchie viti di Ruchè ancora esistenti, con piante
di oltre 20 anni. Davvero un bell’inizio con pulizia e grande
identità. L’esperienza delle viti si sente e credo darà ottimi
frutti anche in termini di longevità e profondità espressiva.
arrivare ad essere fine, elegante ed oserei dire femminile il Ruché,
non c’è altro luogo se non il Bricco della Rosa dove Felix Binggeli, uno svizzero ex commerciante di Vino, ha iniziato a produrre quel
Ruché del quale si era tanto invaghito sin dal primo sorso.
proprio come lui… quell’eleganza tipica delle ballerine di danza
classica, capaci di grandi evoluzioni e sforzi fisici, nonché di
altrettanta ed attenta concentrazione, mantenendo sempre il sorriso
sulle labbra e non manifestando mai l’entità del proprio sacrificio.
Un Ruché, la sua 2014 Bricco della Rosa della Cascina Terra Felice,
che cambia le regole “del gioco” e diventa un riferimento
per tutti in termini di potenziale finezza e di armonia.
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