Piccolo è sempre bello nel mondo del Vino? Cantine piccole, medie, grandi di quali scrivo?

Stavo leggendo il libro “Piccolo è bello” di E. F. Shumacher e mi è venuta voglia di buttar giù due righe su ciò che penso riguardo questa affermazione, in riferimento al mondo del Vino.
piccolo è bello vino
In molti credono che io parli per lo più di piccole cantine, di produttori artigianali e di realtà di nicchia perché ce l’abbia con le grandi realtà o perché ad esse preferisca aprioristicamente aziende di piccole dimensioni, ma non è così!

Partiamo da un dato approssimativo, ma esaustivo riguardo la suddivisione delle cantine italiane per dimensioni:

– 30% ca. piccoli produttori (sotto le 60.000 bott.);
– 20% ca. medio-piccoli produttori (tra le 60.000 e le 150.000 bott.);
– 15% ca. medi produttori (tra le 150.000 e le 300.000);
– 15% ca. medio grandi produttori (tra le 300.000 ed il 1.000.000 di bott.);
– 5% ca. grandi produttori (tra il 1.000.000 e i 3.000.000 di bott.);
– 5% ca. grandissimi produttori (dai 3.000.000 ad un numero indefinito di bottiglie che in Italia sembra attestarsi alla quota massima di 65milioni).
 
Fatta questa fredda premessa e scartando subito l’ultima voce, ovvero quella relativa ai “grandissimi” produttori (industriali), ci rendiamo subito conto che il cuore delle aziende agricole italiane è tornato (e stanno aumentando) ad essere quello delle piccole e medie imprese. Quindi vorrei soffermarmi su quanto i numeri possano dire, effettivamente, poco di un’azienda, ma al contempo possano creare differenze e scompensi in termini, non tanto di qualità, bensì di identità.
Partendo dal presupposto che ognuno è libero di lasciarsi incuriosire da chi e ciò che sente più vicino a sè, che ogni penna è libera di scrivere di chi e ciò che ritiene più opportuno ed in linea con la propria indole e la propria ricerca personale, umana ed enoica, io, da par mio, credo di aver trovato un equilibrio cercando storie di vita e di vino da raccontare, ancor prima di limitarmi al solo assaggio.
Il mio ragionamento sarà, per alcuni, semplicistico, perché ho sempre visto il mio approccio al mondo del Vino così, molto semplice e diretto, e per questo ho basato la mia ricerca su ciò che potesse essere interessante condividere con un pubblico non di nicchia, bensì il più eterogeneo possibile (winelovers più o meno appassionati e più o meno preparati, sommelier, enologi, produttori, vignaioli, ma anche l’ormai nota casalinga di Voghera) in base a tre fattori:

– la storia dell’azienda, delle persone e di un territorio;

– la personalità dei produttori e l’identità dei vini assaggiati;

– il rispetto in vigna ed in cantina a prescindere dalle certificazioni;

Il tutto, unitamente, all’emozione totalmente soggettiva che storie, persone ed assaggi sappiano suscitare in me.
Questi fattori, da un lato trascendono le dimensioni aziendali, dall’altro operano una sorta di selezione naturale che esclude sin dal principio i grandissimi produttori e molti dei grandi produttori di vini che seppur meritevoli di rispetto perché danno lavoro a migliaia di persone, producono qualcosa che non rispecchia il concetto reale di Vino, andando ad elaborare enologicamente e chimicamente un prodotto che dovrà per forza di cose mirare all’omologato – ma non per questo include tutti i piccoli o ancor meno i piccolissimi produttori. Perché? Perché non sempre “piccolo è bello” ed anche se fa molto figo parlare di tirature super limitate e di micro-appezzamenti, di micro-vinificazioni, di approcci iper-naturali e del “vino del contadino” non sempre tutto questo si traduce nel giusto equilibrio fra contesto, contorno e bicchiere. Piccolo, però, può essere bellissimo là dove la storia, il lavoro, il sacrificio, l’artigianalità, la competenza, l’attenzione e la qualità si intersechino al fine di produrre l’unicità ed è per questo che la maggior parte della cantine di cui ho scritto, sino ad oggi, fa parte dei piccoli vignaioli. Sia ben chiaro l’artigianalità non è sempre foriera di qualità e la competenza enologica non sempre è da demonizzare. Assaggiando tanto, se c’è una cosa alla quale si diventa intolleranti è la “presa per i fondelli” volontaria o involontaria, forse nata dall’incuria, forse da un’idea di Vino troppo filosofica e poco rispettosa del consumatore finale. Dico ciò per sostenere la tesi dell’artigianalità attuata con cognizione di causa, senno e logica e va benissimo quel quid in più di inventiva, di creatività e di rischio, purché abbia un riscontro che nel bene e nel male esalti l’identità e non tenda all’omologazione. Omologazione che, purtroppo, sta colpendo alcune nicchie, specie quella dei macerati, dove in pochi stanno facendo piccoli grandi capolavori ma in molti, seguendo la scia/moda degli “orange wines”, stanno creando vini dalle peculiarità molto simili, celando varietale e territorio, ovvero il contrario che ci dovremmo aspettare da un piccolo vignaiolo artigiano.

Piccolo è bello quando arrivi in una cantina, pulita, minimale, ma con tanta storia dentro; è bello quando trovi nonno, padre, madre, figli e nipoti in giro per la campagna, in casa ed in cantina, uniti intorno al vino; è bello, soprattutto, quando il vino che la piccola cantina produce sa di quella terra, di quel piccolo fazzoletto di vigna ed è tratto da una conoscenza quasi intima, individuale di ciascun filare, di ciascuna pianta tanto che quando una vite perisce si assiste ad un vero e proprio lutto. Il piccolo, insomma, dovrebbe puntare sempre di più sulla sua unicità e su un’artigianalità pragmatica e non solo idealistica, che possa aiutarlo a vivere la produzione vitivinicola senza tutte quelle difficoltà di cui molti winelovers non si curano, bevendo un Vino prodotto da un’azienda che magari non arrivi neanche alle 15.000 bottiglie annue ad un prezzo con il quale in GDO si possano trovare Vini di grandi e grandissime aziende.
Il punto è questo… il piccolo non è sempre piccolo per sua volontà, ma per dinamiche economiche e commerciali che gli impediscono di crescere, ma se potesse arrivare ad aumentare leggermente la propria produzione, almeno in un regime atto a permettergli un adeguato margine di guadagno ne sarebbe felice e riuscirebbe, di certo, a mantenere e persino ad aumentare la qualità dei propri vini. Ecco il motivo principale per il quale io sono, da sempre più vicino ad aziende piccole e medio-piccole… il fatto che siano segregate in un limbo, dal quale non è facile uscire, nel quale il ritorno economico è tale da non permettere grandi investimenti in termini  di attrezzature di cantina, di marketing, di eventi, di viaggi e di tutto ciò che potrebbe concorrere ad una crescita aziendale, quanto meno in termini di posizionamento. Sono realtà che dipendono tantissimo dall’annata – una grandinata può ridurle sul lastrico per intenderci! – e devono variare i mercati, nonostante abbiano piccole produzioni e poca notorietà e questo non è sempre facile – se non ti chiami Brunello o Barolo e non è neanche detto che sia sempre così -, quindi alla fatica fisica si aggiunge, spesso, quella economica, che chi compra la bottiglia discutendone anche il prezzo spesso non comprende. Della serie “piccolo è bello, ma grande conviene!”.
Eppure non guarderei alle grandi cantine ed alle piccole cantine come ad una sorta di Davide e Golia, in quanto si tratta di due segmenti paralleli che non devono per forza di cose scontrarsi.

Perché scrivo per lo più delle piccole cantine?

Ci terrei a specificare che scrivere per passione va oltre la ragione, ma quando ci si rende conto di poter cambiare anche solo in piccolissima parte le cose, credo sia normale, indirizzare i propri sforzi, per lo più, verso chi può trarre maggior giovamento dai piccoli cambiamenti. Il discorso è semplice… io scrivo solo dei Vini che apprezzo, ma questo apprezzamento emozionale tiene conto sì delle peculiarità organolettiche, ma anche della capacità di quel vino di rappresentare un territorio, un vitigno, un’idea ed una realtà aziendale/umana, magari familiare: un identità! Quando questo accade per un vino prodotto da una piccola cantina e molti di voi che mi seguite e che – non smetterò mai di ringraziarvi abbastanza per questo – vi fidate del mio palato e delle mie impressioni a tal punto da acquistare quei vini o, addirittura, catapultarvi in cantina per conoscere le persone ed i territori di cui vi ho raccontato, le mie parole acquisiscono maggior valore di quanto potrebbero averne se parlassi dei “soliti noti”, che in primis non hanno bisogno di me ed in secondo luogo, non sono quasi mai in linea con il mio gusto personale ed in quanto tale opinabilissimo. Forse mi faccio condizionare dalle storie, dai caratteri dei vignaioli, dalla loro affabilità e dal rischio che si prendono ogni annata a fare questo lavoro e… beh, a me va bene così, perché il vino non può essere ridotto al solo gusto, ai soli descrittori… il vino è tutto ciò che racchiude una bottiglia ma anche e soprattutto tutto ciò che c’è intorno a quella bottiglia. Perché è palese che alla cieca alcuni vini di cui scrivo potrebbero risultare meno precisi, meno “piacevoli”, ma anche, spesso, meno “ruffiani” di alcuni “BIG”, ma io scrivo perché confido che le bottiglie che io stappo finiscano in un contesto di convivialità e piacere, che non si riduca alla sola percezione tecnica dell’assaggio, per quanto in alcuni casi, io abbia “scoperto” piccoli grandi vini di piccoli grandi vignaioli che alla cieca potrebbero tener testa a chiunque (e ne ho le prove! 😉). Quei “BIG” che non necessariamente ricadono nell’insieme delle grandi aziende, anzi, sono spesso cantine medio-piccole che hanno avuto la fortuna da un lato, l’abilità e la lungimiranza dall’altro di realizzare quelli che in gergo vengono definiti “vini da punteggio” e che oggi sono noti grazie ad una visibilità nazionale e globale su guide e riviste di settore e che quindi non avrebbero bisogno della mia penna, tutto qui. Io rispetto il grande nome e l’azienda “famosa” perché hanno fatto da traino ed ancora oggi fungono da locomotiva per intere denominazioni e perché hanno reso grande il vino italiano nel mondo, ma, semplicemente tra un “BIG” ed un produttore meno conosciuto, ma capace di eguale se non superiore qualità, mi sento più a mio agio nello scrivere del secondo. Opinabile? Certamente, ma è ciò che sento e credo sia fondamentale agire sempre secondo la propria indole e la propria personalità, specie in un mondo in cui, chiunque – guardate me! – può scrivere e condividere con grande facilità le proprie opinioni riguardo qualsiasi cosa, spesso, senza rendersi conto che le parole di ognuno, mai come oggi, possono cambiare in bene ed in male, in piccolo o in grande, la vita di altri.
Comunque, considerazioni personali e coinvolgimenti emozionali a parte, credo di aver trovato qualità, artigianalità e competenza tecnica in tutte le aziende di cui ho scritto, comprese alcune medio-grandi, con produzioni ben oltre le 150.000 bottiglie e la cosa non può che farmi piacere, tanto che qui, magari senza saperlo – dato che non scrivo mai numeri nelle mie recensioni, né per quanto riguardi la produzione né per quanto riguardi i prezzi – avete già letto di diverse aziende di questo genere, che vantano, però, oltre ai numeri, un approccio rispettoso a 360° ed una storia aziendale ed umana che vale la pena raccontare.

Le eccezioni tra i grandi produttori esistono!

Ecco… se quello che cercate, però, sono l’identità, l’espressione massima di un terroir, la personalità di un vignaiolo/produttore riversata in un Vino è difficile pensare che questo possa avvenire in situazioni aziendali grandi o medio-grandi, ma questo non significa che sia sempre e necessariamente così. Esistono, eccezioni, ovvero aziende che producono più di un milione di bottiglie, che riservano piccole produzioni alle etichette di punta, quelle referenze che io stesso apprezzo e nelle quali il produttore riesce ad esprimere le potenzialità di un cru, la sua visione del Vino ed il varietale nella sua integrità. La grande azienda può farlo e lo farà bene grazie all’ausilio di una struttura, che pur essendo tarata su grandi numeri, magari ha mantenuto un’area storica della cantina tradizionale con il plus della tecnologia, della pulizia e della professionalità che si può avere in aziende di questo genere.
Quindi non disdegnerei a priori  il Vino di una grande azienda solo perché conosciamo le sue dimensioni o il numero di bottiglie prodotte. Vi faccio due esempi:
– L’azienda produce oltre 1milione di bottiglie l’anno eppure riserva alle sue referenze di punta, una piccola produzione, con una grande attenzione al rispetto in vigna, all’espressione dell’annata ed all’ottenimento di uno standard di qualità sempre alto. La storicità di un’azienda, la presenza sul territorio, la conduzione familiare, unitamente a questa sorta di “cantina nella cantina”, dove la tecnologia incontra la tradizione e l’artigianalità si fonde con le competenze più moderne rappresentano il mix perfetto per fare qualità in maniera identitaria a prescindere dai numeri. E’ questo ciò che cerco in una grande azienda ed è questo ciò di cui posso e voglio scrivere. Ho assaggiato giusto ieri il loro nuovo Metodo Classico Riserva, base Verdicchio, Pàs Dosé e rappresenta a pieno il connubio fra artigianalità, tecnica e rispetto del territorio e del vitigno.
– Uno dei Vini più chiacchierati per via della poca attenzione in vigna e dei numeri spropositati della sua produzione… il Prosecco! Sì, siamo tutti d’accordo sull’assurdità di alcune produzioni, eppure c’è una realtà grande (non grandissima per il Prosecco) che ha voluto lanciare un messaggio importante, contrapponendosi a chi pur di fare cassa sia disposto a qualsiasi scempio in vigna ed in cantina. L’azienda in questione è giovane e dinamica, ha investito sin dal principio su un approccio “green”, rispettoso e sostenibile a partire dagli oltre 150ha coltivati in regime bio, fino alla produzione di energia rinnovabile atta a rendere autosufficiente l’azienda. Anche in questo caso abbiamo, di fianco ai grandi numeri del Prosecco, piccole produzioni come quella dell’Incrocio Manzoni, in cui si può scorgere un’identità ben definita, nonostante le dimensioni aziendali.
Potrei fare altri esempi andando ad attingere a bacini in cui la quantità e la qualità si alternano, ma a volte, rare volte, si incontrano, parlo di Toscana, Emilia, Sicilia solo per citare alcune regioni, ma lascio a voi trovare il vostro equilibrio tra gusto ed emozione, fra filosofia e concretezza, fra ragione e sogno.
Io, credo, assaggio dopo assaggio, che l’unica regola per non rischiare di perdersi potenziali grandi Vini e potenziali grandi storie sia quella di non dare mai nulla per scontato e di non aver pregiudizio alcuno nei riguardi delle cantine, avendo, però, chiara la propria idea di rispetto e l’obiettivo della propria ricerca personale. Avere aspettative non significa avere pregiudizi e di certo io mi aspetto molto dalle cantine che incontro e dei loro Vini, cosa che di assaggio in assaggio, di incontro in incontro può solo aumentare ed al contempo diventare più mirata e più consapevole.

Di chi scriverò?

Io continuerò a scrivere di chi saprà darmi qualcosa di bello, buono ed emozionante da condividere con voi e se dovessero essere solo piccoli vignaioli ben venga, perché ad oggi, di certo il nucleo di questo wineblog è formato dal loro lavoro e dalle loro creazioni, ma se dovesse arrivare la grande azienda capace di stupirmi e magari io dovessi trovare interessante il fatto di potervi mostrare quella stessa realtà da un altro punto di vista, ben venga anch’essa! Qui non ci sono fazioni, non ci sono preferenze, se non legate ad una mera percezione personale, al mio gusto ed ai condizionamenti umani che ognuno di noi ha, incontrando persone, camminando nei vigneti, volgendo lo sguardo al contesto ed assaggiando un Vino. Ciò che conta per me è poter entrare in contatto con chi il vino lo fa e con chi vede il prodotto finale come qualcosa di proprio, di unico e non come un prodotto seriale e questo, purtroppo o per fortuna, accade per lo più in realtà medio-piccole, ma tanto di capello alle grandi aziende che riescono a fare qualità ed a trovare un’identità forte e percettibile, perché non è di certo semplice. Mi piace pensare che voi, che leggete i miei post, che mi seguite sui social, siate alla ricerca di qualcosa di “nuovo”, che vi stupisca, che non abbiate mai sentito nominare o che, semplicemente, non abbiate mai avuto modo di conoscere. E’ per questo che amo ricercare, scoprire e condividere realtà meno note e vedere che molte di esse, di cui ho scritto in tempi non sospetti, oggi sono molto più conosciute, non penso dipenda da me, ma quanto meno mi fa credere nelle mie previe sensazioni. E questo non coincide sempre con le dimensioni, anzi… esistono piccole realtà diventate molto note e cantine più grandi che secondo me vale la pena presentarvi perché a loro volta conosciute solo superficialmente, ma come già detto più volte, per me ciò che conta è che ci sia rispetto, che si producano Vini di qualità e che ci sia una storia di vigna e di vita da raccontarvi.

Mi scuso per il mio ennesimo articolo prolisso e, probabilmente, caotico, ma trovo terapeutico scrivere in questo wineblog, che continuo a vedere come il mio diario senza lucchetto. Un diario in cui scrivere ciò che a voce mi capita di dire spesso e volentieri ad amici winelovers e produttori. Ho sempre perseguito gli ideali e i principi dell’equilibrio ed il rispetto e confido di riuscire a trasmetterli a voi attraverso le mie semplici parole. Io ci provo!😉
 
F.S.R.
#WineIsSharing

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