Si è conclusa da pochissimo la prima edizione del Mercato dei Vini di Vignaioli FIVI a Roma, evento che va ad integrarsi col già rodato mercato dei vini di Piacenza di novembre e che aveva come principio primo quello di agevolare la partecipazione delle cantine del Sud Italia.
Partendo dall’evento in sé, direi che comunicazione ed organizzazione siano state portate avanti in maniera esemplare e che come prima edizione non ci si possa lamentare assolutamente dei risultati ottenuti sia in termini di presenze che di riscontro mediatico. Per chi, come me, è arrivato a Roma con una forma mentis legata al mercato di Piacenza potrebbe esserci stato un piccolo shock iniziale, trovandosi in una location bellissima, ma dagli spazi, forse. “poco fivi”, ma basta un attimo per comprendere che l’essenza dei vignaioli FIVI non sia nella forma o nel contenitore, bensì sia insita nel loro modo di porsi, nella loro voglia di confrontarsi e nella qualità del proprio operato e quindi dei loro vini.
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Mercato Vini Vignaioli Indipendenti – FIVI – Roma |
Credo che sia stato persino oculato scegliere una location come il Salone delle Fontane per una prima edizione, cercando di dar vita ad un evento che non prevedesse l’andirivieni di carrelli ormai marchio di fabbrica del mercato di Piacenza, ma che fosse più orientato a far conoscere i vignaioli al pubblico di una piazza importante come quella romana. Io, da par mio, mi sono divertito come sempre in un contesto che, ripeto, amo a prescindere dalle dinamiche stesse dell’evento, in quanto fatto di persone oltre che di produttori, legate da un fare comune, pur mantenendo una forte identità individuale di territorio e di filosofia produttiva.
Negli ultimi anni ho avuto modo di conoscere molti di questi vignaioli e di assaggiare buona parte dei vini prodotti, ma ad ogni mercato riesco ancora a stupirmi sia con le nuove annate o le nuove referenze di cantine già conosciute sia imbattendomi in qualcosa di nuovo per me, spesso dietro consiglio di altri vignaioli.
Ecco cosa mi ha colpito di più al mercato dei vini dei vignaioli FIVI a Roma:
Baruffaldi Vini / Castello di Stefanago – un riferimento per gli amanti degli spumanti metodo ancestrale che in Oltrepò non potevano che essere prodotti da uve Pinot Nero. Questa cantina, in particolare, ne produce tre versioni: Stefanago Ancestrale Bianco, Stefanago Ancestrale Rosé e Stefanago Cruasé Docg (metodo tipico dell’Oltrepò Pavese, nonché marchio registrato, che rappresenta l’unione di cru e di rosé, ovvero una selezione di metodo classico rosé ). Tutte e tre le bollicine sono da assaggiare con interesse, ma il Cruasé è quello che mi ha colpito di più per la complessità al naso ed il sorso asciutto e profondo con una bella dinamica. Ottimo il Riesling Renano San Rocco 2012, ancora freschissimo con un primordiale accenno di evoluzione minerale, come da prassi varietale, che fa pensare ad un bel potenziale di bottiglia. Cantina che non mancherò di seguire da qui in avanti data la qualità profusa in tutti i vini che ho avuto modo di assaggiare.
Hermes Pavese – una delle aziende simbolo della viticoltura valdostana, che sono stato felice di ritrovare a Roma, nonostante gli ingenti danni riportati ai proprio vigneti durante le gelate delle scorse settimane. Per quanto riguarda gli assaggi ho trovato il Metodo Classico Pàs Dosé 2013 Blanc de Morgex et de La
Salle da uve Prié Blanc di una beva disarmante, grazie ad un ottimo equilibrio fra freschezza e struttura, teso e minerale. Ottimo anche il Blanc de Morgex et de La Salle 2016 che è totalmente intriso di freschezza dal naso al sorso, come volesse portarti con sè in quei vigneti estremi. Cantina che non ha di certo bisogno di spinte, ma che non posso non tornare a consigliare dopo qualche annetto di latitanza – mea culpa!
Salle da uve Prié Blanc di una beva disarmante, grazie ad un ottimo equilibrio fra freschezza e struttura, teso e minerale. Ottimo anche il Blanc de Morgex et de La Salle 2016 che è totalmente intriso di freschezza dal naso al sorso, come volesse portarti con sè in quei vigneti estremi. Cantina che non ha di certo bisogno di spinte, ma che non posso non tornare a consigliare dopo qualche annetto di latitanza – mea culpa!
Villa Job – Alessandro è un giovane toscano trapiantato in Friuli, che prima di darsi alla vita da vignaiolo a tempo pieno, faceva tutt’altro. Alessandro, però, non è uno che – a quanto abbia avuto modo di capire dalla nostra breve chiacchierata e da ciò che mi ha versato nel bicchiere – si sia fatto cogliere impreparato o che abbia improvvisato la sua avventura nel mondo del vino, anzi , tutt’altro! Viaggiando tra Loira e l’Italia alla ricerca di un modello al quale ispirarsi, ci ha messo poco a comprendere che la via di una biodinamica ragionata e sensata fosse quella più opportuna per ridare vitalità alla propria terra e per trovare un’identità forte nei suoi vini. Devo ammettere di far fatica a scegliere tra i bianchi assaggiati, ognuno degno di nota in quanto a vena acida e sapidità, ma se proprio dovessi puntare il dito su una bottiglia che vorrei aver qui ora e probabilmente per molti “ora” da “ora” in avanti lo punterei sull’Untitled, un Tocai di quelli veri che racchiude nel suo “anonimato” tutta la forza espressiva di un Vino che può anche aver “perso” il nome, ma non la sua essenza.
Firmino Miotti – la storia di Breganze, territorio tanto suggestivo quanto vocato alla viticoltura, è legata a doppio filo a questa realtà, capace di produrre vini più unici che rari.
Giorni fa scrissi un post sui social dichiarando il mio amore sconfinato per l’acidità ed un commento balzò subito ai miei occhi “se ami l’acidità devi assaggiare il Vespaiolo!”… a scriverlo era Franca Miotti, figlia di Firmino, ed io non potevo che accogliere l’invito, presentandomi abile ed arruolato al desk dell’azienda. L’unione dei terreni vulcanici e dell’acidità di base del Vespaiolo fanno di questo vino un bisturi preciso ed affilato. Interessante anche il mio primo incontro con il Gruajo, vino rosso da uve Gruaja, uva che giunta a maturazione presenta ancora alcuni acini verdi, che non andranno ovviamente pigiati, rendendo la vinificazione di questo varietale davvero complessa. Un vino anch’esso giocato su un naso rosso striato di un verde leggero, non eccessivo, distintivo; il sorso è ampio, fresco, davvero piacevole.
Moroder – azienda che affonda le sue radici nella storia della viticoltura marchigiana e che vede le proprie vigne affondare le proprie nelle splendide colline che abbracciano il Conero.
Un terroir particolare, unico, che agevola un approccio agronomico rispettoso e dal 2010 in regime bio. Tra i vini assaggiati non può che spiccare il Dorico, baluardo dell’enologia marchigiana ed una delle massime espressioni di Rosso Conero anche in questa 2013 Riserva, che eleva il Montepulciano ad un’eleganza potenziale spesso non valorizzata di questo grande vitigno, che trova nei terreni calcarei di questo areale una casa ideale per sviluppare un pregevole equilibrio fra potenza e freschezza oltre ad una identitaria mineralità sapida. Uno dei migliori assaggi della giornata.
Le Fraghe – non potevo evitare un passaggio anche alla cantina dell’attuale presidente della FIVI Matilde Poggi, che dal 1984 produce i suoi vini a Cavaion Veronese in terra di Bardolino. E’ proprio un Bardolino, il Brol Grande, ad impressionarmi per il suo raro connubio fra avvolgente eleganza e dinamica del sorso, fresco e lungo. Un vino che in un sol sorso farebbe ricredere molti degli eno-snob che vantano pregiudizi sul Bardolino.
Prà – Graziano Prà è oggi noto ai più come uno dei riferimenti più puri del Soave. Un vignaiolo con le idee chiare sia riguardo la conduzione delle vigne, rigorosamente in regime biologico, che per quanto concerne la scelta di vinificare solo vitigni autoctoni al fine di ricercare sempre una nitida identità territoriale. Sarebbe scontato parlare dei bianchi, già stra-noti e sicuramente dalla grande attrattiva, quindi vi consiglierei di approcciare i tre rossi classici della Valpolicella con molta curiosità e rispetto, in quanto ne meritano. In particolare è il Ripasso 2015 ad impressionare per la sua armonia al naso con una spezia che intriga, per poi scorrere giù agevole, dritto, sapido al sorso. Davvero un bel bere.
Terre di Macerato – la storia di Franco Dalmonte la raccontai tempo fa in questa virtuale sede, ma era da un po’ che non assaggiavo i suoi vini e sono stato più che felice di poterlo fare al mercato dei vini FIVI a Roma. Molto interessante la prima l’Albana macerata, una prima sperimentazione in bianco, per questo vignaiolo che aveva vinificato solo Sangiovese sino alla scorsa annata. Sangiovese che fa ancora la parte del leone con un Rhod, solo acciaio, sempre molto varietale e dalla beva più che agevole e con l’Audace 2012 Riserva, 18 mesi in legno, a dare l’idea di poter regalare grandi soddisfazioni con qualche annetto di cantina. Fiducia rinnovata per questa piccolissima realtà di un territorio semisconosciuto dal punto di vista vitivinicolo (Casalfiumanese – BO) come quello in cui ha deciso di investire Franco.
Dopo il consueto focus sulle cantine che mi hanno convinto di più, tra quelle che non avevo modo di assaggiare da un po’ o che non conoscevo, ci terrei a citare qualche assaggio estemporaneo capace di stupirmi durante questo mercato dei vignaioli FIVI a Roma:
For4Neri Trento Doc 2013 Zanotelli – esemplare espressione di Chardonnay Metodo Classico in Val di Cembra, capace di mantenere integro le note varietali bilanciandole col fascino dei sentori di boulangerie, ma per nulla coprenti… immaginate di essere seduti fuori da un panificio di montagna in una radiosa mattina, in cui una fresca e gentile brezza vi accarezzino il viso, mentre sorseggiate Chardonnay e del pane appena sfornato arrivano lievi verso di voi perdendosi nell’aria di quelle terre. Fresca e briosa eleganza.
Riesling 2014 Tenuta Belvedere – avevo “investito” sul vignaiolo dell’Oltrepò Gianluca Cabrini in tempi poco, pochissimo sospetti ed in particolare proprio sul suo Riesling che in un’annata particolare come la 2014 ha saputo trovare un’armonia rara tra il territorio e la più identitaria espressione varietale del Renano.
Chiaraluna 2016 Muralia – Uno dei più bei Viognier assaggiati da quando ho memoria e mi capacito solo ora di aver scritto qualcosa che possa sembra iperbolico, ma così non è e credo che, a volte, sia fondamentale esprimere le proprie impressioni senza mediare, così come le si sentano. Un naso che sarebbe capace di dare sollievo istantaneo anche nelle giornate più aride e afose, con la sua balsamicità mentolata ed il variegato spettro di frutto e fiore intriso di freschezza. Il sorso non è da meno e dopo aver mostrato di esser ben presente in bocca si dirige rapido, fresco e sapido dritto fino in fondo all’anima.
Vigna Segreta 2015 Mustilli – una particolare selezione di Falanghina del Sannio che questa storica azienda ha da poco proposto incontrando subito il plauso di molti, compreso il sottoscritto che ne ammira luminosità e profondità. Vino di notevole armonia, che ho avuto modo di assaggiare in diversi momenti della sua evoluzione e sta già mostrando grandi potenzialità di cantina. Varietale, fresco, sulfureo, lungo.
Manzoni Bianco 2015 Quota 101 – un vitigno, un incrocio, che assaggio sempre con interesse, in quanto foriero di exploit inaspettati. In questo caso, nello specifico, nel calice ho ritrovato le tipiche note mediterranee, balsamiche e minerali con un accenno esotico che rendono onore al sodalizio tra Riesling Renano e Pinot Bianco. L’idea è che possa evolvere in maniera notevole una volta integrata parte della, seppur educata e piacevole, fermentazione in legno. Azienda da seguire, che sta lavorando bene su tutta la linea.
Ancrima 2015 Vigneti Bonaventura – devo ammettere che in questo wineblog, probabilmente questa sia forse la seconda o terza volta che scriva di Passerina, non perché abbia pregiudizi a riguardo, ma semplicemente perché, da marchigiano apprezzi di più altri varietali ed altri vini, specie in una terra a vocazione bianchista com’è la mia terra natia. Eppure questi ragazzi, di cui ho scritto pochi giorni fa in maniera approfondita, capitanati dal padre, enologo, stanno tirando fuori vini in grado di destare il mio personale interesse anche nei confronti della Passerina. Vino che baratta le tonalità e la beva spesso ruffiane – passatemi il termine – dei vini volutamente impostati su una dinamica da pronta beva, con una inattesa finezza al naso ed un sorso presente, fresco ed addirittura lungo nel suo finale marino. Secondo me ci si divertirà tra qualche anno a stappare qualche bottiglia di questa Ancrima ed appurarne il potenziale evolutivo.
Bianco Assoluto 2016 Cignano – che il Bianchello del Metauro meriterebbe più attenzione lo sostengo da un po’, ma basterebbe assaggiare vini come questo per comprenderne le motivazioni. Un vino che ha le Marche dentro, in un viaggio solo andata fra pinete, colline, montagne che non può che finire con un tuffo in mare. Il Bianchello viene spesso relegato a vino da pronta beva, ma la struttura e l’acidità di questa bottiglia possono tranquillamente elevarlo a ben altra categoria.
Il Famoso nel Convento 2016 il Conventino di Monteciccardo – altro giro altro vitigno che meriterebbe un approfondimento che non mancherò di fare nei prossimi mesi, specie dopo aver avuto modo di appurarne il potenziale proprio in occasione di una verticale organizzata in questa cantina, che ho avuto il piacere di ritrovare a Roma. Vitigno coltivato nel Pesarese ed in Romagna dove da origine al vino Rambèla. Piacevole armonia fra toni caldi e morbidi e la sua lineare acidità. Si percepisce subito il grande equilibrio dell’annata 2016, che non manca di niente.
ES 2015 Gianfranco Fino – avete presente quei primitivo marmellatosi, cotti, pesanti, nei quali i palati “nuovi” possano confondere l’eccessiva dolcezza con una strana ed errata concezione di armonia? Ecco… l’ES è l’esatto contrario! E’ un vino dallo spettro aromatico disarmante capace di arricchire il frutto di uno charme tutto mediterraneo fatto di erbe ed agrume, per arrivare in bocca savio, come sagge sono le viti dal quale nasce. La forza si fa eleganza, la morbidezza si fa intensità, la beva è inesorabilmente nemica della monotonia. E… che ve lo dico a fa’?!
ES 2015 Gianfranco Fino – avete presente quei primitivo marmellatosi, cotti, pesanti, nei quali i palati “nuovi” possano confondere l’eccessiva dolcezza con una strana ed errata concezione di armonia? Ecco… l’ES è l’esatto contrario! E’ un vino dallo spettro aromatico disarmante capace di arricchire il frutto di uno charme tutto mediterraneo fatto di erbe ed agrume, per arrivare in bocca savio, come sagge sono le viti dal quale nasce. La forza si fa eleganza, la morbidezza si fa intensità, la beva è inesorabilmente nemica della monotonia. E… che ve lo dico a fa’?!
Diano d’Alba Sorì delle Cecche 2015 Fratelli Aimasso – la nuova annata di questo cru di Dolcetto è valsa l’attesa. Un Vino che ha un varietale integro e complesso, ma che spicca, soprattutto, per la sua anima tesa e vibrante, come una corda di violino appena accarezzata dall’archetto. Intenso e salino quanto basti per avere un sorso di grande soddisfazione.
Damaschito 2012 Grifalco – un Aglianico del Vulture che da solo vale il viaggio per Roma. Vino di grande intensità ed eleganza, complesso, ma diretto, come un poeta ermetico.
Un Vino stratificato, nel quale, chi ha voglia di scavare a fondo, potrà trovare un compendio varietale di questo nobile antico vitigno e della terra ancor più antica nelle quali affondi le sue radici. In bocca è vivo, grazie ad una netta, ma bilanciata spina acida, che attraversa la struttura e tessitura tannica portando via con sè ogni durezza.
Chianti Riserva 2012 Pietro Beconcini – ho scritto spesso di quest’azienda, ma parlando per lo più dei loro vini da uve Tempranillo, in quanto rappresentanti di un unicum in Italia, ma la tradizione è tutta in questo Chianti! Un Sangiovese con il classico saldo di Colorino che si dimostra uno di quegli assaggi di quelli che, seppur la curiosità spesso ti indirizzi verso altro, abbia tutte le carte in regola per regalarti una più che interessanti esperienza liquida.
Folle Rosso Conero Riserva 2011 Calcinara – un Rosso Conero che ho amato sin dalle sue prime annate, che incuriosisce già dal nome come un po’ tutti i vini di questa realtà che ha costruito le proprie fondamenta enoiche su blocco su quel meraviglioso blocco di calcare che prende il nome di Monte Conero. Carattere unico che mi fa pensare ad un vignaiolo seduto su una delle mille pietre del Conero, con le mani sporche di terra, che dall’alto di una rupe, perda il suo sguardo nella suggestione di un tramonto a Porto Novo.
Barbera 2012 I Carpini – Una Barbera dei Colli Cortonesi che, come ci sia aspetta, dai migliori vigneti aziendali trae la forza, la piacevolezza e la tagliente freschezza di cui il varietale sa essere foriero, là dove venga trattato con garbo e consapevolezza. Vino armonico che sin dal primo naso si mostra importante, senza perdere la sua grande agilità alla sorso.
Ed ora che anche il mercato di Roma è alle spalle dovremo attendere la quello di Piacenza, che non tarderà molto ad arrivare e sono convinto che ci sarà ancora molto da assaggiare, da scoprire e da condividere, perché – passatemi l’ennesimo endorsement – dove c’è FIVI c’è… sempre roba buona! 😜
F.S.R.
#WineIsSharing
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