Il Ruché di Castagnole Monferrato – Storia, curiosità e un’emozione in bottiglia

“Se a Castagnole Monferrato qualcuno vi offre il Ruché è perché ha piacere di voi”
Molti di voi lo conosceranno già, ma altrettanti al solo sentire il nome “Ruché” risponderanno “Ru-che?!?”. Pessimo humor a parte, torno a parlarvi di un varietale che da anni mi sta molto a cuore: il Ruché.
Un vitigno che affascina per il suo background storico-culturale e intriga con le sue peculiarità organolettiche a dir poco interessanti.
ruché vino uva
Se oggi possiamo bere Ruché, però, dobbiamo ringraziare la lungimiranza e la grande personalità di un uomo di Chiesa, Don Giacomo Cauda, parroco di Castagnole Monferrato, uno di quei preti contadini che portavano avanti il lavoro negli orti, nei campi e nei vigneti con dedizione e fatica.
E’ proprio a questo parroco viticoltore che dobbiamo la scoperta, o meglio, la riscoperta, del Ruchè. Nel 1964 quando arriva a Castagnole Monferrato, Don Cauda prende in mano il beneficio parrocchiale dove, tra quelle poche viti, incontra un vitigno a bacca rossa diverso, con quell’alone di mistero capace di incuriosire anche un uomo di fede.
Una volta vinificato, quel varietale, mostrò subito la propria indole con un buon corpo, una componente aromatica impattante con fiori e frutto abbracciati da una speziatura intrigante,
Da lì, con un po’ di titubanza iniziale, non passò molto tempo per vedere quelle viti di Ruché propagarsi nei vigneti dove fino a poco prima a spopolare erano barbera e nebbiolo, ma soprattutto a veder nascere nuovi appezzamenti dove mettere a dimora le viti di questo raro vitigno, nella speranza di dar seguito all’opera intuitiva del parroco Cauda.
Oggi i produttori di Ruché sono abbastanza da produrre circa 700.000 bottiglie, ma ce n’è uno in particolare che funge da diversi anni da riferimento per i miei assaggi di questo vino, in quanto capace di interpretarlo vari modi, attraverso diverse epoche di raccolta, diverse tecniche di vinificazione e diversi affinamenti.
Parlo delle Cantine Sant’Agata, delle quali, giorni fa, ho avuto modo di assaggiare un Ruché che per quanto io conosca questo vitigno e i vini da esso prodotti, mi ha stupito a tal punto da dedicargli una di quelle descrizioni che solo i vini con cui entro in completa empatia sanno spingermi a scrivere.
E’ davvero raro che dedichi un articolo a un solo vino, ma questa volta ne valeva la pena:
pro nobis ruché
Pro Nobis Ruché 2015 – Cantine Sant’Agata – Esistono donne bellissime e basta e donne belle e seducenti, di quelle che ti incasinano la mente con un solo sguardo.
E ci sono vini fatti benissimo e vini che sanno essere buoni e seducenti! Nel senso che ti prendono per la gola, ti invitano all’assaggio intrigando i tuoi sensi, iniziando una consapevole opera di seduzione nei confronti della tua mente. Ti destabilizzano togliendoti i riferimenti più saldi per poi importi un ordine tutto loro. Questo Ruché ti incasina la mente e più la riordina a modo suo e lo fa con la spezia che sveste il frutto dei monotoni panni della noia e con il suo incedere fiero e sicuro… è la camminata di un corpo longilineo, ma che non manca delle forme al posto giusto e soprattutto da come muoversi… ha le dinamiche giuste, quelle che tu vorresti ma finché non te le mostra non sapevi di volerle! Ecco fatto, sei fregato! Una volta fatto il primo sorso, ti ha sedotto e non ne esci più! Hai tre calici davanti eppure torni sempre su quello, senza stancarti mai di metterci il naso dentro, senza stancarti mai di berne un altro sorso. Un vino che ha carattere… personalità va oltre i classici canoni di estetica bellezza.
lacrima morro d'alba ruché
Un aneddoto legato a questo vino, per me, resta il primo assaggio che ho avuto modo di fare qualche anno fa, quando sin dal primo naso quel vino mi ricordava “casa”… eppure, mi trovavo in una terra ben distante dalle mie Marche..!
Continuo a cercare nei cassetti della mia memoria sensoriale e, sorso dopo sorso, mi convinco della sua grande affinità con un varietale e un vino da esso prodotto non troppo lontano da dove sono nato e cresciuto. Parlo del Lacrima di Morro d’Alba, che sembra essersi dimostrato negli ultimi anni davvero simile al Ruché, tanto che proposi ad alcuni produttori di gemellare le due denominazioni e di organizzare degustazioni incrociate nell’ottica di mostrare quanto uve simili possano dare origine a vini profondamente diversi nell’espressione territoriale, quanto uniti da un “fil rouge” nitido e davvero intrigante per gli enoappassionati più curiosi.
Sono convinto che la cosa possa fungere da volano per parlare della qualità e della bellezza di due vini unici e di due territori davvero stupendi, quindi non mi resta che confidare nell’unione dei vignaioli dei due piccoli areali di produzione.
ruché flavescenza dorata
Ci tengo a concludere ponendo l’attenzione su un argomento che la maggior parte di chi beve vino non prende quasi mai in considerazione quando si appresta ad acquistare una bottiglie ovvero le patologie della vite, che nel caso specifico del Ruché si esprimono in percentuali altissime ed in forme davvero difficili da curare se non impossibili, come la flavescenza dorata ed il così detto legno nero. Con una moria di piante che, in alcuni vigneti, arriva a circa il 30% (poco meno di una pianta su tre) fare Ruché non è solo complesso, ma sempre più dispendioso e problematico ed è per questo che, anch’io che sono da sempre molto perplesso riguardo gli OGM, ho apprezzato molto l’intervento del Prof. Attilio Scienza durante un convegno a cui ho avuto modo di partecipare, che ha illustrato quella che potrebbe essere la salvezza di vitigni rari e “cagionevoli” come il Ruché, in territori così colpiti da queste vere e proprie piaghe.
Il futuro sembra essere quello di innestare dei segmenti di DNA nelle piante, capaci di rendere la vite stessa immune e resistente a quelle patologie, senza andare a sostituirle con vitigni resistenti creati in laboratorio e mantenendo il corredo genetico e quindi aromatico e gustativo dell’uva e del Vino che ne verrà prodotto.
A volte la scienza fa paura, specie se abbinata alla Natura, ma Mendel e Darwin hanno rivoluzionato il mondo con le loro idee e se oggi abbiamo il 90% dei vitigni autoctoni italiani (ed Europei) è proprio grazie ai loro studi che ci hanno permesso di innestare le nostre varietà su portainnesti americani in modo da conferire la loro immunità alla fillossera all’intera pianta. Quindi, è il caso di riflettere… ovviamente confidando che tutto venga portato avanti senza doppi fini ed abusi, mantenendo intatto il corredo genetico di varietali unici come quelli che si sono stabiliti ed adattati al nostro paese.
A prescindere da ciò che accadrà, volevo comunque rimarcare, se mai ce ne fosse bisogno, quanto poca sia la considerazione che diamo al lavoro ed al dispendio fisico, psicologico ed economico di cui produce Vino, quando acquistiamo una bottiglia.
F.S.R.
#WineIsSharing

Comments are closed.

Blog at WordPress.com.

Up ↑