Il prezzo del vino non è mai troppo alto!

Come molti di voi sapranno, la mia “mission”, se così possiamo definirla, è da sempre quella di andare alla ricerca di produttori, vignaioli e vini, per lo più, meno conosciuti dando loro la visibilità che meritano senza alcun fine commerciali e spesso i vini di cui parlo vantano un ottima rapporto qualità-prezzo. Eppure, come qualcuno di voi avrà notato, io non scrivo mai del valore pecuniario del vino, per il semplice fatto che il prezzo, a mio modo di vedere, è tanto soggettivo quanto il gusto.
Nei giorni scorsi, infatti, è tornata a farsi largo nella mia mente una convinzione: “il vino non è mai troppo caro!”
prezzo vino
Lo so, potrebbe sembrarvi un’affermazione forte e detta così, probabilmente, anch’io sarei portato a travisarla, ma spero di chiarire il mio pensiero in maniera esaustiva nel corso di questo scritto.
Se pensiamo al vino come ad un mero prodotto “industriale”, indipendente da fattori come annata, territorio, varietale e, soprattutto, dalla fatica e dall’interpretazione del vignaiolo o del produttore possiamo valutare il costo del vino per il valore intrinseco del suo contenuto, ma – con tutto il rispetto per le industrie del vino – non è questo ciò di cui sto parlando e non è questo il vino che compro e bevo!
Quando penso al costo di un vino penso a questi fattori:
Rischio: il vino è prodotto dal lavoro di squadra fra uomo e natura, nella piena consapevolezza del produttore che ogni annata sarà differente e, in quanto tale, incerta. Quest’anno, ad esempio, fra le gelate di aprile, la siccità e le recenti grandinate molte vigne ed altrettanti produttori sono stati messi alla prova duramente.
Quindi l’incertezza come fattore di rischio è il primo punto sul quale focalizzare l’attenzione quando pensiamo ad un vino di qualità, prodotto da vignaioli e produttori rispettosi.
Costi di produzione: produrre vino ha costi imponenti relativi alla gestione dei vigneti, della cantina (sia essa di proprietà o sia essa “affittata” per vinificazione ed affinamento), quindi di vinificazione, di imbottigliamento e di commercializzazione. Oltre, ovviamente, alle consuete tanto “amate” tasse.
Personale: per quanto, molte piccole aziende agricole e vitivinicole italiane siano a conduzione familiare è quasi impossibile fare tutto “da soli”. Tra personale fisso, occasionale e consulenze i costi sono ingenti;
Fattore tempo: differenza di prodotti come la birra, il vino si può produrre solo una volta l’anno!
Capitale immobilizzato: fare vino di qualità, in molti casi, significa tenere fermo del capitale per anni tra affinamento in botte e bottiglia, prima della commercializzazione. Anche i vini più “pronti” devono attendere almeno 6/12 mesi prima dell’immissione sul mercato delle prime bottiglie.
Investimenti per la promozione: se si vuole vendere vino, oggi, è impensabile non partecipare a fiere di settore o investire nella comunicazione, con le dovute differenze fra piccole, medie e grandi aziende sia in quanto a target che a possibilità.
Costi di distribuzione: la distribuzione nazionale ed internazionale ha ovviamente dei costi;
Altri costi accessori e rotture di balle comuni a molti lavori!


Non dimentichiamo, poi, che in annate come questa, in cui “tu produttore” hai portato avanti tutta l’annata come qualsiasi altra annata (forse l’unico lato “positivo” è che con questa siccità sono occorsi meno trattamenti), ti ritroverai con rese che, in molti casi, si fa fatica a pensare possano garantire un margine di guadagno.

Ho trovato questa immagine nel sito di un software gratuito del casinò, quasi fosse un azzardo parlarne, ma questi sono solo alcuni dei fattori dei quali vi invito a tener conto quando valutate il prezzo di un vino.

Una sera a cena, una persona al solo udire questa mia semplice o semplicistica – fate vobis -analisi mi fa “sì, tutto vero, ma non glielo ha mica prescritto il medico di fare vino! Se hanno scelto di farlo è perché conoscevano le regole del gioco e facendo due conti hanno trovato questa attività redditizia!”. Ragionamento che non fa una piega, no?! Io, però, credo che ci sia un’inerzia particolare nel passaggio che c’è fra il desiderare di fare vino e quello di farlo. Il mondo del vino è affascinante, la campagna è un richiamo forte per molti, la fatica ed il rischio inizialmente vengono calcolati con un peso specifico inferiore a quello della soddisfazione e della passione. Inoltre, molti dei produttori del vecchio mondo fanno questo lavoro perché qualcuno lo faceva prima di loro, perché fare vigna e fare vino, specie in Italia, è spesso una questione di famiglia.
Io di vignaioli e di produttori ne ho conosciuti tanti e c’è una cosa che ho capito, ovvero che sono davvero un numero infinitesimale i produttori che riescono ad arricchirsi e a vivere una vita agiata grazie alla sola produzione di vino, specie se si vinificano solo uve di vigneti di proprietà e non comprano vino, ma anche nel caso contrario le difficoltà non mancano. Poi, che di eccezioni ce ne siano credo sia normale, ma non mi sentirei di giudicare negativamente chi grazie al vino ha realizzato un business redditizio, laddove si possano riscontrare capacità e rispetto.
Inoltre, quante volte, specie tra noi appassionati ed addetti ai lavori ci affanniamo a fare la corsa sui francesi? I francesi saranno sempre più avanti perché hanno più storia di noi”; “i francesi sono più bravi nel marketing e che vendono a prezzi più alti”; “noi facciamo più qualità, ma loro hanno i brand” ecc… ecc… ecc…
E quante volte (giustamente) valutiamo il prezzo medio del vino italiano troppo basso, specie quando ci soffermiamo a riflettere sull’incertezza di un annata come quella ancora in corso o sulle difficoltà patite nella 2014. Poi… però… quando un produttore ha il coraggio di chiedere una cifra più alta per il proprio vino che, magari, viene prodotto solo nelle annate migliori, in piccolissime quantità (la quantità non dovrebbe fare il prezzo, ma la scarsa reperibilità di un prodotto e, quindi, la sua rarità sono fattori fondamentali sia a livello economico che emozionale) e con la ricerca della massima qualità, lo liquidiamo dicendo “è troppo caro!” o ancor peggio “buono, ma costa troppo!”. Io credo che la percezione del “prezzo” sia da assimilare a quella del gusto, in quanto come non esiste un vino oggettivamente “buono” per tutti (esiste, però, un vino oggettivamente e ragionevolmente ben fatto) non esiste un vino troppo caro a prescindere. Non voglio parlare di domanda e richiesta e di discorsi da economisti del tipo “il prezzo lo fa il mercato”, per quanto siano commercialmente ineccepibili, bensì torno a chiedervi di porre l’attenzione su ciò che il vino rappresenta in senso stretto, con le sue qualità organolettiche e la sua unicità, ed in senso lato come elemento aggregante e veicolo di cultura, storia e, soprattutto, per la sua componente emozionale. Il produttore, quindi, deve puntare a rendere il proprio vino unico e il più identitario possibile per poter aspirare ad una percezione più alta del valore del proprio vino, ma soprattutto deve avere il coraggio di posizionarlo nella “giusta” fascia di prezzo.
Il parallelismo con l’arte sorge spontaneo, dato che anch’essa rappresenta in molte delle sue forme una produzione che fa della sua artigianalità e dell’espressività, quindi della capacità di suscitare emozioni, le sue peculiarità. La percezione sensoriale del vino come di un’opera d’arte sarà sempre soggettiva, per quanto anche nell’arte stessa la ragione possa aiutarci a discernere precisione, originalità ed unicità comparando a riferimenti legati a correnti stilistiche piuttosto che a tecniche utilizzate.
Non ci meravigliamo, però, se un dipinto, una scultura, un pezzo di design, magari persino astratte, vengono vendute a prezzi che nulla hanno a che fare con il valore intrinseco dei materiali utilizzati… è giusto che sia così! Perché l’arte è emozione, esattamente come il vino, e le emozioni non hanno prezzo se non quello che noi stessi reputiamo di voler pagare.
Sia chiaro, le differenze fra fare arte e fare vino sono palesemente molte, ma ci sono molti punti in comune che mi aiutano ad utilizzare questa piccola provocazione al fine di far comprendere quanto possa essere distorta la nostra valutazione del valore di una bottiglia e del suo contenuto.
Tornando al valore economico del contenuto di una bottiglia in quanto tale, è interessante questo grafico inglese che mostra l’aumentare del valore del vino con l’aumentare del prezzo della bottiglia. 
Fonte http://www.thewinesociety.com/value-charter
Mi chiedo… non sarebbe più ovvio criticare accesamente i prezzi troppo bassi di alcuni produttori di alcune denominazioni? Prezzi che la stessa matematica ci porta ad apprendere come difficilmente giustificabili? Prezzi che alterano la percezione comune di un intero territorio attraverso la GDO. In questo caso il rispetto potrebbe venire meno, perché parliamo di situazioni in cui  sono gli imbottigliatori ad immettere queste bottiglie sul mercato e non di certo chi il vino lo fa, lo vive e se lo suda ogni giorno. Scusate la digressione, questo è un altro capitolo troppo ampio per essere trattato ora.
Per quanto riguarda la percezione del prezzo,  è la stessa neuroscienza a dirci, attraverso svariati test, che il prezzo più alto viene percepito come indice di qualità, mentre l’equazione di base dovrebbe essere “qualità = prezzo superiore” (a riguardo, seppur in inglese, vi invito a leggere questo studio pubblicato dal Wine Economics Journal qualche anno fa: www.wine-economics.org).  Un esempio lampante dei condizionamenti che certe etichette hanno nei confronti di chi compra (se chi assaggia ha acquistato la bottiglia, ovviamente il condizionamento è enfatizzato) e chi assaggia (anche coloro che si ritrovano a condividere quella bottiglia con chi l’ha acquistata subiscono forti condizionamenti dall’etichetta e da chi l’ha acquistata) è il caso di Rudy Kurniawan, noto falsario che ha stappato e venduto a prezzi altissimi bottiglie di pregio molto simili agli originali nel packaging e con vini realizzati ad hoc dallo stesso falsario. Molti degli acquirenti, ancora oggi, nonostante le prove schiaccianti, non credono all’accaduto perché non accetto di aver pagato così tanto per vini falsi e perché a loro dire le sensazioni organolettiche e le emozioni provate erano all’altezza della cifra spesa e delle bottiglie in questione.  Questo dice molto sulla nostra percezione della qualità e del prezzo.
E’ proprio qui che nasce l’inghippo, perché a far lievitare i prezzi di molti dei vini considerati di fascia “molto alta” (per intenderci indicativamente sopra i 50€ e sotto i 150€), spesso, è il marketing , un po’ come accade per la moda. Cosa ragionevole anch’essa, dopotutto!(In tutti gli altri settori funziona così). Per darvi qualche dato extra questi vini rappresentano meno del 4% della produzione mondiale che è composta per oltre il 50% da vini “basic” di fascia molto bassa, quindi sotto ai 3€ e con un corpo centrale di circa il 30% che si attesta in una fascia di prezzo dai 7€ ai 25€ (al pubblico).
Questi dati, però, ci dovrebbero far riflettere su un altra componente del prezzo del vino, vale a dire la sua rarità. Quando state bevendo un vino che risiede stabilmente in una fascia di prezzo medio-alta, state comunque bevendo qualcosa che è a suo modo esclusivo o molto esclusivo ed anche questo è un valore aggiunto di cui è impossibile non tener conto, per quanto non è detto sia direttamente proporzionale alla qualità.
enoteca
Quando sono in una cantina, ma ancor più in enoteca o al ristorante, io, personalmente, cerco di valutare altri fattori, che per alcuni, magari, non contano nulla, ma che per me sono diventati fondamentali per avere un’idea del valore (anche) economico del vino: il rispetto in vigna ed in cantina (perché oltre ad essere eticamente corretto nei confronti del territorio e del consumatore finale, spesso comporta una gestione a breve termine più onerosa dell’azienda e questo approccio virtuoso va ricompensato), l’assenza di difetti che ne inficino la piacevolezza (sono abbastanza stanco di sentirmi propinare difetti come indici di personalità del vino, ma ammetto di avere una leggera tolleranza per alcune sfumature che alcuni definiscono difetti, ma a mio parere non lo sono in quanto non rendono il vino meno bevibile o meno piacevole), l’identità territoriale (per me una bottiglia di vino equivale ad un viaggio), l’espressività del varietale o dei varietali  e l’interpretazione del singolo produttore (il vino, secondo me, deve esprimere il giusto connubio fra la materia prima con la quale è stato fatto e l’interpretazione del produttore/enologo/vignaiolo), l‘assenza di omologazione e quindi l’unicità (più assaggi più cerchi qualcosa che ti stupisca e lo stupore è spesso precursore dell’emozione)… il tutto deve confluire nella capacità di quel vino e di quel produttore di emozionarmi. (Do per assunto che i vini in questione siano già stati assaggiati in cantina o in occasione di eventi enoici.) 
Questi sono solo alcuni dei criteri di valutazione che mi rendo conto di utilizzare quando compro o ordino una bottiglia, ma comprendo che non si possa imporre una “tecnica” generalizzata, perché non stiamo parlando di degustazione (ed anche in quel caso un approccio standardizzato non aiuta), bensì di valutazione economica del vino. Valutazione che non può avere parametri razionali, perché nulla, oggi, ha parametri razionali nel commercio e nell’economia, quindi… perché indignarsi o criticare vini che più o meno giustamente, ma comunque personalmente, si reputino troppo cari? Semplicemente non beveteli.
E non voglio neanche azzardarmi ad aprire l’eterno dibattito riguardo i ricarichi di distributori, enoteche e ristoranti perché non sta a me giudicare e credo che i clienti abbiano sempre il coltello dalla parte del manico perché il loro coltello è il portafoglio e se non si reputa opportuno acquistare un vino, perché farlo?
Credo che non si possa dare un valore oggettivo al vino e per quanto io, in questo blog, abbia scritto per un buon 70% di vini che per me (e magari solo per me!) vantano un ottimo rapporto qualità-prezzo in una fascia media se non medio-bassa di costi ed una fascia media se non medio-alta di qualità, mi sono ritrovato a dire tra me e me che avrei speso qualsiasi cifra per riassaggiare quel vino piuttosto che, inversamente, non avrei mai acquistato una bottiglia di “certi” vini a “certi” prezzi (dopo averli assaggiati, fortunatamente, in degustazione). 

Spero pensiate che per un produttore alzare il prezzo del proprio vino sia facile?! E’ difficilissimo, specie se si è posizionato in una fascia medio-bassa dalla quale è quasi impossibile uscire, se non tramite grandi exploit. Eppure, io credo che i produttori italiani dovrebbero trovare il coraggio di farlo, di livellare i propri prezzi verso l’alto e noi tutti, appassionati, dovremmo riconoscere quanto investimento e quanta fatica, quanta unicità e quanti valori ci siano dietro ad una sola bottiglia di vino. Lo so, è qualcosa di cui io ed altre decine di persone parliamo e scriviamo da tempo, ma repetita iuvant!


Io mi sento di rispettare fortemente chi ci prova e chi vuole dare un valore maggiore al proprio lavoro e pensare di criticare un vino solo per il suo prezzo mi sembra davvero poco sensato.


Il vino, quindi, non è mai troppo caro se si è disposti ad acquistarlo, se se ne ha la possibilità e se si ha la fortuna di reperire ciò che vogliamo acquistare.  Una bottiglia di Crichet Pajé di Roagna o una di Calvari di Miani, piuttosto che un B.A. di Egon Muller, per intenderci, sono costose e probabilmente (a meno che non vinca alla lotteria) non potrò mai permettermi di berne quante e quando vorrò, ma assaggiandole una sola volta nella vita ti rendi conto che mai e poi mai potresti criticarne il prezzo, nonostante esso sia ampiamente fuori dalla “tua” portata. Per fortuna, però, c’è sempre l’altro lato della medaglia, in quanto chi ha voglia di cercare, di girare e di assaggiare tanto è nelle condizioni di trovare vini straordinari a prezzi decisamente accessibili, specie in Italia. Questo, però, non deve indurre a commettere il classico errore che ci porta a pensare “beh, se posso bere così bene a questo prezzo chi costa di più costa troppo!”, perché non è così che funziona e l’augurio dovrebbe essere l’inverso, ovvero quello che quella bottiglia che tanto abbiamo apprezzato e che abbiamo giudicato “economica” possa raggiungere un valore più alto e gratificare maggiormente chi l’ha prodotta, come credo ognuno di noi vorrebbe veder gratificato il proprio lavoro a prescindere dagli stereotipi.

Io, da par mio, continuerò a cercare vini in grado di emozionarmi senza il condizionamento del prezzo o del brand, ma l’impegno più grande sarà sempre quello di mantenere un approccio obiettivo nei confronti di ogni assaggio, anche quando si tratterà di vini costosi o costosissimi. Questo perché, com’è capitato in passato, se saranno in grado di regalarmi emozioni degne di essere condivise, non vedo il motivo per cui non dovrei scriverne ed ancor meno perché dovrei criticarli solo per il loro prezzo.

F.S.R.
#WineIsSharing

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