– Partiamo con una domanda tanto scontata quando importante: quanto conta l’export per il mercato del vino italiano?
Non risponderei con una percentuale che ha ben poco senso, ma direi che è vitale per il futuro, Senza export i numeri sarebbero limitati al solo mercato italiano e la maggior parte delle aziende morirebbe. Non c’è comparto di beverage al mondo che non necessiti dell’export e il vino non fa eccezione.
[Antonio Romeo]
Molto, quasi fondamentale. Per 3 motivi: 1) il mercato del vino è globale, significa che, pur nella frammentazione, in molti mercati si può avere opportunità e successo: 2) perché il mercato italiano del vino difficilmente scoppierà di salute e sarà trainante: 3) perché uno dei maggiori sviluppi futuri ci sarà con l’enoturismo, internazionale per definizione.
[David De Ranieri]
Dipende dal produttore, tipo di vino e zona di consumo: direi almeno un 30/40%.
[Fabio Zacà]
Molto, l’export rappresenta uno sbocco importante per il consumo del vino italiano. Tutti i produttori italiani, anche se in misura e condizioni differenti, guardano ormai ai mercati esteri, tentano contatti, cercano opportunità, anche se c’è chi ha compreso meglio di altri come farlo e in che modo mettere a frutto questi contatti. C’è il pensiero comune che l’export rappresenti una salvezza per il vino italiano a fronte di un mercato interno sempre più difficile.
[Ida Savoia]
– Qual è, a vostro parere, l’impatto reale dell’emergenza sanitaria sul export del vino italiano?
Dipende molto dalla situazione di ogni singola azienda: quelle che sono distribuite in GDO in modo consolidato ne hanno risentito molto poco, anzi in molti casi gli ordini sono aumentati; quelle invece che si sono affacciate da poco all’estero e che magari hanno una distribuzione primaria sull’HoReCa ne risentono eccome. Molti Paesi sono totalmente fermi con gli ordini e dunque dipende molto da quali sono i Paesi in cui ogni singola azienda è distribuita. In questo caso, maggior ragione, la diversificazione di mercati e segmenti protegge maggiormente l’azienda rispetto a chi è presente in meno mercati e segmenti.
[Antonio Romeo]
Fortissimo, varia da paese a paese, ma specie per chi lavora con i fine wine importers si può perdere fino al 50%.
[David De Ranieri]
Dipende da come I singoli paesi hanno reagito, alcuni paesi sono rimasti uguali altri hanno addirittura aumentato, ad esempio GDO e E-Commerce mondiale sono cresciuti mentre Horeca soffre a tutt’ora.
[Fabio Zacà]
Con la pandemia, l’export del vino italiano ha vissuto un primo momento di confusione, poi pian piano è iniziata una reazione, forse per sopravvivenza, anche se le incertezze sono tante, per cui non è facile orientarsi e scegliere una nuova strategia. Credo che ci sarà comunque una scomparsa delle realtà aziendali più deboli.
[Ida Savoia]
Impatto grave e importante, se nell’immediato arginiamo, nel lungo termine la situazione diventa complicata e per questo si sta correndo alle strategie digitali o personale in loco.
EXPORT – COME SI FA EXPORT
Gli export manager non si muovono più, le fiere e gli eventi/degustazioni direttamente dai clienti non sono possibili e anzi caldamente sconsigliati. Export digitale, ci credo e ci sto lavorando seriamente da marzo ma questa inversione di tendenza richiede nuove conoscenze e tempo. Il primo punto è un aggiornamento tecnologico e un orientamento al digital non solo come numeri ma anche strategie commerciale ed il secondo punto è temporale ossia nella modifica reale del nostro stato psicologico ad affrontare situazioni completamente diverse, sia di B2B che di B2C.
EXPORT – IMPATTO SULLE AZIENDE
Impatto economico di quote di mercato. L’Italia in alcune casi non ha perso quote di mercato già ottenute, es. USA e l’e-Commerce ha dato una mano. Quello che mi preoccupa molto con le piccole imprese è la difficoltà ad affacciarsi all’export in questa situazione. Se da una parte le aziende presenti riescono a mantenersi in equilibrio dall’altra parte non c’è crescita e questo crea un volano negativo.
[Natascia Antonioli]
– Durante l’estate abbiamo assistito ad un piccolo rimbalzo. Durerà?
Difficile pensare di tornare alla situazione di febbraio-aprile e dunque sono ottimista.
[Antonio Romeo]
Temo forte incertezza fino a primavera.
[David De Ranieri]
Ordini estivi sono legati ad export extra EU per festività Natalizie con coda del capodanno lunare asiatico. Sta ad aziende, importatori ed export manager farlo durare. L’uomo ha sete da quando nasce fino a quando muore, sta a noi farlo bere!
[Fabio Zacà]
Durerà se ci saranno strumenti pubblici concreti e aiuti reali per riadattare le strategie di marketing e di vendita al nuovo mondo.
[Ida Savoia]
– Le dimensioni contano? Chi ha sofferto di più e chi sta soffrendo maggiormente gli esiti dell’emergenza sanitaria tra realtà medio-piccole (no gdo) e grandi aziende?
Come detto prima dipende molto dal modello distributivo di ogni azienda più che dalla dimensione; certamente le micro aziende che tendenzialmente vivono di HoReca, soffrono più di tutte le altre.
[Antonio Romeo]
Vedi sopra. E poi dipende molto dai mercati. Chi è molto esposto su singoli canali in crisi soffre molto (specie USA), chi è molto diversificato si salva.
[David De Ranieri]
Non credo al livellamento del mercato dettato dalla pandemia. Chi produce milioni di bottiglie godrà ancora di prezzi e credito presso fornitori e banche, le medio-piccole devono fare affidamento sulla loro capacità di vendersi ed essere conosciuti a livello nazionale e internazionale, nonostante ci sarà una stretta creditizia su tutti i livelli.
[Fabio Zacà]
Stanno soffrendo molto le realtà che hanno dato poca importanza al marketing, quelle che non hanno diversificato i canali di vendita, quelle che non hanno raccolto già da tempo i vari input sulla necessità di combinare i tradizionali strumenti di marketing con quelli più innovativi. Non sempre questo coincide con le realtà più piccole.
[Ida Savoia]
Tutti direttamente o indirettamente ne hanno risentito. Si le dimensioni contano, Piccole aziende, specie quelle agricole sono quelle che si sono trovate impreparate con l’evento e-commerce. Conosco realtà che grazie al loro tessuto famigliare, presenza dei millennials in famiglia, sono riusciti a recuperare un po di spese grazie a l’eCommerce ma siamo lontani dai volumi precedenti l’epidemia. L’ho.re.ca non è stata sostituita con l’eCommerce. Altro punto i grandi aggregatori- piattaforme di vendita online di vino. ora sono sovraffollati ed ecco che le nicchie di prodotti non sono riconosciuti e si rischia di essere svalutati se non seguiti da digital strategist (che ovviamente sono costi per chi non ha una visione a lungo raggio o non riesce ad investire)
[Natascia Antonioli]
– In pochi erano strutturati per la vendita online e in molti sono corsi a creare wine shop online, spesso improvvisati e senza i tempi organici per una buona indicizzazione. Alcune nazioni erano già molto più avanti di noi in questo senso. E’ plausibile pensare che parte dell’export venga reindirizzata verso l’ecommerce?
Assolutamente no! L’export è un’attività B2B e non si può gestire con l’e-commerce che non è da confondersi con relazioni forzate a distanza gestite temporaneamente tramite strumenti digitali. Chi ha improvvisato un servizio di e-commerce per correre ai ripari, si accorgerà che senza un’azione strutturata che parte da un progetto di marketing strategico, porterà a casa poco e nulla. L’e-commerce è un canale di vendita a sé e come per tutti gli altri richiede studio, preparazione ed un piano di azione ben congegnato con investimenti dedicati.
[Antonio Romeo]
Mio parere non peserà oltre il 10% mondiale anche nei prossimi 5 anni.
[David De Ranieri]
L’ecommerce deve essere parte integrante del mercato di una cantina, o vogliamo che Bezos inizi a fare il vino a marchio Amazon o Jack Ma quello a marchio AliBaba?!
[Fabio Zacà]
E’ plausibile che tutti credano che possa essere una strada, ma anche l’e-commerce va strutturato, va pianificato, non improvvisato; per cui potrebbe rivelarsi un falso mito e creare ulteriori danni per aziende che già stentano, con investimenti che non rientrerebbero. Certamente c’è e ci sarà una maggiore attenzione verso canali di vendita alternativi.
[Ida Savoia]
La vedo difficile. Per gli extra UE c’è la dogana di mezzo e per gli UE ci sono i DAA da fare e serve un deposito fiscale per il vino. O snelliscono a livello governativo le regole oppure spedire un cartone di vino negli usa ad un privato per me resta ancora dura, se non impossibile.
[Natascia Antonioli]
– Si sta concretizzando un importante aumento delle vendite, da marzo ad oggi, dei vini Premium e Super Premium (oltre alle fasce addirittura superiori del segmento luxury/icon) rispetto ai vini di fasce più basse. Confermate questo andamento? Perché i vini di fascia più alta subiscono meno la crisi?
Come in ogni altro settore, non è mai la fascia luxury che conosce crisi in momenti di difficoltà economica. È così da tempi immemori e sempre così sarà, tanto è vero che il capitale personale dei ricchi del mondo è in crescita.
[Antonio Romeo]
Concentrazione ricchezza e “sfogo” del lusso in pandemia.
[David De Ranieri]
Già in tempi pre-covid, gli studi (USA) dimostravano una polarizzazione del mercato, con una crescita del premium. Il vino purtroppo o per fortuna è diventato un oggetto di lusso.Non si beve il Dom o il Krug per il gusto di berlo, ma per necessita’ edonistica, così come negli anni 80 i Bordolesi presero piede negli USA, era da ‘ricco’ bere Bordeaux. Concludo dicendo che chi può permettersi una Ferrari lo farà nonostante qualsiasi crisi, allo stesso modo con i vini premium.
[Fabio Zacà]
Quali credete possano essere le soluzioni per limitare i danni a livello di export?
Investire nei mercati in cui si è già presenti per crescere lì il più possibile perchè al momento, salvo rare eccezioni, gli importatori tendono a non inserire nuove referenze in portfolio e ogni investimento in quella direzione sarebbe dispersivo e fin sprecato. Prevedere in azienda un export manager qualora non lo si abbia ed elaborare una strategia di marketing corredata da un business plan per pianificare già da ora i prossimi passi in termini di export. Le aziende del vino tendono a non pianificare diversamente da quelle del food e c’è un grande bisogno di portare nel comparto professionalità di marketing/vendite esperte che mancano come l’aria.
[Antonio Romeo]
I danni nel breve per pandemia si affrontano premiando ed investendo su solo i clienti migliori. Nel lungo termine si deve sviluppare e diffondere la cultura specifica del vino italiano.
[David De Ranieri]
Viaggiare sarà difficile, molto affidamento dovrà essere fatto su agenzie governative in loco, Delegazioni commerciali diplomatiche in seno alle ambasciate, ICE, Sace, etc, e affiancare TLEM (Temporary Local Export Manager) sui mercati farà molta differenza.
[Fabio Zacà]
Per limitare i danni ci vorrebbero concreti aiuti pubblici alle aziende, ma non per sostenere le vendite, bensì per far comprendere loro come si sta evolvendo il mercato mondiale e quindi evitare che le aziende nel tentativo di risollevarsi investano in un e-commerce improvvisato o nella ricerca di nuovi partner in mercati completamente sconosciuti.. Insomma, ci vorrebbero attività efficaci di formazione sull’export per evitare improvvisazioni che causano ulteriori danni economici.
[Ida Savoia]
Ringrazio Alessandro Satin e i suoi colleghi, nonché soci di UniExportManager, Ida Savoia, Natascia Antonioli, David De Ranieri, Antonio Romeo e Fabio Zacà per la disponibilità e per aver delineando un quadro dettagliato ed esaustivo della situazione odierna e delle prospettive future da diversi punti di vista.
Non resta che sperare che il mondo del vino italiano riesca a tenere botta e a dimostrare ancora una volta quanto la qualità e l’identità dei nostri vini rappresentino valori che neanche una crisi di questo calibro può mettere in discussione.
F.S.R.
#WineIsSharing
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