Il Friuli è stato, negli ultimi anni, uno dei territori regionali ai quali mi sono più dedicato ma c’è un areale, in particolare, sul quale ho avuto modo di focalizzarmi maggiormente dal 2019 a oggi. Parlo di quello della DOC Aquileia.
Collocata nel Nord Est dell’Italia tra l’alto Adriatico e le Alpi Carniche e Giulie, la DOC Aquileia gode di un microclima unico grazie alla protezione delle montagne dalle correnti fredde del nord e al mare Adriatico che mitiga notevolmente le temperature che arrivano sotto lo zero solo in alcuni brevi periodi dell’anno. Buone anche le escursioni termiche estive e prevendemmiali, delle quali possono usufruire positivamente i precursori aromatici delle uve qui coltivate.
Aquileia è la città dei mosaici e non si smentisce neanche a livello pedologico, grazie all’incredibile varietà di terreni che vede lee singole parcelle e persino farsi tessere di un cangiante mosaico enoico.
Avendo visitato quasi tutte le aziende del territorio, ho potuto constatare come le matrici di terreno si alternino fra venature ghiaiose con marne giallastre e argille più scure miste a sabbia.
Gli elementi più grossolani e ghiaiosi sono più presenti a nord della DOC, in terreni che, dunque, sono più ricchi di scheletro, mentre nella fascia più a sud sono confluite argille fini, marne, sabbie e arenarie strappate alle colline soprastanti. Non è raro trovare anche intrusioni di limo.
Grazie a un territorio così sfaccettato la base ampelografica annovera numerosi vitigni autoctoni e alloctoni, ascrivibili tutti nell’ambito dei varietali “tipici” data la storicità e l’adattamento che ciascuno di essi presenta rispetto a quest’area.
Quindi abbiamo: Refosco dal Peduncolo Rosso, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Friulano, Verduzzo, Pinot Bianco, Malvasia Istriana, Pinot Grigio, Chardonnay, Sauvignon, Riesling, Traminer Aromatico e Müller Thurgau.
Molto interessante è proprio la particolare predisposizione per i vitigni aromatici e semi-aromatici giunti dal nord come il Traminer (aromatico) e il Müller Thurgau (ricordo che la Malvasia Istriana non è considerata aromatica), per formare un pool di varietali capaci di incidere con decisione sul profilo olfattivo sia dei vini in purezza che negli assemblaggi (purtroppo, però, in quanto aromatici, non sono autorizzati nel “blend” dell’uvaggio o vinaggio del “Bianco Aquileia Doc”). Del Traminer esistono testimonianza storiche a piede franco su sabbia in zona Ca’ Viola.
Riguardo la Malvasia Istriana, se è vero che non può essere equiparata alla maggior parte della altre “malvasie” per ricchezza di zuccheri e aromaticità, lo sviluppo terpenico dato dalla forte escursione termica rende alcune espressioni dell’aquileiese molto interessanti al naso, offrendo vini profumati, che spiccano per integrità del frutto e un’intrigante speziatura naturale.
Interessanti le espressioni di Friulano che mostrano un’identità marcata caratterizzata da maggiori finezze floreali e una ricchezza di frutto meno abbondante di ciò che possiamo trovare in colline, ma non per questo sinonimo di immaturità, anzi! Vini più fini e freschi con valori tendenzialmente meno inficiati dal cambiamento climatico. Lo stesso vale anche per alcune interpretazioni di Pinot Bianco, Chardonnay e di Sauvignon, sicuramente meno spinte sulla grassezza e sulla struttura, bensì più balsamiche, slanciate e agili. Da non sottovalutare anche i, seppur pochi, Riesling (Renano) prodotti nell’areale. Nella mia recente masterclass sul Sauvignon in cui i Sauvignon di Aquileia erano comparati a quelli di altre zone e sottozone della regione, al netto della singola interpretazione enologica, i vini dell’areale si sono ben comportati, evidenziando l’ormai maturità espressiva della DOC, anche in un contesto che per il Friuli è di grandissima competitività, come quello del Sauvignon.
Tra i Rossi spicca il Refosco dal Peduncolo Rosso che qui vanta una storia strettamente legata all’epoca romanica, tanto da essere ricondotto al Pucinum, noto come l’elisir di lunga vita di Livia, seconda moglie di Augusto. Pucinum eletto anche da Plinio il Vecchio come primo fra i “vina generosa del mondo antico”, celebrato dai Greci che lo chiamavano Pictaton, e citato in altri antichi scritti come Racimulus Fuscus in onore al suo ben noto Peduncolo Rosso.
Oggi il Refosco di Aquileia manifesta equilibri rari, in cui l’eleganza e la struttura si incontrano senza eccessi e senza orpelli strutturali e/o caricaturali. I produttori della denominazione stanno acquisendo maggior consapevolezza nella propria singolare identità e ne enfatizzano i tratti positivi con grande sensibilità. Ecco quindi che anche per il rosso più importante del territorio abbiamo frutto, fiore e spezia in bilanciata armonia e sorsi forti e dinamici, non opulenti, capaci di offrire buona lunghezza e trame tanniche fini, non grevi.
Tutto lo spettro degli internazionali a bacca rossa, qui può considerarsi ormai acclimatato e “autoctonizzato” data la storicità del legame di questa vasta base ampelografica con le vigne di Aquileia. Un esempio è il Merlot, capace di farsi abile e sincero traduttore di queste terre senza incorrere in meri scimmiottamenti delle interpretazioni tipicamente transalpine o delle più vicine espressioni di collina. Da non sottovalutare il potenziale del Cabernet Franc, qui in grado di mostrarsi con ponderato equilibrio fra la cifra vegetale e quella fruttata non così comune nel Nord Est.
Per quanto mi riguarda, continuo a vedere come potenziali biglietti da visita dell’areale (non solo di quello di Aquileia) gli uvaggi o i vinaggi di territorio, in questo caso il Bianco Aquileia Doc e il Rosso Aquileia Doc in cui possono convergere più uve e più parcelle di vigna in rappresentanza di un’ideale identità di terroir indipendente dal singolo varietale. Punto a favore di questi vini (se interpretati con le opportune mire qualitative) è la maggior continuità e coerenza nel tempo data dalla possibilità di adattare le percentuali alle singole annate in base al bilanciamento più idoneo a rappresentare il meglio che quella vendemmia ha saputo dare. Credo che nell’epoca dell’ostentazione, a volte ostinata, della “purezza” come unico viatico di identità, si stia perdendo la cognizione di ciò che era la viticoltura di territorio prima dell’avvento dell'”enologia moderna”, ovvero un elogio della terra e di quei varietali che insistevano in essa, senza lo stilema limitante del varietale in purezza a tutti i costi. Ovviamente, lungi di da me criticare la scelta di manifestare la vocazione per le individualità varietali e l’attitudine del produttore al raggiungimento dell’identità espressiva di quella determinata uva, ma non escluderei la valorizzazione di quei vini che raccontano un territorio svincolandosi dal monovitigno.
Detto questo, il mio consiglio è quello di visitare Aquileia e di incontrare i produttori locali confrontandovi con una delle realtà più sfaccettate dell’enografia friulana e non solo. Sono certo che l’approccio dei vignaioli e dei produttori, nonché le peculiarità dei vini da essi prodotti vi daranno grandi soddisfazioni, con l’extra che solo denominazioni ancora poco note possono dare: lo stupore della scoperta!
A sostegno delle vostre visite troverete un Consorzio di Tutela vini Doc Friuli Aquileia e un’amministrazione comunale della città fulcro storico e cuore pulsante dell’areale che operano, da anni, per la valorizzazione di queste zone tutelandone le unicità e coinvolgendo appassionati e addetti ai lavori in iniziative costruttive. Condizioni che, unitamente all’opera delle singole aziende vitivinicole, stanno permettendo a questo territorio di proporsi al meglio sia a livello enoturistico che di mera divulgazione enoica.
F.S.R.
#WineIsSharing
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