Utopia enoica…

Viviamo in un’era in cui vige una sottesa e fumosa autarchia. Un mero individualismo in cui ci illudiamo forzosamente di poter fare tutto da soli, di bastarci, compensando la mancanza di unità e rispetto reciproco con ciò che possiamo “comprare”. Così c’è chi si gongola per followers comprati convincendo (ci riescono!) tutti che è tutta vinaccia del proprio torchio, c’è chi esulta per qualche recensione retribuita perché “è così che va il mondo… del vino”, c’è chi si fa selfie con il vino in secondo piano e sfocato, per giunta! C’è chi gioca con la semantica spacciando favole per scienza e negligenza per sostenibilità, perché “se ci credi fortemente tu ci crederanno anche gli altri”. Mi guardo intorno e vedo ancora un mondo meraviglioso… quello del vino… che sta cedendo, come altri prima di “lui”, alle lusinghe dell’effimera condizione in cui ci pone la notorietà. E’ così facile, oggi, acquisire ben più dei “famosi” 15 minuti di celebrità che il visionario Andy Warhol anticipava più di 50 anni fa. Eppure, è palesemente inutile strutturare la propria “fama” tramite malcelate dinamiche di do ut des.  Confido ancora ci sia gente in grado di discernere, ma inizio a credere che ci sia davvero troppa confusione per pretendere che chi non è addentro a certi “sistemi” riesca a scindere il volto dalla maschera.

Andy Warhol celebrità vino

Cosa vorrei? Vorrei che la passione, la curiosità e la ricerca orientassero ancora le scelte di chi comunica il vino. Vorrei che non ci fossero né situazioni di sudditanza tra media/critico e produttore né dinamiche poco chiare e, spesso, fuorvianti in cui il compenso venga anteposto a valori deontologici ormai sempre più minati dal modus operandi di chi rifugge l’etica perché “con l’etica non si mangia”.

Vorrei che i comunicatori tornassero ad essere scopritori di “talenti”, arrivando dove per molti è difficile arrivare e condividendolo per il solo piacere di poter rendere noti i tesori nascosti di cui il nostro paese è pieno (come molti, per fortuna, ancora fanno). Vorrei che, al contempo, la comunicazione del vino si spostasse sul piano del confronto rispettoso e dinamico e che la dialettica costruisse invece di disfare. Vorrei che i produttori fossero gli unici veri “influencer” e che il media arrivasse in vigna e in cantina ancora in punta di piedi, conscio che senza chi condurrà quei vigneti e chi vinificherà quelle uve non saprebbe di cosa scrivere. Questo non significa inibire il senso critico, grande motore dell’evoluzione! Anzi… significa portare la critica proprio in quelle vigne e in quelle cantine in cui si potrà avere uno scambio diretto con l’interlocutore. Apportando la propria esperienza a quella dell’altro, costruendo un sistema completo in cui esperti comunicatori e lungimiranti produttori possano arricchirsi vicendevolmente, trascendendo “compensi e favori”, nella piena consapevolezza dei propri ruoli e della propria, purché rispettosa, libertà d’espressione.


F.S.R.
#WineIsSharing

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